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Integrazione europea e divari regionali
Un progetto interuniversitario coordinato da un gruppo di ricerca del Dipartimento di Economia
di Maurizio Pugno

È noto che, nella media degli ultimi 10-15 anni, l’Unione Europea (UE) ha incontrato seri problemi di disoccupazione e di crescita economica, mentre gli Stati Uniti hanno avuto una fase espansiva lunghissima con una drastica riduzione della disoccupazione. Gli economisti hanno dibattuto intensamente sulle cause di questa cattiva performance dell’Europa: alcuni sostengono che la causa principale riguarda la scarsa flessibilità nel mercato del lavoro, altri ritengono che vi sia stata una politica economica troppo restrittiva. Meno noto e meno dibattuto è il fatto che le regioni europee hanno una eterogeneità non comparabile a quella degli stati che formano gli USA. Le dieci regioni più arretrate dell’UE hanno un prodotto pro-capite che è circa ¼ delle regioni più ricche, ed un tasso di occupazione (vale a dire il rapporto fra occupati e popolazione in età lavorativa) che è quasi la metà. Un buon gruppo di regioni sono cresciute oltre il 3% annuo, invece altre si sono quasi fermate. Si osservi ancora che queste disparità non passano tanto tra stato e stato, ma piuttosto attraversano gli stati. Da queste osservazioni emerge dunque una domanda: quanto contano queste disparità nello spiegare la cattiva performance dell’Europa?
Tentare di rispondere a questa domanda costituisce un filone di ricerca che da anni interessa diversi economisti del Dipartimento di Economia, a partire dal progetto inter-universitario co-finanziato dal Murst nel 1999 e 2000 e coordinato dall’Unità di Trento “Integrazione europea e divari regionali nella crescita economica e nella disoccupazione”, e in prosecuzione all’interno del progetto d’Ateneo di quest’anno “Da nazioni a regioni: mutamenti strutturali e istituzionali dopo l’ingresso nella UME”. 
Un primo passo importante della ricerca è stato compiuto sulla base della osservazione che le differenti regioni europee sono a loro volta caratterizzate da diversa rilevanza del settore agricolo, rispetto ai settori industriale e dei servizi. In particolare, la ricerca ha messo in evidenza che le regioni più povere sono anche quelle che erano partite (almeno) 20 anni prima con una più elevata quota di occupati nel settore agricolo, e che maggiormente hanno ridotto tale quota negli anni successivi. Questo le avrebbe portate ad aumentare la loro produttività complessiva, e ad avvicinarle ai livelli di ricchezza delle altre regioni. Questa catena causale è spontanea, poiché il progresso tecnico è molto meno importante per il settore agricolo che per gli altri settori, e perché la spesa in prodotti agricoli è una componente sempre più ridotta nel budget delle famiglie. Alcune regioni arretrate, tuttavia, hanno mantenuto la loro vocazione agricola, e questo potrebbe aver rallentato la loro crescita. Sarà interessante in tal caso studiare se le politiche applicate in Europa non abbiano ostacolato nel lungo periodo quelle regioni che, invece, intendevano aiutare.
L’uscita degli occupati dal settore agricolo sembra però che abbia portato con sé un altro preoccupante fenomeno: l’aumento della disoccupazione. Tuttavia, non tutte le regioni che hanno ridotto il settore agricolo hanno anche la maggiore disoccupazione. Un ruolo importante per assorbire lavoro è infatti giocato dal settore dei servizi, che è più sviluppato nelle regioni ricche, ma è di rilievo anche in diverse regioni arretrate. È stato dimostrato, tuttavia, che i servizi oltre ad assorbire molto lavoro, hanno lo spiacevole effetto di rallentare, attraverso la loro accresciuta importanza, la dinamica della produttività dell’intera economia (legge di Baumol). Non si pensi tanto ai servizi destinati all’industria che, per quanto dinamici, rimangono una quota molto ridotta rispetto all’intera economia, quanto ai servizi per le famiglie, come la sanità, i servizi alla persona, l’istruzione, la cultura. Ebbene, in questi servizi il fattore lavoro rimane molto poco sostituibile e la produttività non può crescere di molto. D’altra parte, queste sono voci dei bilanci familiari in crescita, sospinte dai più elevati livelli di ricchezza (legge di Engel). Una conferma di questa seconda catena causale, viene dalle regioni europee che includono le grandi aree urbane. Queste infatti mostrano sia le più elevate quote di occupazione nei servizi, sia, spesso, bassa disoccupazione, sia moderati tassi di crescita. Pertanto, un ordinato processo di convergenza fra regioni dovrebbe prevedere una riduzione del settore agricolo accompagnato da una attenta politica di espansione dei servizi. Purtroppo, questo non è avvenuto, e la convergenza ha riguardato solo una parte delle regioni.
Studiare il ruolo macroeconomico dei consumi alle famiglie implica necessariamente, per la loro importanza, studiare i servizi erogati nei sistemi di welfare, in primo luogo i communal services. In proposito si osserva che l’Europa continentale e meridionale, e in particolare le loro regioni arretrate, hanno ridotte quote occupate in questi servizi. La ragione principale dei divari con i paesi nordici è stata individuata nella diversità tra modelli di welfare. Nell’Europa continentale e meridionale, infatti, prevalgono i trasferimenti alle famiglie, che vengono così ritenute come produttori prevalenti, ancorché secondo modalità informali, di servizi che gli stati nordici erogano direttamente. Ciò ha ridotto l’impegno della pubblica amministrazione nella produzione e nel finanziamento di questi servizi, rallentandone l’espansione anche in situazioni di bisogni crescenti.
I divari regionali nell’offerta di servizi alla persona e alla comunità sono stati approfonditi utilizzando i dati di una indagine campionaria realizzata nel 1998-99 sull’offerta di servizi sociali in 15 province italiane. Da essa emerge che il limitato sviluppo di questi servizi nelle regioni del Mezzogiorno è causato prevalentemente dai ritardi della pubblica amministrazione (soprattutto locale) da cui dipende in larga parte il finanziamento dei servizi. Nonostante questo, si registra una buona vivacità delle organizzazioni private, specialmente non-profit, a prevalente composizione giovanile, che mostrano una dotazione di capitale umano ed una motivazione superiori nelle regioni del Mezzogiorno rispetto a quelle del nord. Si può pertanto trarre la conclusione che la disoccupazione meridionale dovuta a comportamenti di “attesa” del posto pubblico si sta riducendo. Questo porta a sottolineare l’importanza della credibilità degli interventi pubblici, come quelli volti ad aumentare l’efficienza.
I servizi alla persona sono generalmente considerati, in contrapposizione a quelli alle imprese, come servizi finali, e quindi solo con effetti sul benessere e non sulla produttività del sistema economico. È tuttavia interessante studiare l’aspetto di servizio intermedio che è proprio di alcuni importanti servizi, come l’educazione, in quanto produttori di nuovo capitale umano. Ebbene, se viene considerato questo aspetto, la ricerca fa emergere, ancora una volta, la raccomandazione che gli interventi di politica rivolti, anche se non direttamente, al finanziamento di un’attività devono essere valutati nei loro effetti sulla crescita futura (piuttosto che solo nei loro effetti di sostegno del reddito e dell’attività correnti). Solo con gli interventi di politica si possono ottenere quei benefici per la comunità che vanno al di là dei benefici direttamente, e spesso solo immediatamente, percepibili dai singoli individui.


