Sociologia e ricerca sociale
Il sociologo americano Howard Becker
inaugura la scuola di dottorato
di Silvia Gherardi
Con
l'anno accademico 2004-2005 ha iniziato ad operare nel Dipartimento di Sociologia
e ricerca sociale una scuola di dottorato nata dalla fusione dei tre precedenti
programmi di dottorato: lo storico programma in Sociologia, che era attivo
dal 1984, e due programmi internazionali costituiti in tempi più recenti,
Information systems and organizations (IS&O) e Metodologia ed epistemologia
delle scienze sociali. Con questa iniziativa, che anticipa la riforma
del terzo livello di insegnamento, si è formata a Trento la più grande
scuola di dottorato in Sociologia in Italia al momento attuale. Essa
può vantare un numero di dottorandi di circa
una cinquantina nei tre anni di corso, con una media di quindici posti annuali
di cui ben nove coperti da borsa di studio, e tre diversi programmi di specializzazione.
Sono numeri che consentono di impostare una didattica di alto livello in
una comunità di giovani studiosi che possono confrontarsi fra loro
e con i docenti di un network di formazione che comprende la collaborazione
stabile con le università di
Bologna, Milano Bicocca, Vrije Universiteit Amsterdam, Parigi Sorbonne e
con l’Istituto Carlo Cattaneo di Bologna.
I dottorandi a Trento troveranno la possibilità di studiare
e di entrare a far parte di gruppi di ricerca che approfondiscono alcune
tematiche nelle quali i sociologi che lavorano nel dipartimento sono un punto
di riferimento sia nazionale che internazionale. I temi che contraddistinguono
la ricerca e la possibilità di specializzazione nella formazione della nuova
generazione di dottorandi sono principalmente, anche se non esclusivamente,
i seguenti:
• la stratificazione e le disuguaglianze sociali;
• l’analisi delle reti sociali e del mutamento socio-politico;
• il rapporto tecnologia, organizzazione e società;
• la società della conoscenza e dell’informazione;
• gli sviluppi della teoria sociologica e dell’epistemologia.
All’interno della scuola di dottorato in Sociologia e ricerca sociale vi
sarà dunque
spazio per la formazione di competenze assai diversificate e per l’integrazione
interdisciplinare. La scuola, infatti, segue la duplice logica dei programmi
di dottorato “disciplinare” e per “problemi”: la prima sottolinea la
competenza sociologica applicata ad una pluralità di oggetti di analisi,
mentre la seconda mira a sviluppare l’integrazione sul campo di rierca
della competenza sociologica con altre competenze disciplinari come quelle
dei sistemi informativi o della psicologia del lavoro e dell’organizzazione.
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Sopra, da
sinistra: Howard Becker, Siliva Gherardi, Enzo Rutigliano.
Inaugurazione della scuola di dottorato, Facoltà di
Sociologia, 15 ottobre 2004.
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Lo
spazio della ricerca sociale è dunque molto ampio, aperto allo scambio
sempre più strutturato con programmi di dottorato in Europa su temi
simili, e aperto anche al dialogo con le imprese e gli istituti di
ricerca privati che negli anni hanno mostrato sensibilità al sostegno
della ricerca e dell’alta
formazione, mettendo a disposizione dei dottorandi borse di studio
finalizzate a promuovere la ricerca su temi specifici. Alcune borse
di studio cosiddette “industriali” sono
state erogate da enti operanti nel territorio provinciale: è questo
un segnale ed un auspicio affinché la ricerca e la formazione universitaria
sviluppino sempre più il dialogo e la collaborazione fattiva con
enti e aziende su problemi concreti.
All’inaugurazione, accanto ai docenti della scuola ed al preside della
Facoltà di
Sociologia, professor Antonio Scaglia, ha preso la parola uno dei
più noti
sociologi internazionali, appartenente alla famosa Scuola di Chicago
e membro del collegio dei docenti della scuola stessa: Howard Becker.
Al sociologo americano, che è stato
testimone del dibattito nella disciplina negli ultimi cinquant’anni, è stato
chiesto di offrire ai dottorandi una riflessione sul “fare sociologia” a
partire dalla sua esperienza personale. Ne è risultata una lezione
magistrale nel senso letterale della parola. Becker ha preso spunto
dalla recente traduzione in italiano di uno dei libri che lo hanno
reso famoso - Art
Worlds (I mondi dell’arte) -
per mostrare ai dottorandi come è stato fatto ed offrire una lezione
sul metodo a partire da una esperienza vissuta e non da astratte
ed asettiche regole metodologiche.
Cosa ha consigliato Becker ai dottorandi? Qual è la lezione di vita
che dottorandi e colleghi possono cogliere tra le righe che descrivono
un’esperienza
personale? Il titolo della comunicazione manda già un messaggio: Making
it up as you go along: How I wrote Art Worlds. Sebbene non sia
di facile traduzione in italiano, la prima parte del titolo richiama
il processo, il fare (ricerca) mentre si va avanti nel farla e simbolicamente
contiene il semplice messaggio che, per quanto accurato possa essere
un disegno della ricerca, non si può sapere
a priori dove la ricerca stessa ci porterà (ed è bene non saperlo!).
