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  conversazioni culturali  
La cultura
classica
nel terzo
millennio
Un confronto di idee tra economisti,
fisici e studiosi di letteratura antica e moderna

di Vittorio Citti

La tavola rotonda che il 26 gennaio scorso ha riunito studiosi di letterature antiche e moderne, fisici ed economisti, intorno al tema "La cultura classica nel terzo millennio", ha inteso essere un momento dell'impegno che l'Università trentina sta compiendo per marcare la propria presenza nel mondo accademico italiano e nello stesso tempo sul proprio territorio, accentuando la propria vocazione di luogo di incontro e di dibattito di idee. Vi hanno infatti partecipato, oltre ad alcuni esponenti dell'Università di Trento (la presenza tra questi del rettore, Massimo Egidi, è significativa del disegno di politica culturale sotteso all'iniziativa), Carlo Bernardini, professore di Fisica teorica alla Sapienza di Roma, Gian Biagio Conte, professore di Letteratura latina a Pisa e Charles Segal, Professor of Classics alla Harvard University.
Interrogarsi sulla cultura classica nel terzo millennio significa chiedersi quale funzione la cultura greca e romana può rivestire oggi in una società altamente tecnologizzata, assolutamente diversa da quella in cui quel modello culturale è stato concepito e ha funzionato. È un fatto che il mondo dei greci e dei romani appare a molti uomini d'oggi come un puro relitto del tempo che fu, ormai inintelligibile e pertanto non significante, scarsamente spendibile e quindi privo di valore commerciale in un universo che valuta le realtà in relazione alla loro capacità di influenzare le borse e di pesare sulle scelte dei mercati, e ogni tanto avvertiamo, più o meno esplicita, quella che fu la parola d'ordine degli innovatori al tempo della Querelle des anciens et des modernes, "Chi ci libererà dai Greci e dai Romani?".
Tuttavia è già avvenuto più di una volta che questa cultura, espressa in forme elitarie perfino dal punto di vista linguistico, abbia avuto una funzione decisiva nella storia di età più recenti, economicamente e tecnologicamente ben più avanzate rispetto all'antichità. Il Rinascimento prese il nome proprio dalla rinascita della cultura greca e latina dopo il Medio Evo, ma fu nello stesso tempo e soprattutto l'età in cui si affermarono le monarchie nazionali e il principio del libero esame, sia nella religione, sia in generale nelle categorie del pensiero, l'età eroica in cui la borghesia affermò la propria potenza economica nel mondo, anche grazie alla globalizzazione delle comunicazioni in seguito alle scoperte geografiche ed agli sviluppi della tecnologia dei trasporti.
L'Ottocento vide nello stesso tempo il trionfo della rivoluzione industriale, che trasformò radicalmente il paesaggio dei paesi sviluppati, ben poco mutato dal tempo della colonizzazione romana, e i modi di vita dei loro abitanti, come di quelli che furono sottoposti all'imperialismo europeo e nordamericano, e l'affermazione orgogliosa dell'Altertumswissenschaft, della scienza dell'antichità, che per gli uomini di allora era "naturalmente" l'antichità classica. L'imperialismo europeo fu fondato sul presupposto ideologico della superiorità culturale di quel continente sul resto del mondo, e la cultura greco-latina fu segnacolo in vessillo di quella grande operazione di sviluppo politico ed economico.
Il nuovo millennio si apre in una prospettiva largamente innovata, ancora una volta, rispetto alle precedenti epoche in cui la cultura classica ebbe un ruolo preminente. L'Europa e le sue tradizioni non sono più al centro dell'universo, e nell'ambito stesso della civiltà europea la tradizione greco-latina non è più pensata come un elemento assolutamente centrale. Il sistema della scienza e della tecnologia ha radicalmente trasformato il nostro modo di vivere e di rapportarci agli altri, ma soprattutto implica modelli culturali originali ed autentici, e può individuare valori che si inseriscono bene in una società aperta, in cui soggetti uguali convivono in reciproca tolleranza. Noi viviamo in un sistema multinazionale e multietnico, in cui ogni popolo è portatore di proprie tradizioni e di modi propri di concepire la famiglia, le relazioni tra giovani e anziani, i rapporti di lavoro, la religione e la politica: questo sistema peraltro si sta trasformando rapidamente, e proprio negli anni che stiamo vivendo tende a non riguardare più solo le relazioni internazionali e quelle tra intellettuali che si propongono di pensare in termini universali, ma anche le relazioni interpersonali quotidiane con i nostri dipendenti e i nostri datori di lavoro, i nostri vicini di casa, spesso i nostri congiunti acquisiti. La prospettiva multietnica tende a spostarsi dall'assemblea delle Nazioni Unite al desco familiare. Che faremo oggi della civiltà greco-latina, quando il compagno o la compagna della nostra vita o di quella dei nostri figli può essere un/una maghrebina, un/un'indiana o un/una giapponese?
Forse una risposta ci può venire proprio dall'osservazione della parte che la tecnologia, con i suoi mezzi di produzione e di comunicazione di massa, sta assumendo nella vita di ognuno di noi. La civiltà industriale tende all'omogeneità ed alla massificazione, e ogni giorno diventa per gli uomini moderni più urgente la tutela della loro individualità, personale e culturale. Noi non possiamo fare a meno di vestire abiti pret à porter, di consumare cibi e bevande prodotti industrialmente su larga scala, differenziati nei tipi che possono più facilmente captare le nostre scelte e pubblicizzati secondo formule che i persuasori occulti delle agenzie pubblicitarie tendono ad imporci, rendendo i nostri gusti sempre più uniformi, per semplificare le tecniche produttive e contenere i costi di magazzino. Non debbo soffermarmi sul vile livello medio della televisione, della stampa, della produzione cinematografica: l'imbarbarimento del linguaggio quotidiano è la croce di tutti gli operatori della scuola, ma è riscontrabile a molti livelli. Recentemente ho letto il dépliant di un grande distributore di libri scientifici nel settore umanistico, che presentava una storia dell'abbazia di Montecassino, stampata nel 1733 e riprodotta anastaticamente da un editore pisano, come "il prodotto esemplare della fatica certosina degli amanuensi": per le grandi nazioni europee di cultura, sono ormai a rischio le rispettive lingue madri. Ecco che tra le varie componenti della civiltà europea, la tradizione classica è esclusivamente nostra, e costituisce la cifra individuante del nostro essere uomini di cultura, e ci distingue da altre tradizioni culturali, altrettanto valide ma certamente diverse. Il dialogo necessario con i portatori delle altre tradizioni culturali è possibile solo se noi abbiamo una nostra identità su cui fondare questo dialogo. Per questo oggi ha un significato per gli intellettuali europei lo studio dei documenti della tradizione che più propriamente li individua. Noi non dobbiamo più cercare di identificarci con i nostri padri, come vollero in altri momenti gli umanisti e in seguito i maestri della ottocentesca scienza dell'antichità; dobbiamo anzi saper prendere le distanze da quel tipo di civiltà elitaria, che si affermò spesso a spese dei gruppi sociali più deboli, come le donne, gli schiavi, gli stranieri, ma non possiamo sottrarci all'obbligo di riconoscere la nostra identità europea nelle forme di pensiero che essi hanno elaborato e che abbiamo fatto nostre, e riconoscere i modi specifici della nostra tradizione intellettuale ritrovando il rapporto con le nostre radici.

Nelle foto:
Testa di Parmenide, prima metà del I secolo d.C. - Ascea Marina, tratto dal volume I GRECI IN OCCIDENTE - Bompiani;
Vittorio Citti;
la tavola rotonda del 26 gennaio.