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    mostre    


Alberto Larcher espone ad Arteconomia
di Enrico Zaninotto

Allo studente o al visitatore che entri in questi giorni nella Facoltà di Economia si presentano, qui e là, dei mosaici. Fatti con pezzi di coccio, piastrelle, materiali poveri tra i quali spicca qualche tassello prezioso, dorato o rosso rubino, o di specchio. Tra le colonne degli atri principali sono appesi dei tondi; per terra, in fondo alle scale, si vede un mandala rotondo di graniglia bianca sulla quale, ancora, sono disposti pezzi di specchio e inserti colorati di pasta vetrosa. Gli studenti osservano, commentano: che cosa accade? che cosa vorrà dire? e molti si domandano: ma queste opere resteranno qui?
No, non resteranno. Arteconomia nasce così: i locali della Facoltà saranno di volta in volta offerti, per qualche mese a un artista perché collochi le sue opere, le proponga alla vista e ai commenti di quanti nella Facoltà studiano e lavorano, affinché interrompano un cammino frettoloso tra due lezioni, introducano dei punti di domanda nel faticoso lavoro della conoscenza, suggeriscano, a una comunità che studia ed è impegnata nella ricerca, che altri compagni di strada sono al lavoro per capire come ci collochiamo nel mondo. Le forme o i colori o le azioni che testimoniano la loro ricerca ci interessano: interrogano la nostra stessa ricerca.
In alto: Alberto Larcher all'opera nello
spazio a lui dedicato presso la Facoltà
di Economia.
Sotto: un momento dell'intervista
e alcune installazioni.
Il primo artista al quale abbiamo proposto il nostro progetto di usare temporaneamente gli spazi della Facoltà è Alberto Larcher. Sono suoi i mosaici che si vedono: residui di materiali comuni – piastrelle da bagno, argilla espansa, cocci – sono disposti quasi sempre entro forme precise (rotonde o rettangolari). Talora il materiale povero è arricchito da qualche tassello più prezioso: appare l’oro quasi a ricordarci Ravenna o Venezia. In altri casi compaiono brevi scritte che richiamano ancora i nomi dei santi o le frasi bibliche poste a coronamento delle figure ravennati. Per essere collocato nell’opera ogni pezzetto di materiale, nato il più delle volte come prodotto seriale, standardizzato, indistinguibile, deve essere osservato, toccato, considerato per le sue differenze, e poi nuovamente lavorato, ritoccato, tagliato: riprendere una sua identità e diventare pezzo unico, adatto solo in quella particolare posizione. Nel nuovo contesto, l’uniformità industriale cede e anche il pezzo più povero e uniforme riacquista una sua unicità: si scopre che le piastrelle da bagno o le palline di argilla espansa hanno sfumature diverse. Forse proprio per questo furono escluse dalla produzione e condannate alla discarica.
Nelle brevi frasi e in alcuni titoli, Larcher si riferisce al tempo: alla misura del tempo, in una Luna nuova; alle stagioni (Inverno); al tempo del nostro operare, nel Lentius che appare in un’opera dedicata ad Alexander Langer. Si richiama al Tempo incerto in un tondo dedicato ad Attilio Bertolucci che ora accoglie chi entra nell’edificio in cui, invece, si usa parlare di just in time, di time to market e dove si spiega come l’incertezza si traduca in futures e opzioni. Quasi a dirci che, come ogni tassello, anche ogni istante ha una sua identità, trova un posto preciso, ha sfumature uniche. Se ci fosse (e forse c’è) una discarica del tempo, Larcher la frequenterebbe e, con quegli istanti che abbiamo gettato, comporrebbe mosaici preziosi.

Lentius, profundus,suavius Alberto Larcher intervistato da Chiara Limelli, studentessa di Sociologia