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La Sociologia in Germania: tradizione e attualità di Karl-Siegbert Rehberg "La sociologia è sempre anche una scienza della riflessione, forse proprio una «scienza delle crisi» e per questo rimane strettamente legata all'attuale critica intellettuale." Origine storica Per parlare della sociologia tedesca bisogna inizialmente osservarne la genesi. La nostra disciplina è nell'insieme un prodotto culturale dell'Ottocento e del Novecento, anche se la maggior parte dei complessi di problemi che tratta è molto più antica. La sociologia accademica moderna si è sviluppata - come mostrava Georg Simmel - con l'ascesa della società di massa nell'era dell'industrializzazione, e rappresenta il sapere interpretativo del moderno, sebbene talvolta sia stata anche un mezzo di resistenza contro la modernità. [ ].
Per quanto riguarda lo sviluppo della sociologia, la Germania non è stata in alcun caso una "nazione in ritardo" (citando il titolo del famoso libro di Helmuth Plessner). Una delle fonti del pensiero sociologico tedesco era stata fin dall'Ottocento la speranza in una canalizzazione del capitalismo attraverso la politica sociale, come la formulò per esempio l'allievo di Hegel, Lorenz von Stein, che poi trovò espressione nell'idea della "monarchia sociale" e in ultimo, la più conosciuta, nella anti-socialistica legislazione sociale del cancelliere Bismarck. Oggi siamo testimoni della dissoluzione di questo atteggiamento, perlomeno dobbiamo osservare potenti attacchi neo-liberali a questa tradizione. Di particolare importanza è ricordare che furono i più giovani membri della Società per la politica sociale (Verein für Sozialpolitik), nata nel 1872, che con la fondazione della Società Tedesca di Sociologia (Deutsche Gesellschaft für Soziologie) nell'anno 1909 crearono una cornice organizzativa per una scienza accademica, che rimanesse libera da "giudizi di valore" (questo significa "Werturteils-freiheit"). In Germania l'opposizione alla sociologia non venne portata avanti né dagli eruditi filologi (come in Francia), né dalle influenze del Neo-Hegelismo di Benedetto Croce (come in Italia) ma principalmente dagli storici. Tuttavia questo rifiuto non è una particolarità teutonica: durante il mio recente soggiorno a Roma uno storico dell'arte ha aperto il nostro discorso con le disinvolte e chiare parole: "Non amiamo i sociologi" - intendendo con questo la sociologia dell'arte di Arnold Hauser e tutte le forme della critica dell'ideologia. Già nel 1858 lo storico prussiano Heinrich von Treitschke, un conservatore, nella sua tesi di abilitazione La Scienza della società chiese che la scienza di stato dovesse restare la disciplina guida affinché lo stato avesse priorità sulla "società". Lui temeva che la sociologia contribuisse all'indebolimento della chiesa e dello stato. Analoghi argomenti dominarono più tardi la controversia tra il ministro prussiano della cultura, Carl Heinrich Becker, che all'inizio della Repubblica di Weimar voleva introdurre in tutte le università la sociologia come "scienza delle sintesi", e il suo più aspro critico, lo storico Georg von Below. Certo Becker era dell'opinione che la sociologia "non fosse adeguata al pensiero tedesco" ma proprio per questo la ritenne importante come "mezzo educativo" mentre von Below la rifiutò per la stessa ragione anche perché le nuove cattedre per questa materia avrebbero potuto essere occupate da socialisti. Sebbene ammettesse la possibilità di un "corso privato" di sociologia, si chiese cosa dovesse insegnare un professore di sociologia negli altri semestri. Questa polemica culminò nella citazione di una parola spiritosa dello storico Alfred Dove che aveva chiamato la sociologia un "istituto per il noleggio di maschere verbali" ("Wortmaskenverleihinstitut"). Ma le critiche non venivano solamente da fuori; anche all'interno della sociologia tedesca ci fu una rimeditazione nel senso del romanticismo politico, per esempio Adam Müller, contro la sociologia contemporanea "dell'ovest" (cioè particolarmente francese ed