Ingegneria
Cultura specialistica o preparazione generale?
di Aronne Armanini
Come è noto, la riforma del 3+2 è
prossima ad essere varata: la proposta di decreto relativa al primo livello
(laurea) è già stata discussa dagli
organi ministeriali competenti ed è
possibile che sia resa operativa già dal
prossimo anno accademico.
La riforma prevede che gli studi universitari vengano ricondotti per tutte
le facoltà a due livelli. Il primo è di
durata triennale, alla fine del quale lo studente acquisisce la laurea (primo
livello). Con due anni successivi il laureato può ottenere la laurea specialistica
(titolo di secondo livello). A questo secondo livello seguono i corsi di
specializzazione e di dottorato di ricerca.
La laurea triennale è stata introdotta
soprattutto per consentire l'inserimento nel mondo del lavoro di giovani laureati,
dotati di cultura universitaria e di professionalità adeguate.
Se questa architettura risulta nuova per la maggior parte delle facoltà
italiane, per la Facoltà di Ingegneria una
struttura didattica articolata su cinque anni di corso ed una su tre già esiste; la
nuova articolazione presenta però differenze sostanziali rispetto a quella
attuale, in quanto la riforma prevede che i corsi di studio di primo livello (laurea)
e quelli di secondo livello (laurea specialistica) siano posti rigorosamente
in successione.
Da una lettura attenta del testo ministeriale questa articolazione, che
rappresenta l'aspetto saliente della riforma,
si presta ad essere attuata in maniera diversificata. In altre parole, leggendo
tra le righe, si intuisce la possibilità di
realizzare fin da subito percorsi diversi tra corsi marcatamente
professionalizzanti, destinati a concludersi al termine
del primo triennio, e corsi più formativi
destinati al proseguimento verso la laurea specialistica. L'unica condizione
posta dal decreto è quella che, alla fine
del primo triennio, venga comunque conferito allo studente il titolo di
laureato. Questa struttura, detta ad Y, è quella
che probabilmente verrà adottata dalla maggior parte delle scuole di ingegneria
italiane. In questo caso i corsi avranno in comune due o tre semestri, alla fine
dei quali gli insegnamenti destinati al percorso quinquennale potranno
differenziarsi da quelli destinati alla laurea professionalizzante.
In questa maniera la scelta del tipo di percorso viene
spostata alla fine del secondo o del terzo semestre, quando
lo studente è più maturo ed ha potuto misurare meglio
le proprie capacità e le proprie attitudini nei confronti
degli studi universitari, con la prospettiva di ottenere alla
fine una considerevole riduzione degli abbandoni. Al di là della struttura
formale dei corsi di studio, resta aperto un aspetto fondamentale sul quale le facoltà
si stanno interrogando e che richiede un confronto diretto con il mondo
delle professioni. Si tratta di stabilire se il futuro laureato dovrà avere una
cultura specialistica, seppure meno approfondita di quella del laureato
attuale (paragonabile a quella del diploma universitario), oppure se dovrà avere
una preparazione più generale, come il documento che accompagna il
decreto sembra sottintendere, differenziandosi dagli attuali
diplomi. Il problema non sembra secondario in quanto
nei due casi il percorso formativo risulterà abbastanza
diverso. Attualmente il primo schema è quello in atto
soprattutto nelle università tecniche britanniche, tant'è
che nell'ambiente internazionale questo sistema è
conosciuto come sequenza bachelor-master. Alcune autorevoli
università tecniche inglesi, stanno tuttavia
abbandonando questo schema per sostituirlo con un percorso più lungo che
porti direttamente al master senza conferimento del bachelor. Il problema
ha dunque anche risvolti non trascurabili nei confronti del processo di
internazionalizzazione intrapreso da molte università italiane ed in particolare
dalla nostra. Questo punto, almeno per le facoltà di ingegneria, deve essere
affrontato anche dopo averne discusso le conseguenze con il mondo
delle professioni e con le imprese, dato che la riforma degli ordini
professionali non può essere disgiunta da quella
dei percorsi didattici universitari. Per evitare irrigidimenti su questi punti, il
Collegio dei Presidi delle Facoltà di Ingegneria aveva chiesto che, nella
definizione dei percorsi didattici, fosse lasciata molta più autonomia alle sedi e, a
garanzia del pubblico, aveva proposto che i percorsi adottati dalle università
fossero valutati ed accreditati da un organismo di certificazione esterno, un
po' come si fa ormai in tutto il mondo occidentale con la certificazione di
qualità dei prodotti e dei processi.
Indipendentemente dalla riforma, tuttavia, il
Collegio dei Presidi istituirà un consorzio
per l'accreditamento dei titoli di studio: le singole facoltà di ingegneria
potranno chiedere di aderire a questa iniziativa, dando spazio anche nella
formazione universitaria ad una maggiore competitività e trasparenza,
indipendentemente dal valore legale del titolo di
studio. La nostra Facoltà di Ingegneria ha
partecipato al lungo dibattito in seno al Collegio dei Presidi che ha
accompagnato la riforma. Essendo inoltre già
operativi tre corsi triennali di diploma
universitario e quattro corsi di laurea quinquennali non sarà difficile recepire la
riforma, infatti il corso di laurea in Ingegneria delle telecomunicazioni, attivato
nel presente anno accademico, è stato articolato anticipando largamente
l'assetto della riforma. Per gli altri corsi si sta
pensando alla struttura ad Y con articolazioni più o meno differenziate
a seconda dei corsi di studio.
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