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Lentius, profundius, suavius
Alberto Larcher intervistato da Chiara Limelli, studentessa di Sociologia

Come mai ha intitolato la sua mostra Lentius, Profundius, Suavius?

Lentius, profundius, suavius è un tentativo di rallentare, approfondire e di rendere dolce la vita, opposto al motto olimpico della velocità. Il titolo è vicino al pensiero di Alexander Langer, un politico un po’ anomalo che fino alla fine degli anni ‘80 ha portato avanti un discorso molto particolare. Era nel gruppo politico dei Verdi però teneva ad alcune cose in modo specifico: la questione etnica, essendo lui bolzanino, l’ecologia e l’economia.

Il mosaico che dà il titolo alla mostra campeggia nell’aula dove gli studenti si ritrovano per lo studio. È una scelta casuale o voluta?

L’ho scelto apposta poiché ritengo che saranno le giovani generazioni a cambiare qualche cosa. È un auspicio per il terzo millennio, per i giovani affinché riescano a rallentare, a rendere più dolce la vita e tutte le loro attività. A me sembrava importante questo motto all’interno di economia proprio perché ha una duplice importanza a livello personale ma anche a livello di rilancio di una nuova poetica anche economica. È un augurio mio personale a tutte le persone che visitano la mostra, agli studenti e ai docenti che insegnano nella facoltà, sperando che il terzo millennio ci porti a questo.

È la prima volta che allestisce una mostra all’interno di una università?

Sì. Ho allestito mostre in luoghi strani, da cantine sino a luoghi più particolari, però mai all’interno di una facoltà universitaria. Di una scuola invece sì: ho fatto insieme ad altri un’esposizione di tipo didattico in una scuola media in provincia di Roma.

Ha trovato un riscontro positivo da parte degli studenti?

All’inaugurazione c’era tanta gente e questo mi ha fatto molto piacere. Da quello che sento, da ciò che mi riferisce il preside e altri che vivono in università in maniera maggiore della mia è che ci sono dei ragazzi che chiedono, che si informano, che si soffermano, che magari non capiscono perché spesso non subito il messaggio arriva a tiro, però almeno il fatto di fermarsi, di vedere che c’è qualcosa di nuovo all’interno della facoltà è già positivo. Auspico che questa iniziativa continui con altre mostre, con altre manifestazioni di questo tipo.

In principio si occupava di pittura, poi si è dedicato sempre più ai mosaici. Come mai questo cambiamento e da quando è nata questa passione?


Questa è una cosa misteriosa. Fino al 1987 circa non sapevo nemmeno che esistesse il mosaico, non l’ho mai notato in maniera particolare; mi dedicavo alla pittura, al colore, ai tubetti, a cose completamente diverse anche perché in quegli anni la pittura era molto più in auge dei materiali, inoltre all’epoca frequentavo l’Accademia delle Belle Arti di Firenze ed ero influenzato da tanti fattori.
Poi ad un certo punto ho iniziato a lavorare all’Istituto d’Arte di Trento e mi sono trovato una patata da bollire per bene, che era fare mosaico. Un laboratorio in cui realizzare tante cose e dove oltre la pittura c’era anche quest’attività di mosaico. Io sono caduto dalle nuvole, non riuscivo nemmeno a capire bene cosa fosse. Mi sono interessato e ho incominciato a viaggiare, a frequentare i posti in cui si produce il mosaico, soprattutto Ravenna, dove tra le altre cose ho conosciuto delle persone molto cordiali che mi hanno insegnato molte cose. E poi dire il perché non lo so…è stata una folgorazione.
Da fine anni ottanta in poi, in pratica, ho dedicato sempre più tempo a tutto ciò che è mosaico, inizialmente in modo timido, copiando delle opere fatte ad olio o a tempera e poi sempre più spostando l’asse, pensando a mosaico, non pensando più a pittura, che è una cosa completamente diversa. Io cioè non ragiono più a pennello o con il tubetto ma bensì ragiono con il sistema materiale; ho già il materiale in testa, cosa devo fare, ovviamente disegno, però il materiale diventa colore.

Per realizzare i suoi mosaici ricorre ai materiali più disparati e non solo a quelli canonici, come ad esempio le tessere di pasta vetrosa. Ci può spiegare il motivo di questa scelta?