inglese). Tutto ciò era ancora presente nel famoso libro Sociologia come scienza della realtà (Soziologie als Wirklichkeitswissenschaft) di Hans Freyer che portò nel 1929 nella nostra disciplina la scienza della società di classe dell'Ottocento, la quale si sarebbe dissolta in una nuova scienza popolare. Ancora negli anni '70 e '80 del nostro secolo alcuni importanti rappresentanti della disciplina hanno criticato aspramente richiamandosi più o meno espressamente a questa tradizione che opponeva riserve (per esempio di Wilhelm Dilthey) contro la sociologia. Helmuth Schelsky scrisse alla fine della sua vita una Anti-sociologia contro gli orientamenti liberali di sinistra. Similmente Friedrich H. Tenbruck criticò una sociologia strutturale (e criptomarxista) priva di attenzione al significato della cultura per la vita sociale. Dalla generazione fondatrice al Nazionalsocialismo Lo sviluppo della sociologia tedesca nei primi due decenni del nostro secolo fu contrassegnata da una "generazione di fondatori" i cui rappresentanti erano per lo più chiamati all'Università per altre discipline (filosofi, economisti o studiosi della scienza dello stato). Nondimeno si riteneva un sociologo, almeno temporaneamente, e sicuramente si ritenevano sociologi Georg Simmel, indubitabilmente Ferdinand Tönnies, Max e Alfred Weber, Werner Sombart ed altri. Nella generazione accademica seguente si svilupparono poi singoli centri di ricerca come a Heidelberg, dagli anni venti mediante delle attività del sindaco Konrad Adenauer alla nuova Università di Colonia (dove Max Scheler e Leopold von Wiese insegnavano) e a Francoforte sul Meno. Là fu nominato da una parte Karl Mannheim come successore di Franz Oppenheimer e dall'altra sorse l'Istituto per la ricerca sociale, di orientamento marxista, direttore Max Horkheimer nel 1931. Mentre la sociologia continuò a svilupparsi in paradigmi sporadici e in diversi circoli e scuole coesistenti, si impose in modo crescente alle università attraverso la graduale creazione di incarichi d'insegnamento, cattedre ed infine istituti con il titolo esclusivo di Sociologia. Più spesso la materia potè essere studiata come facoltativa o in combinazione con altre in diversi piani di studio. La prima cattedra dedicata interamente alla sociologia venne istituita nel 1925 a Lipsia. Sebbene il ministro avesse preferito l'austromarxista Max Adler, venne chiamato Hans Freyer, conformemente alla volontà dell'università. La seconda cattedra fu istituita in Sassonia, nella Sezione di scienze culturali dell'allora Politecnico (oggi Università) di Dresda. Dopo che Leopold von Wiese ebbe rifiutato questa designazione, fu accettata dall'esiliato russo Fedor Stepun, cacciato dai nazisti nel 1937.
"In Germania, nel dopoguerra, la sociologia ha avuto un cammino difficile. Dapprima fu lasciata interamente in mano agli americani, dato che i grandi sociologi tedeschi erano emigrati o erano morti nei lager." Contrariamente a questa interpretazione un poco semplicistica di sociologia come una " principale scienza di opposizione " contro Hitler esistevano anche durante la dittatura nazista delle cattedre di sociologia, e pure degli esami di laurea, promozioni ed abilitazioni. Persino si cercò di costituire una scienza nazionalistica, la cosiddetta "Sociologia Tedesca", distinguendosi da quella "civica", "ebraica", "marxista" o semplicemente "illuminista". Ancora nel 1998 è esplosa una veemente disputa sulla importanza dei "sociologi del Reich" (come li definisce Carsten Klingemann). Però, nonostante la menzionata presenza della disciplina durante il nazismo, mi sembra che il regime nazista non abbia promosso la sociologia, ma che la abbia decisamente impedita. Da questo punto di vista possiamo comprendere i nuovi inizi dopo il 1945. La sociologia del dopoguerra nella Repubblica federale tedesca Dopo la vittoria degli alleati sulla Germania nazista si giunse ad una situazione di prudente "nuovo-orientamento" che lasciò muti per molto tempo anche i più eloquenti di prima. Ciò valse anche per le istituzioni accademiche, naturalmente