 

Dipartimento di Economia

L’attività di ricerca svolta dai singoli membri del Dipartimento segue modalità differenziate sia in relazione alle tematiche sviluppate che agli approcci adottati, riflettendo in tal modo il ventaglio disciplinare relativamente ampio delle scienze economiche. Tuttavia la produzione scientifica del Dipartimento, nel corso del tempo, si è via via concentrata su un numero limitato e relativamente stabile di aree, di cui le principali sono:
- Teoria delle decisioni e del comportamento economico, con lo scopo di analizzare e sottoporre a verifica le ipotesi di razionalità del comportamento umano anche metodi sperimentali attuati nel Laboratorio di Economia Sperimentale e Computazionale del Dipartimento;
- Imprese, organizzazioni e istituzioni private e pubbliche, il cui scopo è comprendere e spiegare la nascita, l'evoluzione e le decisioni delle organizzazioni economiche nonché il mercato del lavoro;
- Struttura industriale, progresso tecnico e crescita, studi che analizzano le connessioni tra i mutamenti della struttura industriale, in particolare indotti dal progresso tecnico, e i processi di crescita economica aggregata e distribuzione del reddito;
- Teorie e politiche macroeconomiche, ossia i fondamenti dei fenomeni economici, analizzando i comportamenti individuali, il funzionamento dei mercati come meccanismo di raccolta delle informazioni e di coordinamento delle decisioni, il ruolo delle istituzioni della politica economica;
- Ambiente, territorio e istituzioni per lo sviluppo locale, dove si studiano le interrelazioni ed i condizionamenti reciproci tra sistema economico, sistema agro-alimentare e sistema ambientale, il ruolo delle specificità sociali, economiche e istituzionali nel determinare le condizioni di sviluppo regionale, nonché l'efficacia di strategie e politiche locali di sviluppo.

Direttore: Roberto Tamborini
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