unitn. n°70 Università degli Studi di Trento

conferenze


Il danno da mobbing
La normativa a tutela dei lavoratori
di Carlo Zoli

Carlo ZoliLe recenti acquisizioni giurisprudenziali e dottrinali in tema di mobbing nei confronti dei lavoratori meritano di essere collocate nel solco tracciato dalla Costituzione, dal legislatore ordinario e dalla contrattazione collettiva. In particolare, a partire dallo statuto dei lavoratori si è data piena attuazione ai principi costituzionali in tema di libertà e dignità della persona, ben al di là della tutela della "personalità morale" dei prestatori di lavoro, tuttora centrale nell'ambito dello stesso sistema rivisitato della sicurezza nei luoghi di lavoro. Proprio nella stagione in cui le esigenze di flessibilità avanzate dalle imprese hanno ottenuto un crescente riconoscimento legislativo, la stessa giurisprudenza ha valorizzato le istanze di tutela della persona del lavoratore, a partire dalla sfera della sua professionalità, per estendersi ai molteplici aspetti in cui la sua personalità si esplica e trova realizzazione nei luoghi di lavoro. Se un tale processo evolutivo si rivela ormai in via di consolidamento, le menzionate acquisizioni non sempre denotano la necessaria chiarezza e la dovuta solidità quanto a fondamento giuridico. È quanto emerge, proprio in tema di mobbing, con riguardo agli stessi aspetti centrali dell'istituto, la fattispecie e gli effetti in primis, anche se ciò è in buona misura imputabile tanto all'assenza di un intervento legislativo da tempo atteso in materia, quanto alla controversa qualificazione dei danni alla persona.

Innanzitutto si pone il problema di individuare correttamente la fattispecie giuridica del mobbing sia dal punto di vista della condotta oggettivamente considerata, sia sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Infatti, il mobbing è un concetto "contenitore", una categoria "aperta", alla quale i giuristi spesso con notevole approssimazione hanno ricondotto una pluralità di situazioni, talora del tutto eterogenee. Di queste alcune sono già vietate espressamente dal legislatore (ad es. la dequalificazione professionale e l'adozione di sanzioni disciplinari illegittime), altre rientrano nel più generale contesto della lesione delle condizioni di salute psico-fisica del lavoratore, sanzionata dall'art. 2087 c.c. Di qui la necessità di verificare la configurabilità di una fattispecie più ampia nell'ambito della quale gli esempi richiamati, così come ulteriori figure sintomatiche, possono eventualmente essere ricostruiti in modo unitario. Si rivela, pertanto, più agevole individuare la fonte e le linee generali, più che i concreti contenuti, della fattispecie astratta. In altre parole, per ricostruire il mobbing è possibile far riferimento alla formula utilizzata dall'art. 2087 c.c., che tutela la "personalità morale", oltre che l'"integrità fisica", del lavoratore ed è in grado di ricomprendere e sanzionare tutti gli atti ed i comportamenti del datore o di altri suoi dipendenti, lesivi della persona del prestatore di lavoro alla stregua di una clausola generale. Tuttavia è rimesso al singolo interprete valutare se nel caso concreto la condotta del datore di lavoro sia in qualche modo censurabile.

Charlie Chaplin in una scena del film Tempi moderniUlteriori difficoltà in termini ricostruttivi emergono in relazione all'elemento soggettivo, ovvero alla considerazione del profilo finalistico, dato che, specie con riguardo alla lesione della personalità morale, può variare sia la percezione di ogni prestatore, sia la volontà e l'intenzione del datore di lavoro. A tal fine i contributi offerti dalla giurisprudenza non appaiono univoci, ma non si può dubitare che la struttura oggettiva dell'illecito è quella che offre alla vittima le maggiori garanzie e tutele. La finalità illecita potrebbe, comunque, essere apprezzata dal giudice non attraverso la ricerca dell'intento personale del mobber, ma in base all'idoneità lesiva dei beni della persona e all'intrinseca ratio discriminatoria.
In secondo luogo, ed in estrema sintesi, non lievi perplessità suscita anche la ricostruzione degli effetti, ed in particolare del tipo di danno risarcibile. Il problema è ormai superato in modo soddisfacente laddove sia configurabile un danno alla salute (fisico, estetico, psichico, in una parola biologico). Diversamente deve dirsi, invece, nel caso in cui non sia riscontrabile una psicopatologia apprezzabile e, comunque, quando si faccia riferimento alla lesione della libertà e dignità, in una parola della personalità del lavoratore, al di là dell'ormai consolidata figura del danno morale. Al riguardo, a dispetto di qualche autorevole voce di segno contrario, si è pervenuti al riconoscimento della risarcibilità del c.d. danno esistenziale, inteso come "compressione delle attività realizzatrici della persona costituzionalmente tutelate", anche quale esclusiva conseguenza del fatto che si assume lesivo. In quest'ottica, peraltro, il danno esistenziale rischia di operare come una sorta di pena privata nei confronti del datore di lavoro.
Cosicché, accanto alla funzione di riparazione del danno, sembra affermarsi anche quella più tipicamente punitiva con finalità preventiva.
Si tratta, tuttavia, di un'operazione interpretativa e ricostruttiva che, pur attenendosi ad un ragionamento analogo a quello compiuto dalla Corte costituzionale in tema di danno biologico, si rivela comunque fortemente "creativa" fino ad investire valutazioni di politica legislativa, riguardo alle quali l'interprete e lo studioso non possono spingersi oltre la formulazione di critiche alla soluzione accolta nel diritto vigente e di auspicio per la sua riforma.
Il serrato dibattito in materia sollecita, pertanto, una soluzione legislativa chiara e definitiva anche a tale riguardo.

Sopra: Charlie Chaplin in una scena del film Tempi moderni

Dialoghi di diritto civile