Molteplicità
e valorizzazione dei beni culturali
A Trento una laurea in questo settore
di Roberto Togni Il primo caso italiano di laurea
in Beni culturali è quello di Udine, sorto sulla spinta del tragico terremoto del Friuli che
aveva posto in termini drammatici il problema del salvataggio del patrimonio storico di quella importante regione.
In seguito le facoltà e le lauree di questo genere si sono notevolmente incrementate in
varie parti d’Italia.
Anche la laurea in Beni culturali promossa a Trento dalla Facoltà di Lettere ha raccolto un vivo successo
di iscrizioni. Segno dei tempi e di una accresciuta sensibilità verso un patrimonio di cui il
nostro Paese è particolarmente ricco, ma verso il quale è stato troppo a lungo disattento.
I beni culturali e ambientali sono assurti alle cronache grazie a due concomitanze: la crisi ambientale,
sociologica ed ecologica successiva al grande sviluppo industriale; la nascita delle Regioni.
Queste infatti potevano costituire l’occasione per il recupero, la valorizzazione e la fruizione del
patrimonio culturale dei singoli ambiti geografici e storici.
Mentre l’elemento di crisi, conseguente all’esodo dalla campagna e all’ingresso nella fabbrica, alimentava
vivacemente il richiamo all’antica cultura paesana e contadina, l’urgente bisogno
di radici culturali, nonostante l’accresciuto benessere. Frattanto proprio in quegli
anni scoppiava in tutta la sua urgenza la problematica ecologica e urbanistica.
La recente espressione “beni culturali” nasceva proprio allora: prima del Ministero omonimo
(1974), voluto dal senatore Giovanni Spadolini, e delle Regioni, tardiva attuazione della Costituzione.
Di pari passo si consolidava la nuova posizione concettuale contrapposta alle “antichità
e belle arti”: denominazione ottocentesca dei capolavori, dei monumenti insigni, ritardataria non
solo concettualmente, ma sul piano giuridico e politico, perché frutto di un’organizzazione giuridica
ed amministrativa del patrimonio fortemente accentrata, di tipo prefettizio.
La vera rivoluzione è consistita nel ritenere beni culturali tutti i segni e le presenze della operosità
umana sulla faccia della terra: artigianato, architettura popolare, architettura laica e religiosa, archeologia
classica e industriale, paesaggio antropizzato, cultura orale, arti e tradizioni popolari,
centri storici e insediamenti minori, miniere e fabbriche obsolete, includendo naturalmente
i patrimoni museali, archivistici, bibliotecari, musicali e paletnologici.
In altri Paesi, ad esempio in Inghilterra, il grado di consapevolezza circa l’importanza del patrimonio
monumentale, storico e ambientale ha avuto radici molto più remote, se è vero che già
nel 1881 William Morris affermava: “Il mio concetto di architettura abbraccia l’intero ambiente
della vita umana; non possiamo sottrarci all’architettura, finché facciamo parte della civiltà,
poiché essa rappresenta l’insieme delle modifiche e delle alterazioni operate sulla superficie terrestre,
in vista delle necessità umane, eccettuato il puro deserto.” “[...] ciascuno di noi è impegnato
a sorvegliare e custodire il giusto ordinamento del paesaggio terrestre, ciascuno con il suo
spirito e con le sue mani, nella porzione che gli spetta, per evitare di tramandare ai nostri
figli un tesoro minore di quello lasciatoci dai nostri padri”.
Non a caso in Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento nascevano
organizzazioni per la salvaguardia dell’ambiente e del patrimonio naturale, quali la
S.P.A.B. (Society for the Protection of Ancient Building, 1877), l’ormai
famoso National Trust for places of historic and natural beauty, (1875),
corrispondente al FAI - Fondo per l’Ambiente Italiano - che, lo ricordiamo volentieri in questa
sede, ha ormai raggiunto notevoli risultati anche in Trentino, tra i quali si annovera il restauro e la
valorizzazione del Castello di Avio. Ma la posizione inglese si spiega anche perché lo sviluppo
industriale e tecnologico è stato ben più precoce del nostro, provocando di conseguenza le reazioni
degli studiosi nonché dell’opinione pubblica a favore dell’archeologia industriale.
Non v’è dubbio che il territorio trentino potrà e dovrà assorbire in certa misura le nuove professionalità
che emergono da queste nuove lauree, con riguardo soprattutto al turismo ed alla scuola.
Ma ci piace esprimere l’auspicio che siano gli studenti stessi a “studiare e inventare” nuove
figure professionali, perché viviamo in una società in profonda trasformazione
che richiede molta fantasia e mobilità.
Nella foto
al centro: il Museo di arte
moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (MART);
sotto: Arte Sella, la “Cattedrale vegetale” ideata dall’artista
lombardo Giuliano Mauri.
Bibliografia
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