no43

  visiting professor  

A Trento Aaron Cicourel
Uno dei più interessanti sociologi del panorama contemporaneo statunitense
Intervista di Davide Nicolini ad Aaron Cicourel

Nelle scorse settimane è stato ospite del nostro ateneo Aaron Cicourel, una delle più note figure della sociologia contemporanea statunitense. Californiano doc e grande affabulatore, durante la sua visita a Trento il professor Cicourel ha partecipato a numerose attività didattiche e meeting scientifici alternando considerazioni teoriche, indicazioni metodologiche ad aneddoti sui suoi incontri con i personaggi più importanti della cultura occidentale dell’ultimo cinquantennio. Qui di seguito riportiamo alcune parti di una lunga conversazione-intervista con la professoressa Silvia Gherardi, a cui si deve l’invito del professor Cicourel, il professor Antonio Strati e il dottor Davide Nicolini.

Quando e come è iniziata la sua carriera accademica?
Ho iniziato i miei studi a Los Angeles prima della seconda guerra mondiale, quando la città era molto diversa da adesso e la costa californiana era ancora un posto selvaggio e isolato. Cominciai a studiare filosofia ma qualcuno mi disse che non sarei mai stato in grado di trovare un lavoro.
Così decisi di dedicarmi alla psicologia sperimentale, che allora voleva dire osservare topi che si aggiravano in delle scatole. Ma anche lì l’idea che i topi potessero costituire un utile modello per il comportamento umano mi lasciava perplesso. Così finii per laurearmi in sociologia e antropologia. Quando venni chiamato alle armi andai dal mio professore e mi feci consigliare dei libri da leggere durante la ferma; mi ritrovai a portare in giro per due anni i grandi tomi dei due sociologi più in voga all’epoca, Parsons e Merton - e vi assicuro che erano due libri ben pesanti! Dopo la guerra ripresi gli studi integrando lo studio delle discipline sociali con la neurofisiologia, la filosofia e la matematica. E tuttavia anche qui non ero soddisfatto dei metodi quantitativi di quegli anni e di ciò che la matematica permetteva di fare, così ho fatto la tesi di dottorato e ho costruito la mia carriera sull’utilizzo di metodi etnografici. Dopo alcuni anni dall’inizio della mia carriera da professore mi fu offerto un posto alla UCLA School of Medicine. Accettai. Divenni parte del corpo docente e lì sono rimasto anche se mi sono spostato da Santa Barbara a San Diego.

Lei lavora in una Facoltà di Medicina. Non è un po’ strano per un sociologo?
Sì, soprattutto se pensa che mi pagano lo stipendio e io ho diritto di voto negli organi collegiali, pur restando a tutti gli effetti membro della Facoltà di Sociologia di cui sono stato a varie riprese direttore. Tuttavia questa collocazione mi ha permesso di fare molte delle mie ricerche fra cui quelle sulla interazione fra medico paziente e fra medici perché non dovevo chiedere permesso a nessuno. Ciò mi ha inoltre permesso di occuparmi di altre questioni di frontiera quali ad esempio la dimensione sociale e linguistica della cognizione.
Ad esempio per anni ho tenuto un seminario per gli studenti insieme a Rumelhart (il padre della teoria del parallel computing) e un altro psicologo cognitivo. Gli studenti erano abbastanza frastornati perché spesso in aula eravamo in tre, ma fra di noi imparavamo tantissime cose.

Come descriverebbe il suo approccio alla ricerca sociale?
Ho sempre avuto un approccio molto personale che mi ha posto ai margini delle varie scuole accademiche. Nei miei lavori mi sforzo di comprendere e descrivere le pratiche comunicative e come le persone interagiscono durante lo svolgimento di compiti. Per fare questo cerco di imparare più cose che posso sull’ambiente che intendo osservare e poi ci passo un lasso di tempo piuttosto lungo. Ad esempio, in uno dei miei studi su due dipartimenti di polizia il lavoro di ricerca durò quasi tre anni, in cui mi feci assumere come assistente poliziotto. Sono inoltre convinto che la ricerca sociale debba essere sempre svolta con una estrema attenzione alla comprensione dei vincoli organizzativi in cui si svolge sia l’azione delle persone che osserviamo sia quella del ricercatore.
Per questo insisto molto nel descrivere anche tutti i vincoli che possono aver condizionato ciò che ho visto e che non ho visto. Infine, una delle cose che credo caratterizzino il mio approccio è una continua attenzione per il linguaggio e per come il conversare sia alla base delle nostre interazioni e del fatto stesso che il mondo ci appare come ordinato e prevedibile.

Quali sono i suoi più recenti interessi e attività di ricerca?
Continuo ad occuparmi della interazione fra operatori del mondo sanitario. Mi interessa ad esempio il modo in cui la memoria, il linguaggio e le differenti posizioni gerarchiche influiscano su come vengono intervistati i pazienti, come vengono redatte le cartelle cliniche e in ultima analisi come tutto ciò influisca sulla formulazione della diagnosi. E infatti per anni ho aiutato soprattutto medici e pediatri a imparare la difficile arte di visitare i bambini. Nel passato mi sono inoltre occupato di studiare lo sviluppo linguistico dei bambini sempre nell’ottica di aiutare gli insegnanti a interagire meglio in classe. Infine da anni lavoro sulle questioni del rapporto tra linguaggio e inferenza e su come ciò possa essere messo a frutto nel disegno di sistemi esperti.
Ho in corso, inoltre, alcuni interessanti progetti all’estero. Ad esempio svolgo un ruolo da consulente in un interessante lavoro di una équipe francese che sta studiando l’interazione fra i membri del Parlamento Europeo e della Commissione a Bruxelles. Osservare l’attività di policy making da vicino è affascinante: è incredibile con quali modi e sotterfugi i politici creano, gestiscono e nascondono i conflitti, o come le differenze linguistiche fra rappresentanti possono essere utilizzate attivamente come strumento politico per capirsi o non capirsi. Io credo che questa ricerca fra l’altro mostri bene come parlare di potere e politica senza andare a osservare cosa ciò significhi in pratica ci espone a fare delle affermazioni che sono alla fine solo delle inferenze.

Nelle foto: in alto a destra, Aaron Cicourel durante il seminario Knowing, language and Pratice; sotto i partecipanti al seminario A Roundable on Sociology and Cognitivism.