Diritto di cronaca
e diritto alla privacy
Giustizia civile e informazione in un convegno alla Facoltà di Giurisprudenza
di Giovanni Pascuzzi L’articolo 21 della Costituzione
assicura a tutti la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti. Non a caso l’idea di rivolgersi al giudice nasce automaticamente ogniqualvolta
si pensa al modo di far valere le proprie ragioni. A volte, però, quel diritto costituzionalmente riconosciuto
può essere vanificato in concreto se dal suo esercizio deriva un pregiudizio in ipotesi
addirittura superiore a quello per il quale si invoca giustizia. È il caso dei soggetti affetti da sindromi
contratte a seguito della somministrazione di emoderivati infetti, che potrebbero essere scoraggiati
dal proporre azione di risarcimento del danno per le gravi ripercussioni
derivabili dal rendere di pubblico dominio, perché destinato a diventare
oggetto di notizie giornalistiche, il fatto di essere stati colpiti da determinate patologie.
A ben vedere l’esempio ricordato ripropone l’annoso problema del rapporto tra diritto di cronaca
e attività giudiziaria.
Fatto sta che quando si parla di attività giornalistica in rapporto al mondo giudiziario l’attenzione
si concentra quasi sempre su episodi di rilevanza criminale e, quindi, sul processo penale.
Si finisce così per non prestare sufficiente attenzione al fatto che i mezzi di informazione traboccano
di notizie di rilevanza esclusivamente privatistica la cui fonte si ritrova (in senso lato) in
un procedimento civile. A titolo di esempio si possono ricordare i casi che riguardano: lo
status delle persone (separazioni, divorzi) come le relazioni parentali (perdita
della potestà genitoriale, disconoscimento di paternità, stato di adottabilità di un minore);
le disavventure aziendali (stato di insolvenza di imprese, procedure fallimentari o esecutive)
come le vicende lavorative (licenziamenti o infortuni sul lavoro); le pretese risarcitorie
(responsabilità per prestazioni sanitarie o contenzioso tra politici) come le volontà testamentarie.
Per discutere del rapporto tra “giustizia civile” e “diritto di cronaca” lo scorso 7 marzo (su iniziativa
della Camera Civile dei Fori di Trento e Rovereto, dell’Ordine Regionale dei Giornalisti,
del Sindacato dei Giornalisti, del Dipartimento di Scienze giuridiche e della Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università di Trento) si è tenuto presso la Facoltà di Giurisprudenza un
convegno animato (oltre che da esponenti del mondo accademico: il professor Massimo Montanari e chi
scrive) da autorevoli rappresentanti dei soggetti coinvolti: gli avvocati (Carlo Chelodi, presidente della
Camera Civile dei Fori di Trento e Rovereto, Franco Larentis, presidente dell’Ordine degli Avvocati
di Trento, Alberto Pinalli, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Rovereto, Antonio
Contarino, presidente della Camera Civile di Bolzano e delegato dell’Ordine degli avvocati di
Bolzano, Paolo Alvigini, Vicepresidente dell’Unione nazionale delle Camere Civili), e i giornalisti
(Fulvio Gardumi, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Trentino Alto Adige,
Giampaolo Visetti, Direttore dei quotidiani Trentino, Alto Adige e
Corriere delle Alpi, Paolo Ghezzi, direttore dei quotidiani L’Adige e
Il Mattino di Bolzano, Rocco Cerone del Sindacato Giornalisti). Al magistrato Aldo Giuliani sono state
affidate le conclusioni. Il ruolo di moderatori è stato svolto dal professor Diego
Quaglioni e dall’avvocato Lucio Visonà. Nel corso dell’incontro sono
emersi alcuni dati significativi. È stato sottolineato, ad esempio, che
le informazioni (e i dati che le compongono) costituiscono beni economici e giuridici a tutti gli effetti,
e che tale (forse ovvia) constatazione assume un significato peculiare tanto nei rapporti
tra avvocato civilista e cliente quanto nei rapporti tra avvocati civilisti e giornalisti.
Per altro verso si è notato come l’obbligo di riservatezza occupi un posto di rilievo
nel codice deontologico dei giornalisti, nel codice deontologico degli avvocati, nel codice etico
dei magistrati ordinari. Le ragioni di un richiamo forte ad etica e deontologia per disciplinare un
profilo così delicato come la riservatezza delle persone possono essere: a) la delicatezza degli
interessi in gioco. Stabilire i confini dell’esercizio del diritto di cronaca significa contemperare due
posizioni di rilevanza costituzionale: la tutela della persona e la libertà di
informazione. In tale contesto è difficile tracciare un confine netto; b) la
consapevolezza che norme rigide eteroimposte sono quasi inutili nel momento in cui non vengono
rispettate; c) l’idea che forse hanno maggiori possibilità di essere rispettate norme poste
dagli stessi interessati, facendo leva non già sulla minaccia di una sanzione bensì sul senso di responsabilità
di chi quelle regole è chiamato ad osservare e, di conseguenza, sulla capacità della
stessa categoria di stigmatizzare i comportamenti non conformi al codice di
autoregolamentazione.
Ancora, l’attenzione si è incentrata sulle sanzioni più adatte a scoraggiare tanto l’illegittimo utilizzo
da parte dell’avvocato delle conoscenze acquisite dal cliente, quanto l’esercizio illegittimo
del diritto di cronaca e di critica. Sotto quest’ultimo profilo le risposte classiche dell’ordinamento
sono rappresentate dalla responsabilità civile, ovvero, dalla responsabilità penale, ovvero dalla
sanzione disciplinare.
Probabilmente, però, esiste una quarta via, puntualmente emersa nel corso del convegno.
La sanzione (pur nelle diverse forme ricordate: civile, penale, disciplinare) interviene sempre ex
post. In questo come in altri campi sarebbe preferibile prevenire gli eventi dannosi. E la prevenzione
si identifica con la formazione (di base e permanente).
La nuova legge sul trattamento dei dati personali impone di fare propria la “cultura della privacy”.
Ma c’è di più. La rivoluzione digitale sta cambiando alla radice la nozione di informazione e
tutto ciò che intorno ad essa ruota: dalla figura del giornalista, all’organizzazione editoriale, dal
rapporto produttore-fruitore delle notizie, alla nascita di nuovi canali comunicativi, e così via. In
questo contesto è indispensabile pensare in modo nuovo alla formazione degli operatori della comunicazione.
Si tratta di una sfida.
E l’Università può certamente fare la sua parte per raccoglierla.
In alto: Convegno Giustizia civile e diritto di
cronaca, Facoltà di Giurisprudenza, 7 marzo 2003.
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