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 universo ricerca 
Ignazio Lazzizzera
A caccia delle mine: la fisica si lega all'impegno umanitario
Paolo Bari intervista Ignazio Lazzizzera

La ricerca scientifica unita all'impegno umanitario. Da questo connubio sono nati "Explodet" e "Diamine", due progetti relativi a sistemi di rilevazione di mine antiuomo. Uno dei protagonisti delle ricerche è Ignazio Lazzizzera, docente di fisica presso la Facoltà di Scienze dell'Università di Trento. Ecco quanto ci ha dichiarato.

Quali sono le dimensioni del fenomeno?


Impressionanti. Negli ultimi anni l'uso delle mine antiuomo è diventato sempre più frequente per rendere inutilizzabili vaste aree anche dopo la fine dei conflitti. Durante la guerra le mine hanno il compito di distogliere risorse umane dai combattimenti. La cattiveria umana è riuscita a produrre un ordigno che non uccide, ma che provoca danni peggiori solo con il ferimento dei nemici. Si ipotizza che nel mondo vi siano 150 milioni di mine, con particolare densità in Africa (per esempio in Angola), in Asia (Cambogia e Vietnam) e nell'ex-Jugoslavia. Questo numero va aumentando nonostante gli sforzi umanitari di bonificare le aree. In Croazia lo sminamento avrebbe bisogno di cento anni per essere completato.

E da un punto di vista economico?


Una mina costa al massimo dieci dollari. La bonifica comporta invece un costo oscillante fra i cinquecento e i mille dollari. Gli interessi economici sono pertanto enormi; sappiamo che l'Italia è uno dei maggiori produttori di questi ordigni.

Come è avvenuta finora la bonifica di un terreno minato?


Vi sono diversi sistemi. Il problema è quello di trovare le mine con un minimo di certezza e in condizioni di estrema sicurezza. Finora i militari hanno adottato un sistema piuttosto sbrigativo e poco accurato perché non sono interessati ad uno sminamento completo. Le organizzazioni umanitarie utilizzano metal detector (uno strumento che non ha tuttavia un'efficacia totale perché provoca numerosi falsi allarmi) oppure cani (con il rischio di una saturazione dell'olfatto degli animali). Oggi inoltre le mine sono costruite prevalentemente in plastica, un materiale che sfugge alla rilevazione da parte dei metal detector.

Cosa è possibile fare adesso?


Da alcuni anni le ricerche si sono indirizzate su una base nucleare per mezzo di neutroni che interagiscono con i componenti delle mine. In sostanza si sono costruiti degli apparecchi che mettono in risalto la presenza di azoto, distinguendo fra quello del terreno (che non lascia tracce rilevabili) e quello contenuto negli ordigni bellici. Canadesi e statunitensi hanno costruito alcune macchine che però non risultano del tutto efficaci.

Qual è stato il suo contributo alla ricerca?


L'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha voluto approfondire il problema per giungere a realizzare un apparecchio più sicuro. A questo punto sono stato coinvolto nella fase di analisi automatica dei dati, il settore che rappresenta la vera novità di questa ricerca rispetto a quelle precedenti. L'INFN ha pertanto finanziato il progetto "Explodet" che ha dato buoni risultati. Visti i successi, il progetto ha avuto un seguito grazie al sostegno finanziario del Ministero dell'Università. In questo caso si sono usati fasci di neutroni a energie più elevate; si tratta di una tecnica di etichettatura dei neutroni di sondaggio.

Cosa accadrà in futuro?


Da pochi giorni è stato avviato il progetto "Diamine" finanziato dalla Comunità Europea con un contributo di tre miliardi e settecento milioni. È stato costituito un consorzio internazionale formato da centri di ricerca (INFN ne è il capofila e comprende anche alcune università, fra cui Trento) e industrie private come la Neuricam di Trento.

In cosa consiste il progetto?


La rilevazione delle mine avverrà attraverso il riconoscimento dell'idrogeno contenuto nella plastica dell'involucro che avvolge le mine. Per garantire condizioni di massima certezza e ridurre il rischio di falsi allarmi, questo nuovo strumento sarà abbinato a un metal detector che rileverà l'eventuale presenza di metallo (per esempio delle viti). Il mio compito sarà sempre quello di studiare e realizzare il software necessario per la lettura automatica dei dati, un compito impegnativo perché deve assicurare la totale sicurezza degli operatori. Per maggiori informazioni è possibile contattare i siti www.tn.infn.it/explodet e www.tn.infn.it/DIAMINE.

Quali benefici vi sono per l'Università di Trento?


Al di là del fatto che qualunque attività di ricerca in sé costituisce un arricchimento per l'università, il progetto "Diamine" favorirà lo sviluppo di rapporti di collaborazione internazionale e porterà finanziamenti che miglioreranno l'attività scientifica dell'ateneo trentino.


Nelle foto, in alto: Soldati francesi occupati nello sminamento in Bosnia;
sotto: soldati dello Sri Lanka a caccia di mine.