Intervista al professor Kacelnik

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di Nicla Panciera

Professor Kacelnik, lei sostiene che è necessario intrecciare costantemente teoria e fatti, cioè “collegare la funzione del comportamento adottato ai meccanismi psicologici che sottendono la scelta”. Come?

Chiunque si occupi di comportamento, e di ogni altro argomento biologico, ha il problema di capire e di decidere quale sia una spiegazione soddisfacente per quello che sta osservando.

Infatti, quando vediamo gli animali in azione, in molti casi non abbiamo idea di cosa stiano facendo, del come lo fanno e del perché lo fanno. I ricercatori si focalizzano di volta in volta su uno solo di questi aspetti. Ma sappiamo che questi interrogativi possono essere posti contemporaneamente e un tipo di spiegazione non sostituisce le altre. Ad esempio, se vedo un animale costruire un nido, mi posso chiedere perché lo fa e perché sceglie proprio quel tipo di nido.

Quando mi pongo il primo interrogativo (perché?) posso chiedermi se l’animale sa quale sia il problema e sta tentando di risolverlo intellettualmente, se sta seguendo una regola fissata, se può imparare a fare delle cose via via sempre nuove e diverse. Sono tutti aspetti di un unico problema.

Spesso – e questo ho sostenuto nel mio talk – chi è intento ad indagare uno solo di questi interrogativi, si dimentica degli altri. Per esempio, per spiegare perché un animale sceglie una preda e non un’altra, i ricercatori possono fare appello ad una preferenza psicologica proprio per quella preda, ma io sostengo che questo è qualcosa che va a sua volta spiegato. Perché l’animale possiede quella psicologia? Ed è qui che l’evoluzione fa la sua comparsa nel discorso, insieme ai gruppi sociali e alle circostanze ecologiche che hanno visto l’adattamento della specie.

Cosa significa adottare sia l’approccio basato su euristiche di natura evoluzionistica sia quello basato sui contributi della psicologia sperimentale e della psicofisica?

Spesso vediamo gli animali innovare, comportarsi in modo inusuale, adottare strategie mai viste prima. Lo stesso è vero per la nostra specie, che può vantare esemplari molto creativi.

Prendiamo il classico esempio del piccione che riesce a raggiungere il cibo posto troppo in alto, fuori dalla sua portata, accatastando col becco delle scatole e salendoci sopra. Un tempo si ricorreva alla psicologia: l’animale ha osservato la situazione, ha avuto un insight e gli è venuto in mente che le scatole potevano essere usate per raggiungere l’obiettivo. Per me, sostenere questo è come dire che l’animale prima non poteva farlo e poi sì. E cosa accade nel mezzo rimane un mistero.

Lei come procederebbe?

È questo momento nel mezzo tra il prima e il dopo che tento di analizzare quando mi imbatto in un comportamento nuovo. Quali sono le operazioni (di combinazione, di trasformazione) che l’animale compie sulle informazioni che ha e che portano alla novità. Perché nessuno inventa qualcosa dal nulla, ma partiamo tutti da un insieme di dati.

Dire che un animale risolve qualcosa ri-organizzando immediatamente le informazioni (l’insight di prima) è come non dire nulla. Dobbiamo indagare davvero cosa accade nella sua mente.

In che modo?

È molto difficile. A volte gli animali agiscono e non abbiamo idea di cosa sta accadendo. Gli scienziati possono procedere attraverso esperimenti controllati, da una parte, e dall’altra tentando di immaginare che cosa scrivere nel programma se dovessero costruire un robot capace delle stesse prestazioni dell’animale, in grado cioè di restituire soluzioni nuove partendo da una situazione problematica.

Lei lavora con i corvi della Nuova Caledonia, animali dalle sorprendenti capacità cognitive, campioni nella costruzione e uso di strumenti e che dimostrano un comportamento flessibile. Sono diventati delle vere e proprie star.

Gli animali sono molto complessi e bisogna tenere in considerazione sia come sono nati e si sono evoluti (e quindi l’ecologia dell’ambiente), ma anche le nuove connessioni stabilite diversamente da individuo a individuo. I corvi della Nuova Caledonia in natura usano e costruiscono strumenti e anche quando, in laboratorio, si trovano di fronte a situazioni del tutto nuove, si comportano in modo molto più sofisticato di uno scimpanzé o di un bambino.  Come fanno? Di nuovo, potrei dire “perché sono molto intelligenti” ma questo è proprio  l’approccio che sto criticando, perché vorrebbe dire che in realtà non sto capendo cosa stanno facendo.

Aggiungo che i miei corvi non sanno inventare tutto, ma eccellono in alcuni settori soltanto e, in altri ambiti, vengono superati da specie più capaci.  Basta confrontare corvo e pappagallo, entrambi gruppi di specie con cervello grande rispetto al resto del corpo che dimostrano comportamenti flessibili: le attività in cui eccellono sono rispettivamente diverse. Non bisogna mai dimenticare che l’intelligenza è uno strumento fornito dall’evoluzione per permettere agli animali di agire nel modo più adeguato possibile nell’ambiente in cui vivono.