(continua dal numero
precedente di Unitn)
La
pretesa di valutare la "produttività scientifica", cioè
il contributo dell'università al progresso della scienza attraverso il
numero delle pubblicazioni e i congressi da essa organizzati è davvero
ridicola. Sui fasti (pochissimi) ed i nefasti (tantissimi) del turismo accademico
spero di potermi intrattenere un'altra volta: si tratta di una delle mie "bestie
nere" e non vedo l'ora di sfogarmi; ma è impossibile non parlare (male,
malissimo) sin d'ora del conto delle pubblicazioni. Anche questa volta possiamo
incominciare con una serie di "a prescindere" degna del peggior Totò:
non mi dilungherò quindi sui gravi danni ecologici causati dall'abnorme
consumo di carta implicito nell'incoraggiare in tal modo il popolo universitario
a pubblicare, pubblicare, pubblicare; e tacerò dell'odioso business che
ne scaturisce (l'editore di una rivista scientifica si fa in genere pagare i costi
dai contributori e non paga diritti d'autore: è un perfetto esempio di
parassita sociale); e non mi dilungherò neppure sui gravi danni ai bilanci
delle università causati dal proliferare delle riviste, tutte costose e
tutte per il 99% inutili, o sul fatto che il famigerato "publish or perish"
sottrae all'università tanti eccellenti docenti afflitti da crampo dello
scrivano. Sarò brevissimo e mi limiterò ad osservare che il mondo
è pieno di eccelsi scienziati che hanno cambiato il mondo con un articolo
(o, in tempi più felici, con qualche lettera rivolta agli amici) e - purtroppo
- ancora più pieno di personaggi che hanno scritto migliaia di pagine senza
fare avanzare di un millimetro il progresso scientifico. Vogliamo incoraggiare
questi ultimi e scoraggiare i primi? Continuiamo a contare le pubblicazioni e
premiare chi sporca carta e spreca tempo dei lettori (fortunatamente pochi), chi
pubblica almeno 10 volte i risultati di una ricerca che nel 90% dei casi è
perfettamente inutile o costituisce una duplicazione di cose già fatte,
chi costruisce e pubblica enormi collage di frasi altrui, chi segue i filoni alla
moda, chi vuole a tutti i costi dire la sua, e così via. E continuiamo
a punire chi per pubblicare qualcosa aspetta di avere qualcosa di veramente importante
da dire (e, posto che i geni sono pochi, non pubblica quindi mai o quasi), chi
cerca strade non battute e rifiuta i paradigmi dominanti (e quindi non riuscirà
a pubblicare perché i referees lo bloccheranno) e chi ha buone idee, ma
preferisce parlarne agli amici piuttosto che gettarle in pasto al pubblico, etc.
In breve, continuiamo a contare le pubblicazioni. Ma poi, di nuovo, non venite
a lamentarvi con me se la ricerca universitaria langue, se le grandi scoperte
si fanno altrove, se l'università nel suo complesso è sempre meno
apprezzata.
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