INCONTRO CON IL COMPOSITORE AZIO CORGHI, di Marco Uvietta

in

Quel suono rivelatore di violoncello che abita il nome di Blimunda

Martedì 30 aprile il colloquio con il noto compositore piemontese Azio Corghi (1937) ha costituito il penultimo incontro del Seminario Internazionale sul Romanzo e allo stesso tempo ha inaugurato le attività pubbliche della nuova “Sala musica” del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento. Oggetto dell’incontro, condensato in una  poetica frase di José Saramago (“Quel suono rivelatore di violoncello che abita il nome di Blimunda”), la collaborazione del compositore con lo scrittore portoghese, durata circa un ventennio, nel corso del quale hanno visto la luce fondamentali lavori di teatro musicale. Rispetto alla prassi operistica del passato, ma tutto sommato in linea con l’uso attuale, il compositore è coautore del libretto: così in Blimunda (1990, Teatro alla Scala, Milano, dal Memoriale del convento), Divara (“Wasser und Blut”) (1993, Münster, da In nomine Dei), Cruci-verba (2001, Städtische Bühnen Münster, dal Vangelo secondo Gesù), Il dissoluto assolto (2005, Teatro San Carlos di Lisbona – Teatro alla Scala di Milano, dal testo omonimo). A questi lavori teatrali di ampio respiro si aggiungono altre composizioni su testo di Saramago: La morte di Lazzaro, cantata drammatica (1995, da Il memoriale del convento, Il Vangelo secondo Gesù, In nomine Dei), …sotto l’ombra che il bambino solleva, poema per voce recitante/cantante e orchestra (1999, da L’anno mille993), De paz e de guerra per coro e orchestra (2002). 

Pur disseminate in un catalogo degno di un compositore d’altri tempi, tale da comprendere senza esclusione tutti i generi disponibili – inventandone persino qualcuno, come nel caso di Un petit train de plaisir su musiche di Rossini – le composizioni su testo di Saramago sono segno di una rivelazione, alla luce della quale si precisano anche obiettivi generali: nel teatro musicale Corghi realizza l’attitudine ad essere partecipe di temi attuali, in modo attivo e impegnato, raccontando archetipi umani universali (tali possono apparire alla coscienza laica anche personaggi e simboli religiosi). Corghi si distacca in modo netto dal teatro musicale d’avanguardia degli anni Sessanta e Settanta proprio nella misura in cui, dopo il fervore anti-narrativo, riafferma un rinnovato desiderio di raccontare. In Blimunda (opera tratta da Il memoriale del convento, 1982) la pluridimensionalità, antidoto avanguardistico all’unidirezionalità della narrazione, assume valenze profondamente umane: la dimensione storica (i cui personaggi recitano), la dimensione umana (quella delle umane passioni espresse mediante il canto), la dimensione onirica (le riverberazioni che tutto ciò esercita sulla coscienza, realizzate in uno stile madrigalistico attualizzato) realizzano una caleidoscopica gamma di atteggiamenti (anche vocali) il cui fine non è più la sospensione della trama, bensì la rilettura della storia in chiave puramente umana (quindi, non deterministica).

Nella poetica di Corghi la rilettura si realizza spesso nella reinterpretazione di opere del passato, nell’intento di coglierne, mediante le tecniche del presente, quelle implicazioni semantiche rimaste inesplorate e ancora passibili di sviluppo. In Cruci-Verba la Via Crucis di Franz Liszt è l’opera musicale riletta; ma quando si incontrano “musica al quadrato” e “letteratura al quadrato” (tale è da intendersi il Vangelo secondo Gesù di Saramago), si può spingere il rapporto fino al corto circuito (trent’anni prima si sarebbe forse preferita questa soluzione), oppure mantenerlo al di qua di questa soglia. Saramago conduce il gioco dal dubbio al rovesciamento (“uomini, perdonatelo perché non sa quello che ha fatto”), ma non al corto circuito. Per assecondare questo paradosso, Corghi sceglie, fra i musicisti, il più tormentato dei convertiti: Liszt, tanto estroverso e mondano – quand’anche funambolicamente demoniaco – nella prima parte della vita e della  produzione, quanto enigmatico dopo la conversione al cattolicesimo. A sua volta, nella VI stazione della Via Crucis, Liszt cita il corale luterano “O Haupt voll Blut und Wunden” dalla Passione secondo San Matteo di Bach, che nella realizzazione sinfonica con coro infantile di Corghi – e nel contesto di una passione di Cristo letta in chiave puramente umana – diviene “musica al cubo”, con l’effetto straniante che ne consegue.

Ma queste affinità di intenti e convergenze di finalità espressive non dipendono tanto dalla disponibilità del compositore a interpretare il pensiero dello scrittore, quanto da un’ancestrale condizione di esistenza della parola in quanto vibrazione, come è efficacemente rivelato dal linguaggio immaginifico di Saramago: “Sarà stato, immagino, quel suono rivelatore di violoncello che abita il nome di Blimunda, profondo e lungo, come se si producesse e rivelasse nella stessa anima umana, che mi portò, senza alcuna resistenza, con l’umiltà di chi accetta un dono del quale non si sente degno, a raccoglierlo in un semplice libro, nell’attesa, inconsapevole, che la Musica venisse a raccogliere ciò che è sua esclusiva pertinenza: questa estrema vibrazione che è insita in tutte le parole e in alcune in modo straordinario”. E a sua volta, questa intuizione si riverbera, nel corso del sodalizio artistico, fino a Poema sinfonico, sette scene dall’opera Blimunda, composto da Corghi nel 2006, dove l’anima della protagonista, quasi un omaggio a Saramago, vibra nel suono del violoncello solista.

Autore: Marco Uvietta è ricercatore presso il Dipartimento di Lettere e filosofia dell’Università di Trento.