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  In ricordo di Enzo Perlot  

Bruno Bottai: insieme a Bruxelles per la costruzione dell’Europa
Intervista a Bruno Bottai

Ambasciatore Bottai, come ha conosciuto Enzo Perlot?
Ci siamo conosciuti all’inizio della carriera per entrambi intorno al tema della “costruzione europea” che in quel momento si chiamava Mercato Comune e che era un tema appassionante per la nostra generazione che aveva visto la guerra, poi l’Europa divisa, l’occupazione sovietica in mezza Europa, ossia circostanze ben diverse da quelle di oggi.
Quindi noi ci siamo “scambiati il posto”: io alla Rappresentanza a Bruxelles ero l’ultimo dei Segretari ed Enzo Perlot venne a prendere il mio posto. Sono quelle amicizie che nascono in gioventù e, oltre tutto, nascono intorno a un tema di lavoro, a un ambiente: è nata subito una fortissima simpatia e collaborazione.

Il momento più felice e quello più triste con lui.
Il periodo più felice, quello che ho descritto, cioè il periodo di Bruxelles: non solo per Enzo e per me, ma per vari colleghi e amici è stato un periodo straordinario, perché eravamo molto giovani. Eravamo giovani come era giovane la costruzione europea e quindi c’era un clima di fervore. Ognuno ha fatto una carriera abbastanza brillante: Enzo, io e altri amici. Credo che quello sia stato un momento unico e penso che, anche per lui, sia stato il più felice; anzi, ne sono convinto, anche se poi è stato molto contento in Germania, ma era tutta un’altra cosa perché l’entusiasmo di quel periodo giovanile certamente non c’era più.
Il periodo più difficile: Enzo non era un uomo facile; sembrava un alpino che cantava le canzoni alpine - e le cantava! -, ma era un uomo complesso. Aveva la complessità della sua famiglia; il padre era morto quando lui era giovane; praticamente non aveva conosciuto la madre perché stava male ed era morta molto presto.
Enzo aveva avuto una vita non facile e questo in alcuni periodi della sua vita è riemerso: per fortuna la moglie e i figli, lo hanno sostenuto. Ci sono stati alcuni periodi difficili e la famiglia gli è stata molto vicina.

Secondo lei, che cosa gli dava più soddisfazioni nella vita?
Certamente il lavoro. Poi Enzo Perlot era molto fiero di essere trentino e montanaro e di essere quindi italiano però, al di là di queste cose vere, ma che hanno un pochino di retorica, io credo che sia stata la famiglia la cosa importante: l’affetto per la moglie e i figli.

Il suo legame con l’Università di Trento. Come percepiva, secondo lei, questa missione?
Non si può pensare a Enzo senza ricordare Trento perché ci teneva molto: queste canzoni alpine, anche se stonava un po’! Poi la nonna, perché, se i genitori erano morti presto, lui aveva invece avuto una nonna che è vissuta fino a circa cent’anni (è morta pochi anni fa); raccontava tanti aneddoti su questa nonna.
Il rapporto con Trento si è accentuato quando è stato Ambasciatore in Germania, perché la sua origine trentina ha consentito a Enzo, con consapevolezza, di occuparsi dei rapporti anche culturali e naturali tra l’Italia e il mondo di lingua tedesca e in questo ruolo - che oggi con l’Europa unita è un grosso ruolo - Trento ha una sua funzione. Enzo lo ha capito ben presto; ci ha lavorato sopra negli anni in cui era a Bonn e poi a Berlino ed è approdato a questa funzione nell’Università di Trento con grande piacere.
Sono stato felice per lui perché c’è sempre, al momento della pensione, un momento di difficoltà psicologica, soprattutto per chi ha lavorato molto come noi. La soluzione dell’Università di Trento è stata molto naturale per Enzo Perlot e l’affrontava con grande entusiasmo.

Che cosa faceva di lui un amico più che un collega?
Per noi l’amicizia ha preceduto di molto il rapporto professionale. Fra l’altro, oltre che essere stati alla culla dell’Unione Europea a Bruxelles nello stesso periodo e con rapporti intensissimi, quando io sono stato - una quindicina di anni dopo, agli inizi degli anni ’70 - Consigliere Diplomatico di Colombo a Palazzo Chigi ho chiamato Enzo come mio vice.
Quando sono diventato Segretario Generale della Farnesina - nel 1986/87 - ho chiamato Enzo come Direttore Generale degli Affari Politici che, praticamente, è il braccio destro del Segretario Generale. Le nostre carriere, le nostre vite sono state tessute insieme; sono stato testimone di nozze a Stoccolma, sono padrino di sua figlia e, quindi, siamo stati legatissimi.

Ha dei rimpianti?
Sì, un rimpianto certamente. Enzo e io, dopo un minimo di sconcerto, stavamo così bene apprezzando questa maggiore libertà, rispetto a un lavoro molto intenso che abbiamo svolto, che ci dava il pensionamento. Lui veniva quasi tutte le domeniche a messa sotto casa mia, nonostante fosse piuttosto lontana perché io abito nel centro di Roma; dopo la messa facevamo una passeggiata.

Qual è l’aggettivo che le sembra più appropriato per descrivere Enzo Perlot?
Come lo definirei con un aggettivo? Una natura generosa, una persona di grande buon senso, di grande realismo e questa straordinaria simpatia umana che emanava da lui e che è stata una delle qualità maggiori non solo dell’uomo, ma anche del funzionario. Era straordinario nel trattare gli uomini.

Nella foto: Enzo Perlot e Romano Prodi, Presidente della Commissione Europea, al convegno Nation Federalism and democracy, Trento 5 ottobre 2001