per le scienze naturali, ma anche per quelle umanistiche, così orgogliose della loro riflessività. Presto ovunque si tornava alla routine quotidiana. Solo pochi presero la catastrofe come occasione di autoriflessione. Per la maggior parte fu valido ciò che allora avrebbero potuto formulare nella lingua dei vincitori solamente con fatica: the show must go on. Ugualmente si può dire della sociologia. La prima delle Società scientifiche che fu rifondata dopo la caduta della dittatura nazista (quasi si potrebbe dire per ordine del governo militare americano) fu la Società tedesca di sociologia. Questa società, che durante la dominazione nazista era stata "sospesa", o per lo meno resa inattiva, è stata determinata come impulso centrale del programma di re-education (per il quale, come sappiamo oggi, anche Talcott Parsons aveva già contribuito con delle proposte). Già nel settembre 1946 ebbe luogo il primo congresso tedesco di sociologia del dopoguerra, un evento intellettualmente poco glorioso. Leopold von Wiese come presidente della società sociologica appena eletto fu costretto a guardare nel volto terrificante della verità storica. Però oracoleggiò che sarebbe "venuta la peste sugli uomini, dall'esterno, senza preparazione, come un perfido attacco". Questo era per l'eufemistico presidente un "segreto metafisico". Ovunque nella Germania dell'Ovest del primo dopoguerra risonava un genere di retorica dissimulante su "quegli anni", sui "tempi oscuri", sulla capacità seduttiva di Hitler, sul "destino" della dittatura ecc. Sulla periodizzazione dopo il '45 (che non era "Ora zero") M. Rainer Lepsius distinse per la Germania occidentale una fase di "rivitalizzazione" dal '45 al '49, dal periodo della sua vera rifondazione che sarebbe avvenuta solo nella seconda metà degli anni '50. In questo periodo la generazione del dopoguerra entrò in azione con personaggi quali Hans Paul Bahrdt, Ralf Dahrendorf, Ludwig von Friedburg o Heinrich Popitz. A questo sarebbe seguito finalmente negli anni '60 un periodo di crescita. La sociologia nella zona d'occupazione sovietica e nella DDR Nella Germania dell'Est i nuovi inizi furono diversi, cioè marcatamente antifascisti, legati a degli inviti rivolti a studiosi (anche borghesi) di tornare dall'esilio nello "stato tedesco migliore". Queste aperture iniziali ebbero presto fine, come era già avvenuto nel campo dell'arte. Dalla metà degli anni '50 in poi la sociologia venne dichiarata illegittima poiché lo sviluppo della società era, per così dire, "prescritta" dal marxismo-leni-nismo ortodosso. Solo dagli anni '60 il Partito comunista unitario (SED) dimostrò interesse per la ricerca sociale empirica come osservazione scientifica delle realtà sociali al servizio dei potenti. Dagli anni '80 fu promossa addirittura la formazione di 20 studenti all'anno come "osservatori delle teorie sociologiche occidentali del nemico". Ma la storia di questo fallimento, complicata e non priva di contraddizioni, non rientra nel discorso odierno. Soggetti sociologici nella Germania dell'Ovest La formula determinante dopo l'autodistruzione del Reich nel '45 era quella (oggi di nuovo attuale) della "fine delle ideologie". I grandi concetti teorici e politici e le immagini del mondo dal punto di vista dei filosofi della storia dovevano essere sostituiti da una vera ricerca empirica. La sociologia - come rivendicò per esempio René König che era giunto a Colonia dall'esilio svizzero - "non dovrebbe essere altro che sociologia", e non filosofia della storia né riflessione fondamentale e critico-culturale della società [ ]. Le "teorie di media gittata" (middle range theories) assunsero importanza, sebbene la teoria struttural-funzionalista di Talcott Parsons fornisse per molti una cornice di riferimento teorico. In questa situazione vennero sviluppati studi importanti nel campo della sociologia dei comuni, dell'industria, della teoria di stratificazione sociale, e vennero condotti studi sulla gioventù e sulla famiglia. Si pensi solamente ai titoli popolari dei libri di Helmut Schelsky, quasi simbolici per la