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  associazione laureati  

Cosa ci insegna la pubblicità?
Maurizio Nichetti alla Fiera
Intervista di Elisabetta Nones a Maurizio Nichetti, regista

Nell’ambito della Fiera del Lavoro si è svolto il seminario Marketing e comunicazione d’azienda; il tema Comunicare il prodotto attraverso la pubblicità è stato affrontato da un ospite d’eccezione, il regista Maurizio Nichetti, al quale abbiamo rivolto alcune domande.

Può parlarci di come è entrato nel mondo della pubblicità?
Una delle componenti che ha influito maggiormente sulla mia scelta di lavorare in questo settore è stata sicuramente la fortuna. A titolo di incoraggiamento per i giovani in cerca della prima occupazione, mi sento di dire che spesso ci vuole un pizzico di fortuna per trovare il lavoro ideale, oltre naturalmente alle competenze specifiche richieste dalla professione che si intraprende. Io avrei voluto fare l’attore di spot pubblicitari, ma poi mi è stata offerta la possibilità di scrivere le gag e da qui è cominciato il mio percorso all’interno del mondo dell’advertising e quindi del cinema. Da regista pubblicitario a regista di cinema... perché il passo non è poi così lungo, se si pensa che il ritmo dei film commerciali è molto simile a quello degli annunci pubblicitari e di conseguenza della vita. Di qui l’impatto che la pubblicità ha avuto sul gusto cinematografico medio.

Quale messaggio si può evincere da queste sue considerazioni?
Direi che, nonostante la diffusa demonizzazione del settore della pubblicità, certo qualcosa di buono si può trarre: nel ritmo incalzante degli spot pubblicitari emerge la necessità di dare molta importanza alla concisione dei messaggi per favorire la rapidità della comunicazione. Così anche nella vita bisogna imparare a dare importanza ai secondi e vivere intensamente ogni attimo, dando valore alle piccole cose. A tutte le critiche che vengono fatte ai pubblicitari risponderei così: ognuno di noi deve avere una propria coscienza professionale che costituisce il codice deontologico privato di ognuno, perché è vero che l’obiettivo è alimentare il consumismo, non sicuramente di migliorare il mondo. I media in fondo deformano la realtà e noi assumiamo dei comportamenti indotti: è come se ci guardassimo in uno specchio deformante.