Ogni quadro attraversa una storia, come tutte le cose. Per esempio il lavoro Sonno è fatto con piastrelle (non omogenee, piene di difetti di cottura, di bolle) che si usavano nei bagni negli anni cinquanta; sono piastrelle che hanno un valore economico molto alto però sono un riciclo. Io infatti riciclo materiali vecchi che non hanno più una vita, una destinazione ben precisa e li riutilizzo. Li raccolgo, li faccio decantare, li lascio un po’ di tempo nel mio studio, ogni tanto li guardo e poi un giorno li trasformo in qualche cosa. Praticamente allungo la vita a delle cose già usate, da buttare e spesso vado proprio nelle discariche di inerti a raccoglierle.

Nei suoi mosaici spesso è presente l’oro…

È vero, qualche tassello-tessera d’oro appare spesso nelle mie opere perché fa luce, perché è un elemento che cattura lo sguardo. Canonicamente il mosaico ha sempre rappresentato Dio, infatti se notiamo le immagini sacre non sono mai sul pavimento perché non si possono calpestare. Il vero mosaico, quello di Ravenna, è tempestato di oro e la luce è Dio.
Io credo nella sacralità dei miei lavori, hanno un aspetto religioso perché fare mosaico al giorno d’oggi, non lo dico per presunzione, necessita di una buona dose di coraggio dato che è un lavoro lento, intenso, molto laborioso come quello degli artigiani di una volta.
Ecco perché faccio mosaico; probabilmente perché ho questo grande senso dell’artigiano, del lavoro, di un lavoro serio, lento ma continuo, lentius, profundius, suavius. Al giorno d’oggi invece tutto è più veloce, si usa il computer, lo scanner…

Nella mostra si trovano numerosi omaggi a vari poeti. La poesia riveste, dunque, un ruolo importante per Lei?

La poesia è un po’ come il mosaico, è una cosa vecchia, è una cosa di quando ero giovane.
Per me è un grande serbatoio di idee. Sarà strano ma io trovo più idee nella poesia che nell’arte di altri. A volte una parola, una frase, un verso…Io amo soprattutto le poesie lapidarie che con poche righe riescono a raccontare il mondo e spesso anche nei miei lavori voglio arrivare all’osso, all’essenziale, a dire con pochi elementi ciò che più mi ha impressionato di determinate cose.
La poesia è un secondo amore per me, così come il jazz è la mia terza passione. A loro attingo per il mio lavoro. Ho dedicato tre pezzi a tre poeti: uno ad Attilio Bertolucci, poeta che forse amo di più perché nonostante parli spesso di cose concrete, spiacevoli lo fa sempre in modo molto leggero, dolce; uno a Franco Loi, poeta dialettale milanese che ho conosciuto personalmente a cui ho dedicato Ombra perché ha fatto un libro che si chiama Omber (ombra in milanese) e uno a Nazim Hikmet, a cui ho dedicato Sempre amore, un poeta turco che nella sua vita pur avendo sofferto tantissimo (ha passato una ventina d’anni in carcere) trasmette attraverso le sue poesie un senso di respiro, di speranza per il futuro.
Leggere i versi di queste persone meravigliose mi dà voglia di fare qualche cosa per loro.
Così è stato per Alexander Langer, una persona che vorrei venisse rivalutata, un grande personaggio che purtroppo in tutto questo caos di politici e di corruzione non è per niente riconosciuto.
Nel suo libro Il viaggiatore leggero parla di conflitti etnici, di pace, di ecologia non con il tipico atteggiamento da politico spesso arrogante, bensì con una verità, con un’umanità autentica, tipica di che le ha provate; questo secondo me è eccezionale per un politico. Lui è stato snobbato da tutti perché era troppo vero, era troppo reale, era troppo concreto.

Una speranza?

Spero che il titolo della mia mostra sia almeno un momento su cui riflettere: Lentius, profundius, suavius è una lentezza che possiamo ancora recuperare, una profondità d’animo, di intensità di vita e una dolcezza che in fondo ci accomuna perché tutti siamo dolci se vogliamo. È un’utopia, però mi piacerebbe che fosse il motto di un’epoca nuova. Magari per qualcuno è una cosa piccola, ma per me sarebbe veramente una cosa enorme.

Il curriculum di Alberto Larcher
L'elenco dei mosaici esposti