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  associazione laureati  

Rapporti Confindustria-Università
Un’intervista a Costanza Patti, responsabile della Confindustria per i rapporti con l’Università
Intervista di Elisabetta Nones a Costanza Patti

A conclusione dell’incontro abbiamo rivolto alla dottoressa Patti qualche domanda specifica sui rapporti di Confindustria con l’Università, in particolare in riferimento alla collaborazione delle associazioni industriali con il mondo universitario.

In cosa si concretizza la collaborazione dell’Associazione Industriali del Trentino con l’Università di Trento?
A Trento non manca un coinvolgimento del mondo imprenditoriale sia nelle fasi di orientamento universitario, che nella realizzazione di stage per gli studenti in collaborazione con la Facoltà di Ingegneria. È già avviato, inoltre, di concerto con la Facoltà di Economia, un Master per Manager dei Balcani. 
Nella realtà trentina è stata efficace anche la consultazione tra imprenditori e ateneo sulla nuova riforma universitaria, e sono già al via i primi risultati. Da un fabbisogno emerso nel settore informatico partirà infatti un progetto per 20 “apprendisti laureati”. L’iniziativa, a cui partecipa anche l’Agenzia provinciale del lavoro e naturalmente le aziende del territorio più innovative nel settore dell’ICT, prevede un bando di gara per 20 posti; gli studenti selezionati potranno così frequentare il corso triennale di informatica sulla base del modello dell’apprendistato, con la commutazione di esami complementari in crediti formativi.
Si tratta di circa 3360 ore di programmazione accademica e di circa 3200 ore di formazione in azienda.
Del resto, anche i dati dell’ultima Indagine Alma Laurea pubblicata lo scorso marzo dimostrano che i tassi di occupazione nel territorio trentino sono significativi.
Lavorano infatti:

  • ad 1 anno dalla laurea, il 67,2 % dei laureati dell’anno 2000;

  • a 2 anni dalla laurea, il 78% dei laureati del 1999;

  • a 3 anni dalla laurea, l’83,5 % dei laureati del 1998.

La media di occupazione dell’Ateneo trentino è del 67,2 % rispetto a quella di tutti gli atenei dell’indagine che è del 61,1%.
I dati dimostrano dunque che l’università può guardare alle imprese come ad un partner indispensabile perché l’impresa rappresenta un luogo di sintesi di cultura e di professionalità che permette ai giovani di avere un rapporto attivo con la realtà.

Lei ha parlato nel suo intervento della necessità per Confindustria di operare in futuro delle selezioni nell’erogazione di finanziamenti agli atenei. Su quale base si strutturerà questa selezione? Lei pensa che Trento abbia le carte in regola per fruire di eventuali contributi e collaborazioni?
Per non essere cancellata dalla mappa del sapere, l’Italia deve investire in modo selettivo, abbandonando la deleteria prassi dei finanziamenti a pioggia e scegliendo quegli atenei e quei filoni di ricerca che già oggi godono di un indiscusso prestigio internazionale. La Riforma dell’Autonomia didattica introdotta con il DM 509/99 ha lanciato al sistema universitario una sfida “forte”: orientare lo sviluppo della propria offerta didattica secondo i risultati del confronto con il mondo produttivo e delle professioni. Siamo convinti che le università dovranno essere valutate proprio su questa capacità, di integrarsi costruttivamente con il contesto esterno.
A questi nuovi impegni dovranno essere dedicati in modo esplicito tempo, risorse economiche ed organizzative ed incentivi appropriati, per sostenere concretamente la “rete di connessioni” che, come l’Università di Trento sta dimostrando, è la strada giusta da percorrere.

Secondo Lei, quali migliorie sono necessarie all’interno dell’università affinché i rapporti con il mondo del lavoro possano avere una valenza concreta?
La Riforma universitaria che abbiamo appoggiato punta a modernizzare l’università italiana, sviluppando la capacità degli atenei di integrarsi con il territorio e con la comunità economica e sociale di riferimento.
Cosa significa questo? Molto concretamente, vuol dire che la modernizzazione dell’università passa ad esempio attraverso l’adozione di leve organizzative al proprio interno, in grado di innescare il cambiamento, migliorare le performances in termini di produttività formativa e scientifica e migliorare il rapporto costi/benefici.
Occorre insomma, che le università facciano un salto di qualità, che acquistino quella libertà di azione, e non solo intellettuale, che consenta loro di misurarsi con il mercato.
È necessario far crescere l’autonomia finanziaria delle università; occorre che le università acquisiscano la cultura della valutazione delle risorse umane e della gestione economico finanziaria delle proprie risorse, che consenta loro di scegliere liberamente i propri docenti a seconda dei loro requisiti professionali, variando la loro retribuzione in relazione al tipo di impegno, alla funzione ed alla qualità del lavoro svolto.
L’università italiana ha bisogno di flessibilità. 
Come il mondo del lavoro, essa deve far propria quella catena del valore che fa di una organizzazione – azienda, ente o istituzione che sia – un’organizzazione vincente.

Nelle foto: in alto a sinistra, Elisabetta Nones; a destra, Costanza Patti.