Germania dell'Ovest alla fine degli anni '40 e negli anni '50. La generazione scettica (Die skeptische Generation) o La società livellata del ceto medio (Nivellierte Mittelstandsgesellschaft) diventarono delle formule per l'autointerpretazione dei tedeschi in questo periodo. Come centri di ricerca si svilupparono l'Istituto di ricerca sociologica dell'Università di Colonia sotto la direzione di René König e ErwinK. Scheuch, l'Istituto per la ricerca sociale di Dortmund condotto da Helmut Schel-sky nell'Uni-versitàdi Münstere l'Istituto per le ricerche sociali di Francoforte, che dopo il ritorno di Max Horkheimer, Theodor W. Adorno e Friedrich Pollock fu di nuovo riaccorpato all'università. [ ]. Una decisiva spinta alla istituzionalizzazione della disciplina seguì poi solo con il movimento studentesco, provocato dall'opposizione contro la guerra del Vietnam e ispirato dal movimento americano. Ciò che simbolicamente si chiama '68, all'ovest fu una protesta politico-culturale che divenne anche motivo di conflitti generazionali. In Germania, inoltre, la proposta fu indirizzata al "superamento del passato". Il simbolo era "il maggio francese", mentre all'Est la repressione della "Primavera di Praga" distrusse tutte le speranze di possibili riforme del socialismo di stato. All'ovest la sociologia divenne allora per breve tempo una "scienza-guida". Nel contesto della rinascita del marxismo critico sembrò che la sociologia fosse la "scienza critica" per eccellenza, o perlomeno così venne ritenuta dagli studenti marxisti così come dai loro critici conservatori. Certamente la struttura "interna" della disciplina non venne toccata da questa scossa ideologica, ma seguì uno storico momento di terrore: ricordo bene il 16° congresso dei sociologi tedeschi a Francoforte nell'aprile 1968, poco prima dell'attentato a Rudi Dutschke. La conquista delle tribune e dei microfoni da parte degli studenti non poteva impedire che tutto tornasse ancora al percorso accademico normale. Nondimeno, lo choc aveva colpito così nel profondo che la presidenza della Società tedesca di Sociologia deliberò di non organizzare in futuro altri congressi pubblici, tutt'al più convegni interni. Ci vollero sei anni prima che nel 1974, sotto la guida di M. Rainer Lepsius, venisse convocato di nuovo un congresso di sociologia (a Kassel). In quel periodo la Società tedesca di sociologia si traformò da una società di notabili con al massimo 150 membri (nel 1909 erano stati addirittura solo 39) in una società aperta delle scienze che raccoglieva anche "neofiti" della sociologia per dar loro voce; attualmente i membri superano il migliaio. Nei tardi anni sessanta interagirono la cultura intellettuale della protesta ed una estesa necessità di fondamenti teorici. Le tensioni ideologiche dei confronti di questi ultimi vennero propagate anche nell'ambito istituzionale della materia nella controversia metodologica tra i rappresentanti della "teoria critica" (Theodor W. Adorno e Jürgen Habermas) da una parte e del "razionalismo critico" (Karl Popper e Hans Albert) dall'altra. I più recenti sviluppi teorici e le sue più interessanti posizioni vennero accentuate attraverso il dibattito sul ruolo della sociologia come "scienza critica" o "tecnologia sociale" tra Habermas e Niklas Luhmann1, entrambi fino ad oggi i teorici più creativi della sociologia tedesca - sebbene Habermas si ritiri sempre più nella filosofia sociale. Alla riappropriazione (spesso un po' retorica) dell'opera di Marx, seguì la riscoperta di diversi autori marxisti e in seguito anche di critici del marxismo. La scoperta della propria storia - anche con riguardo al mondo delle scienze -, l'apertura agli aspetti teorico-sociali della psicanalisi e la riscoperta di diversi autori dei decenni passati prepararono un nuovo orientamento. Anche con distacco critico dallo struttural-funzionalismo parsoniano, percepito come cieco ai conflitti oltre che statico e contrario al suggestivo influsso dello strutturalismo francese, la storia tornò ad essere la disciplina più importante. Anche per questo venne