unitn. n°71 Università degli Studi di Trento

conferenze


Perché l'Italia non ha una classe dirigente?
L'economista Michele Salvati a Trento
intervista di Katia Ruaben a Michele Salvati

Katia Ruaben Nella generalità dei paesi ad economia di mercato e a regime politico pluralistico esiste una classe dirigente che, nelle sue decisioni, privilegia i bisogni collettivi rispetto alle esigenze di singole categorie, il merito dei singoli rispetto alle loro appartenenze sociali, culturali e politiche, la valutazione obiettiva dei risultati raggiunti rispetto alle attestazioni di fedeltà.
Da questa analisi globale emerge come l'Italia, invece, non sia riuscita a creare qualche cosa di simile, neppure nel secondo dopoguerra. Nel nostro paese, da una parte, sono ancora diffuse ideologie di stampo familistico e protezionistico, mentre, dall'altra parte, si continua a manifestare notevole attenzione verso iniziative tese ad innalzare le condizioni di vita di intere categorie, di gruppi e un'assai minore sensibilità verso il riconoscimento collettivo delle capacità dei singoli.
Per capire meglio la situazione italiana, la Facoltà di Economia ha invitato un noto economista e politologo italiano, Michele Salvati, ordinario di economia politica presso l'Università degli Studi di Milano.


Michele Salvati (foto di Daniele Mosna)Professor Salvati, quali sono le ragioni per cui, come dice il titolo dell'incontro, "l'Italia non ha una classe dirigente"?
La mia convinzione, maturata studiando lo sviluppo economico italiano, è che le cause siano multiformi e non risalgano soltanto al presente, ma ad un insieme di scelte sbagliate che trovano la loro origine in una frattura ideologico-politica che ha caratterizzato l'Italia, cioè l'impossibilità in sostanza di creare un'alternanza di governo come negli altri paesi. Questa debolezza genera molte situazioni di precarietà e tensione che rendono l'Italia prigioniera di una fase di lotta sulla distribuzione del reddito, molto più intensa che negli altri paesi, fino alla fortissima inflazione che si manifesta nella creazione di disavanzi continui che danno luogo all'enorme deficit attuale. In Italia non abbiamo un governo forte come, ad esempio, quello francese e il problema dell'inflazione e del debito pubblico spostano l'attenzione dalle questioni importantissime della direzione intellettuale e della politica dello sviluppo. Nel nostro paese non abbiamo la manifestazione di un ceto dirigente adeguato. E non dimentichiamo Tangentopoli; noi cediamo sia al debito che a Tangentopoli. Le nostre strutture di base sono strutture inefficaci dovute ad almeno 25 anni di ceti dirigenti inadeguati che non hanno saputo creare ceti tecnici. La qualità del ceto dirigente è fondamentale; possono modificarsi gli indirizzi di governo, ma se la classe dirigente è di qualità e preparata anche cambiando tipo di governo la stabilità e la preparazione sarebbero assicurate.

Alla luce di questa analisi, quali potrebbero essere le soluzioni, se ci sono?
Non ci sono miracoli, ma una lenta via d'uscita che preveda di creare ceti dirigenti seri e leadership politiche più moderate.

Lei è anche docente quindi conosce molto bene il mondo universitario. Quale apporto potrebbe dare in questo l'università italiana post riforma?
Per quanto riguarda la riforma, la costruzione di un triennio di alfabetizzazione, simile al college americano che rappresenta il grado minimo della competenza civile-culturale, è stato un obiettivo positivo. Ci dovrebbero essere dei traguardi più ambiziosi forse, ad esempio che tutti imparassero molto bene l'inglese. L'università vera inizia con la specialistica e per questo a mio parere il biennio deve essere selettivo. Dovrebbe essere ammesso chi ha la testa e la voglia di andare avanti; i capaci e i meritevoli tanto per intenderci. La qualità si ottiene soltanto con la selezione, non ha senso la proliferazione di corsi di laurea, mentre ha senso puntare sulla qualità e sulla selezione.
E per eliminare l'influenza del ceto e della classe sociale, per evitare che solo chi ha le possibilità economiche abbia una preparazione adeguata andrebbe introdotto un sistema di borse di studio a cominciare dalla scuola media superiore, per superare l'effetto selettivo che hanno le dotazioni culturali familiari, che al momento sono massicce.
La selezione è, secondo me, una conseguenza inevitabile della serietà. Se lo slogan fosse "scuola di qualità per tutti" non sarebbe in grado di formare una classe dirigente ed è quello che si chiede oggi al sistema universitario italiano.

Michele Salvati (foto di Daniele Mosna).