L’immaginazione sonora e “l’interrogazione alla Parola”: Andrés Sánchez Robayna e i limiti della conoscenza poetica

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Seminario "Poesía y poética. La experiencia poética y su significado en el mundo de hoy" del poeta, critico e traduttore Andrés Sánchez Robayna
[Trento, Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Filologici, 22 maggio 2012, responsabile scientifico: prof. Pietro Taravacci]

 

di Elsa Maria Paredes Bertagnolli

Da sempre l’uomo ha interrogato il linguaggio. E continua a farlo. Per un poeta come Andrés Sánchez Robayna interrogare la parola è il movente stesso della propria poesia; poesia che conduce alla parola prima ancora di “abitarla”. Per questo lo stadio “anamorfico” e “dinamico” del suono precede, per importanza, quello cristallizzato della scrittura, spiega il poeta invitandoci a riconsiderare la natura vocale e musicale della poesia: tra i numerosi esempi analizzati, immancabili quelli di T.S.Eliot, secondo cui “la poesia deve recuperare il tam-tam con cui è nata” e di José Ángel Valente, per il quale, analogamente, la poesia reclama, prima della scrittura, la voce. 

Interrogare il linguaggio e indagare il livello sonoro della parola poetica sono, per Robayna, esercizi strettamente connessi: così in Deseo, imagen, lugar de la palabra (2008), dichiara, a proposito della sua stessa poesia, che

Nella mia scrittura, l’interrogazione alla parola andava acquisendo [1970] poco a poco tratti sempre più concreti, come se il corpo stesso della parola potesse rispondere a quella interrogazione con tutta la sua presenza fisica, sonora; come se quella stessa presenza potesse significare almeno l’inizio di una risposta. Per ascoltare la parola bisognava ascoltare, in primo luogo, la sua trama fonica, la sua natura essenzialmente plastica e sonora.

Da qui la definizione di poesia come “uno spazio in cui avviene il dialogo tra immaginazione fonologica e ricerca metafisica”; spazio quindi, che risolve la propria tensione interiore nelle forme dell’immaginazione “sonora”. È durante questo stadio, precedente la sua fissazione nelle forme immobili della scrittura, che la poesia può avvicinarci a quella “risposta” che è lo scopo primo, ci ricorda Robayna, del suo essere poeta. Avvicinarsi al “centro della parola” significa così immergersi nello strato fonico che lo avvolge, involucro sonoro asemantico che viene indagato prima con l’immaginazione e poi con l’udito. Grappoli, baccelli sonori impalpabili da indagare con la mente e da sciogliere in bocca, “tra la saliva”, ama ripetere Robayna; sono “immagini sonore” che, pronunciate, scoppiano in gola permettendoci di assaporare il contenuto occulto, di rispondere, infine, alla comunque inestinguibile interrogazione della parola, la “pregunta por la palabra”, che è poi interrogazione ultima sulla realtà. 

È proprio una sottile trama sonora a legare in profondità realtà e parola poetica, un cordone ombelicale e genetico che riporta entrambe agli “strati originari” da cui derivano e in cui si fondono e confondono: un mondo anteriore alla scrittura, dove la voce libera la realtà rendendola possibile e voce e realtà finiscono per equivalere. “Nel momento in cui dico una cosa, quella cosa inizia a esistere: le mot magique!”, spiega il poeta, “sì, le parole sono magiche: sono creatrici di realtà”. Il compito del linguaggio poetico è, perciò, “creare altra realtà”. 

Si tratta, come facilmente potremmo intuire, di una realtà, “ancora una volta, essenzialmente musicale. È una realtà che inizia da un impulso musicale. Sempre. Il poeta non sa mai esattamente cosa dirà: eppure, prima di concepire le parole, può già contare su un contenuto sonoro latente. Io sono tra quelli che credono che la poesia abbia una gestazione vocale: la poesia nasce come sonorità. Come nella musica, più che i concetti hanno importanza i ritmi. L’intento del poeta è precisamente quello di essere fedele a questi ritmi e di riempirli, in un secondo momento, di contenuti. E quando accade che i ritmi sembrino scomparire, il poeta deve dimostrare di saper riprodurre e ricostruire quegli stessi impulsi, e continuare così a scrivere”.

È soprattutto il ritmo delle onde e del mare a incorporare la materia delle poesie di Robayna, il quale non può fare a meno di ricordarci il ruolo fondamentale (vive a Tenerife) di questo elemento nella sua scrittura, nel suo immaginario poetico e sonoro. E le onde, nelle sue poesie, non sono fatte solo di acqua, ma di luce, riflessi, ali, squame, sabbia, dune, foglie e nubi…e ricordi…e parole. E, soprattutto, possiedono quella “parola” rivelatrice che può spiegare e racchiudere in sé ogni singola onda, ogni suono e ogni ritmo, e che, ingenuamente, lontano da tutte le teorie letterarie e le spiegazioni razionali, svela, nel suo continuo nascere, chi siamo.