no18

  l'amministrazione si rinnova  
Nome in codice "opinion leader"
Il piano di formazione nasce dalle interviste al personale
di Lucia Dorna

Qualche mese fa su queste pagine Paolo Mezzena scriveva che il "cambiamento chiama in causa la formazione come strumento di sostegno e di sviluppo delle competenze" e che "proprio per il valore strategico" ad essa riconosciuto, "si punterà d'ora in avanti ad una programmazione di medio-lungo periodo, realizzando un piano triennale".

Predisporre un piano di formazione significa in primo luogo capire quali sono i bisogni formativi. Nel nostro caso l'indagine sui fabbisogni è stata condotta consultando una serie di fonti, alcune interne all'università (il vertice, gli opinion leader, i partecipanti ai corsi) ed altre esterne (le università, il mercato della formazione, la letteratura). La fonte che ha saputo offrire gli spunti di riflessione più interessanti è stata senz'altro quella degli opinion leader, ossia coloro che sanno farsi portatori e interpreti dell'opinione di altri, almeno di quelli che più somigliano loro: ad esempio i colleghi che lavorano nella loro stessa area, che svolgono compiti analoghi o che hanno la loro stessa anzianità di servizio. Sono stati intervistati venti opinion leader, provenienti dalle aree e dalle esperienze più diverse: vediamo cosa pensano della formazione, di quella che è stata fatta e di quella che si farà.
La formazione dev'essere, in primo luogo, più continua e articolata: gli interventi devono essere programmati in modo sistematico, secondo un percorso di crescita, garantendo più edizioni della stessa iniziativa in modo da permettere a tutti di partecipare. La formazione inoltre dev'essere mirata ed il tiro va aggiustato innanzitutto sulla realtà professionale. Altra cosa di cui tener conto, per dei corsi davvero efficaci, è il livello di conoscenza ed il ruolo dei partecipanti: è importante "definire percorsi formativi personalizzati" ed è necessario che il percorso sia coe-rente con le mansioni che quella persona deve svolgere. E poi, perché tutto deve finire una volta usciti dall'aula? Perché non prevedere dei momenti di discussione a posteriori, per confrontarsi e per verificare i risultati della formazione: quello che ho imparato mi è davvero servito? Perché non poter contare su un tutor che sia presente anche dopo la conclusione del corso e offra ai partecipanti quel supporto concreto e personalizzato (in ufficio!) che spesso è l'unica garanzia di trasferibilità. In altre parole, non c'è solo l'aula; la formazione si può fare in ufficio o nelle aule self-access. E poi ci sono gli stages: nelle altre università, nelle imprese (grandi entusiasmi per il programma "Leonardo") e secondo alcuni anche negli altri uffici, per capire come lavorano i nostri colleghi. Tutto quanto offre una possibilità di confronto è considerato un'importante esperienza formativa.
Per quanto riguarda i contenuti, vanno bene i tradizionali interventi di alfabetizzazione giuridica, informatica e linguistica fatti finora (anche se per l'aggiornamento normativo si chiede più aderenza alla realtà e per quello informatico una maggiore standardizzazione dei programmi), ma ci sarebbe bisogno anche di qualcos'altro perché, si osserva, non c'è reale comunicazione (non solo tra un ufficio e l'altro, ma anche all'interno dello stesso ufficio): "la destra non sa cosa fa la sinistra". Serve anche un'alfabetizzazione ai comportamenti organizzativi. E si va dai più tradizionali corsi sul lavoro di gruppo, sul project - management, sull'orientamento all'utente e sulla comunicazione, ad iniziative più innovative come quella per imparare a "sostituire la logica dell'obbedienza con la logica del render conto". Si è parlato molto anche di progetti e di cambiamento (contabilità integrata, SS2, …) e di una formazione mirata allo sviluppo delle nuove competenze.
Oltre ai corsi per tutti, ci sono poi i percorsi ad hoc. Per esempio per i "capi": talvolta i responsabili (ma in generale l'amministrazione) non sembrano riuscire a coinvolgere e motivare in modo adeguato il personale. Di qui la richiesta di iniziative che favoriscano la diffusione del senso di appartenenza e sviluppino il coaching, cioè la capacità di "creare senso di squadra e affiatamento" e di insegnare ai propri collaboratori. Dai responsabili ai neoassunti, cioè da un estremo all'altro: quasi tutti i giovani, ma anche qualcuno dei meno giovani, hanno confessato che l'inserimento nella nostra università non è sempre stato facile; un corso per il personale di nuova assunzione, tenuto magari dai capi-ripartizione, avrebbe sicuramente facilitato questo processo, consentendo, accanto al trasferimento di conoscenze, il trasferimento della cultura aziendale e del senso di appartenenza. Inoltre, i docenti dei corsi di formazione sono spesso dei colleghi, ma insegnare non è facile e certamente non è un'attività che si può improvvisare, di qui l'esigenza di formare in primo luogo i formatori. Interventi mirati sono poi richiesti per quelle strutture che più di altre sono caratterizzate da un significativo rapporto con l'utenza: la Ripartizione Servizi agli Studenti e Laureati (che deve inoltre sviluppare le nuove competenze previste dal progetto SS2), la Biblioteca d'Ateneo e le portinerie.
Si è parlato anche dei crediti formativi: cosa sono? Che uso intende farne l'amministrazione? Si useranno davvero i crediti per la progressione di carriera? C'è un grande desiderio di chiarezza, anche se per molti una cosa comunque è certa: i crediti formativi "sono la motivazione sbagliata per fare i corsi".
Le interviste sono state l'occasione per parlare di molte cose, non solo di formazione, e gli intervistati hanno saputo raccontarsi con molta generosità e franchezza. Il processo di cambiamento che ha investito la nostra università è stato forse troppo repentino, le vecchie competenze non servono più, le certezze di un tempo sono venute meno e le nuove ci sono estranee. E in un momento in cui la comunicazione diventa fondamentale, ecco che anche il linguaggio si fa incomprensibile… Di qui un certo smarrimento, un senso di non appartenenza. La formazione avrà il compito di aiutare le persone a sviluppare le nuove competenze, dovrà favorire la nascita di un linguaggio comune, perché ci sia gioco di squadra ed il personale senta di far parte davvero di questa università.
La formazione, come tutti noi, dovrà fare molta strada.