riscoperta l'essenza culturale della sociologia storica di Max Weber. Di conseguenza, anche altre opere della sociologia storica divennero popolari, come la "teoria della civilizzazione" di Norbert Elias. Tutto ciò portò poi ad un nuovo orientamento scientifico culturale della sociologia a partire dai primi anni '80 (le ragioni sociali non possono essere discusse in questa sede). Giudicando l'attuale stato della nostra disciplina, appare evidente dapprima la sua espansione in ambito universitario, dai primi anni '70 nella Germania dell'Ovest e, dopo l'unificazione, a partire dagli anni '90 anche nella maggioranza delle università dell'Est. Inoltre sono stati creati corsi di studi per diploma in sociologia. Lo stato della disciplina come materia secondaria fu definito durante una fase di professionalizzazione. Al momento in Germania si può studiare sociologia in almeno 60 università ed esistono circa 300 insegnanti permanenti. [ ] Normal science versus critica intellettuale? Lo stato attuale della sociologia nelle università tedesche e nel sistema di ricerca potrebbe portare ad una soddisfazione professionale. Ma mi sembra manifesto che l'espansione della sociologia sia collegata con una diminuzione della sua attrazione intellettuale. Certo - se così posso dire - la nostra disciplina è poli-paradigmatica, poiché unisce le più diverse teorie, metodi e impostazioni. Ma al di là di questo pluralismo è diventata una normal science. In ogni caso la sociologia non è più una "scienza guida" le cui categorie sarebbero fatte proprie da altre discipline. Il suo successo, che permise l'ingresso di molte conoscenze e categorie sociologiche nel quotidiano, portò ad una "tri-vializzazione" del sapere sociologico (come soprattutto Friedrich H. Tenbruck ha sagacemente indicato). Per questo vorrei aggiungere che la sociologia è sempre anche una scienza della riflessione, forse proprio una "scienza delle crisi" e per questo rimane strettamente legata all'attuale critica intellettuale. Questi discorsi critici non aumentano l'efficienza della disciplina, ma senza di essi la sociologia inaridisce a puro inventario dell'esistente. Proprio per questo la disciplina potrebbe diventare irrilevante se nuovi parametri non venissero più elaborati e se non si creasse più nessuna distanza dai fatti sociali. Così si vedono sempre più sociologi assumere il ruolo di critici intellettuali dell'epoca (si pensi per la Germania a Jürgen Habermas e per la Francia a Pierre Bourdieu). Per ciò che concerne lo sviluppo delle teorie e i metodi, le differenze tra Italia, Germania ed altri paesi (compresi anche gli Stati Uniti) sono minime. Nella ricerca sociale empirica si osserva accanto allo stato consolidato dei metodi quantitativi l'ascesa della ricerca qualitativa con sempre più raffinate analisi di testi. A livello teorico si mostra una tendenza alla sintesi e al superamento del dualismo tra micro- e macroteorie. A questo proposito ci sono autori di riferimento anche al di fuori dei nostri paesi, per esempio Anthony Giddens. L'influenza dei rappresentanti della "rational-choice theory" (teoria della scelta razionale) cresce, ma le condizioni istituzionali hanno sempre più peso nelle analisi delle decisioni e degli atti individuali. Così parlerei nell'insieme di una storicizzazione della conoscenza sociologica e, nei confronti dei numerosi mutamenti globali, anche di un nuovo collegamento con l'economia. La cooperazione Trento-Dresda Termino qui la mia breve panoramica su alcuni aspetti della sociologia tedesca. A ciò è legata una coraggiosa novità, l'organizzazione di un corso di studi in sociologia con doppia laurea, organizzato in comune dalle Università di Trento e Dresda.
________ 1. Quando ho fatto la mia conferenza a Trento, Niklas Luhmann era già deceduto il 6 novembre 1998, ma la notizia fu pubblicata nei giornali tedeschi soltanto sei giorni dopo. [Gli interventi del rettore dell'Università di Dresda, prof. Achim Mehlhorn - in italiano e in tedesco - e del preside della Facoltà di Sociologia dell'Università di Trento, prof. Antonio Cobalti] |