no22

  speciale 3+2  
Ingegneria

Cultura specialistica o preparazione generale?
di Aronne Armanini

Come è noto, la riforma del 3+2 è prossima ad essere varata: la proposta di decreto relativa al primo livello (laurea) è già stata discussa dagli organi ministeriali competenti ed è possibile che sia resa operativa già dal prossimo anno accademico.
La riforma prevede che gli studi universitari vengano ricondotti per tutte le facoltà a due livelli. Il primo è di durata triennale, alla fine del quale lo studente acquisisce la laurea (primo livello). Con due anni successivi il laureato può ottenere la laurea specialistica (titolo di secondo livello). A questo secondo livello seguono i corsi di specializzazione e di dottorato di ricerca.
La laurea triennale è stata introdotta soprattutto per consentire l'inserimento nel mondo del lavoro di giovani laureati, dotati di cultura universitaria e di professionalità adeguate.
Se questa architettura risulta nuova per la maggior parte delle facoltà italiane, per la Facoltà di Ingegneria una struttura didattica articolata su cinque anni di corso ed una su tre già esiste; la nuova articolazione presenta però differenze sostanziali rispetto a quella attuale, in quanto la riforma prevede che i corsi di studio di primo livello (laurea) e quelli di secondo livello (laurea specialistica) siano posti rigorosamente in successione.
Da una lettura attenta del testo ministeriale questa articolazione, che rappresenta l'aspetto saliente della riforma, si presta ad essere attuata in maniera diversificata. In altre parole, leggendo tra le righe, si intuisce la possibilità di realizzare fin da subito percorsi diversi tra corsi marcatamente professionalizzanti, destinati a concludersi al termine del primo triennio, e corsi più formativi destinati al proseguimento verso la laurea specialistica. L'unica condizione posta dal decreto è quella che, alla fine del primo triennio, venga comunque conferito allo studente il titolo di laureato. Questa struttura, detta ad Y, è quella che probabilmente verrà adottata dalla maggior parte delle scuole di ingegneria italiane. In questo caso i corsi avranno in comune due o tre semestri, alla fine dei quali gli insegnamenti destinati al percorso quinquennale potranno differenziarsi da quelli destinati alla laurea professionalizzante. In questa maniera la scelta del tipo di percorso viene spostata alla fine del secondo o del terzo semestre, quando lo studente è più maturo ed ha potuto misurare meglio le proprie capacità e le proprie attitudini nei confronti degli studi universitari, con la prospettiva di ottenere alla fine una considerevole riduzione degli abbandoni. Al di là della struttura formale dei corsi di studio, resta aperto un aspetto fondamentale sul quale le facoltà si stanno interrogando e che richiede un confronto diretto con il mondo delle professioni. Si tratta di stabilire se il futuro laureato dovrà avere una cultura specialistica, seppure meno approfondita di quella del laureato attuale (paragonabile a quella del diploma universitario), oppure se dovrà avere una preparazione più generale, come il documento che accompagna il decreto sembra sottintendere, differenziandosi dagli attuali diplomi. Il problema non sembra secondario in quanto nei due casi il percorso formativo risulterà abbastanza diverso. Attualmente il primo schema è quello in atto soprattutto nelle università tecniche britanniche, tant'è che nell'ambiente internazionale questo sistema è conosciuto come sequenza bachelor-master. Alcune autorevoli università tecniche inglesi, stanno tuttavia abbandonando questo schema per sostituirlo con un percorso più lungo che porti direttamente al master senza conferimento del bachelor. Il problema ha dunque anche risvolti non trascurabili nei confronti del processo di internazionalizzazione intrapreso da molte università italiane ed in particolare dalla nostra. Questo punto, almeno per le facoltà di ingegneria, deve essere affrontato anche dopo averne discusso le conseguenze con il mondo delle professioni e con le imprese, dato che la riforma degli ordini professionali non può essere disgiunta da quella dei percorsi didattici universitari. Per evitare irrigidimenti su questi punti, il Collegio dei Presidi delle Facoltà di Ingegneria aveva chiesto che, nella definizione dei percorsi didattici, fosse lasciata molta più autonomia alle sedi e, a garanzia del pubblico, aveva proposto che i percorsi adottati dalle università fossero valutati ed accreditati da un organismo di certificazione esterno, un po' come si fa ormai in tutto il mondo occidentale con la certificazione di qualità dei prodotti e dei processi. Indipendentemente dalla riforma, tuttavia, il Collegio dei Presidi istituirà un consorzio per l'accreditamento dei titoli di studio: le singole facoltà di ingegneria potranno chiedere di aderire a questa iniziativa, dando spazio anche nella formazione universitaria ad una maggiore competitività e trasparenza, indipendentemente dal valore legale del titolo di studio. La nostra Facoltà di Ingegneria ha partecipato al lungo dibattito in seno al Collegio dei Presidi che ha accompagnato la riforma. Essendo inoltre già operativi tre corsi triennali di diploma universitario e quattro corsi di laurea quinquennali non sarà difficile recepire la riforma, infatti il corso di laurea in Ingegneria delle telecomunicazioni, attivato nel presente anno accademico, è stato articolato anticipando largamente l'assetto della riforma. Per gli altri corsi si sta pensando alla struttura ad Y con articolazioni più o meno differenziate a seconda dei corsi di studio.