La pratica del fare ricerca sviluppa la logica della ricerca stessa.
L’esperienza di Becker nel fare
ricerca sulla produzione artistica come produzione collettiva e sociale è stata
distillata in alcuni passaggi che hanno una valenza metodologica
per il processo di ricerca in generale e forse non solo per la ricerca
sociale. Dalla comunicazione di Becker estrarrò quei passaggi che,
a mio parere, sono i più significativi
per illustrare la sua lezione.
“Incomincio sempre un progetto con la forte consapevolezza di ciò che non so.” Detto
in termini prescrittivi queste parole potrebbero essere parafrasate
come un invito a mettere a fuoco ciò che non si sa la - problematizzazione
- rispetto a ciò che
si crede già di sapere. D’altronde per sapere ciò che non si sa,
occorre sapere ciò che si sa: oggi chiameremmo questo atteggiamento
riflessività.
Tuttavia le parole di Becker non avevano intento prescrittivo, ma
più semplicemente
portavano alla constatazione che, come succede a tutti i ricercatori,
si inizia un progetto con un senso di indeterminatezza dell’argomento,
con la sicurezza di non porre le domande “giuste”, di non sapere
quali siano i metodi migliori per studiare quello che si vuole studiare
e con la sensazione che la letteratura esistente non sia di grande
aiuto. Ma quando inizia veramente un progetto di ricerca? La retorica
dello scrivere progetti di ricerca o libri di metodologia rappresenta
il percorso di ricerca in modo lineare ed ordinato, mentre la vita
del ricercatore suggerisce un processo molto più artigianale
ed aperto agli accadimenti fortuiti. I ricercatori, stando all’esperienza
di Becker, hanno però un metodo per rimanere
aperti senza perdere il senso della direzione in cui si vuole fare
ricerca. Si tratta delle working ideas, di quei “concetti
sensibilizzanti” che
plasmano la modalità di formulare le domande di ricerca.
Cito le parole di Becker: “Fra le idee che mi hanno guidato ve ne
sono tre che considero più importanti: l’idea che la sociologia sia
lo studio di ciò che
le persone fanno insieme, cioè dell’azione collettiva; l’idea della
comparazione costante e l’idea di processo.”
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Nel pomeriggio del 15 ottobre
in rettorato Howard Becker ha eseguito al pianoforte alcuni brani
di musica jazz, una passione da lui sempre coltivata. Al contrabbasso
Stefano Bianchini |
In altri termini viene qui definito sia l’oggetto della disciplina,
sia il metodo dell’imparare dalla comparazione costante dei fatti
sociali simili e dissimili, sia la consapevolezza della temporalità e
del divenire costante della società sotto
gli occhi e l’influenza involontaria di chi la studia.Nel
momento in cui Becker si addentra a raccontare i piccoli aneddoti
che costellano il procedere della ricerca sui mondi dell’arte, rende
anche esplicito il suo metodo di ricerca: “La prima cosa è chiedersi
chi siano i personaggi e gli interpreti che hanno ragionevolmente
preso parte all’evento o abbiano
contribuito all’oggetto
che desidero analizzare [...poi…] vado alla ricerca dei problemi,
cioè delle
piccole rotture del quotidiano come le lamentele e gli incidenti,
e seguo i principi di comparazione e processualità di cui ho già parlato.” E
quando finisce una ricerca? La domanda è meno banale di quanto
sembra e se accadimenti banali come la fine del finanziamento e
simili possono mettere fine ad un progetto, una ricerca è un
processo molto più complesso poiché, come ha sottolineato Becker: “La
complessità è il
mio obiettivo, non la generalizzabilità.”
Questa frase sintetizza l’aspirazione ad un prodotto culturale - il
fine ultimo di una ricerca - che costituisca una cornice interpretativa
al cui interno si continuino a generare idee degne di divenire oggetti
di ricerca. Così è stato
per Art Worlds, pubblicato originalmente nel 1982 e considerato
attuale (o meglio un “classico”) ancora oggi e così possiamo imparare
da Howard Becker il senso del fare ricerca: “La lezione che io
ho appreso dalla mia esperienza è che
non si finisce mai, ma che di tanto in tanto ci si ferma per dire
ai nostri colleghi quello che abbiamo imparato.
Howard
Becker è nato
a Chicago nel 1928 ed è considerato il maggior rappresentante
contemporaneo della Scuola di Chicago. Il contributo principale
di Becker alla sociologia consiste nello studio delle culture
artistiche, della socializzazione professionale (Boys in
White,
1961), della devianza sociale (Outsiders, 1963), della
cultura giovanile e dell'istruzione (Making the Grade,
1968). Accanto all'interesse per così tanti e diversi
temi sostantivi, Becker ha sviluppato una costante rifiessione
metodologica, sia sull'arte di rappresentare la società (Writing
Sociology,
1961), sia sui trucchi del mestiere del sociologo (Tricks
of the Trade, 1978). La sua personale elaborazione metodologica
viene riconosciuta come “metodologia beckeriana” |
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