"Darwin: schiavismo e razze umane". Testo integrale

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Darwin : schiavismo e razze umane 

Renato G. Mazzolini

 
1.   Premessa
Oggi assistiamo a due processi contemporanei: la mitizzazione di Charles Darwin e la sua criminalizzazione. Si tratta di due processi storici di per sé interessanti, ma che allontanano da una maggiore conoscenza storica dello scienziato e della sua opera. Non mi occuperò di questi due processi, ma partirò da uno di essi per esporre una ipotesi relativa all’opera di Darwin, alla sua genesi e al suo sviluppo che non mi pare presente nella storiografia.
Se si digita sul motore di ricerca di Google “Darwin and race” si scoprono diversi siti in cui si dichiara che Darwin è stato un razzista estrapolando dalle migliaia di pagine delle sue opere a stampa, dei suoi diari, note, lettere e marginalia alcune citazioni che dovrebbero avallare questo giudizio. Inutile dire che questi siti sono redatti da creazionisti il cui intento è quello di screditare l’uomo e quindi le teorie da lui formulate. Infatti, quale accusa più grave può essere mossa - oggi - a uno studioso del passato se non quella di dichiararlo razzista e associare il suo nome – come è stato fatto – a Hitler? Grandi studiosi di Darwin, penso ad esempio a Patrick Tort, il direttore editoriale del monumentale Dictionnaire du darwinisme et de l’évolution, hanno mostrato come questa tesi sia storicamente insostenibile[1] . Ma una dimostrazione storiografica documentata non ha - lo sappiamo - alcun peso nell’ambito di un dibattito pubblico in cui ben altre sono le questioni in campo. Eppure, vi è un punto che, a mio avviso, gli stessi specialisti di Darwin hanno sottovalutato e trascurato nelle loro ricostruzioni della genesi e svolgimento dell’opera darwiniana ed è la rilevanza che per lui ebbe il nesso tra schiavismo e razze umane. Questa conferenza è dedicata a tale nesso.
2. Una eredità morale
Darwin nacque due anni dopo che il Parlamento inglese ebbe decretato nel 1807 l’illegalità della tratta degli schiavi sub-sahariani. Si trattava di un risultato straordinario ottenuto da un movimento d’opinione pubblica come mai prima si era visto. Thomas Jarrold (1770-1853), un abolizionista convinto, scrisse nella sua Anthropologia, or Dissertations on the Form and Colour of Man del 1808: “Having power over the negroes, we have mistaken it for rank; and while we degrade ourselves by the most iniquitous conduct towards them, still we imagineourselves great”[2].
Il movimento abolizionista non intendeva dichiarare fuori legge solo la tratta, ma la stessa istituzione della schiavitù nelle colonie inglesi. Senonché, dopo le prime sconfitte subite in parlamento, i due principali esponenti del movimento, William Wilberforce (1759-1833) e Thomas Clarkson (1760-1846), decisero di procedere gradualmente e cioè di ottenere prima l’abolizione della tratta e, successivamente, quella della stessa schiavitù[3] . Questo secondo passo decisivo fu compiuto solo nel 1833, dopo oltre cinquant’anni di mobilitazione e quando Darwin era sul Beagle. Ma per tutto il periodo, cioè dal 1807 al 1833 la questione della schiavitù rimase un argomento del giorno che coincise con la gioventù di Darwin.
Sia il nonno paterno di Charles, cioè il filosofo naturale e poeta Erasmus Darwin (1731-1802), sia il nonno materno, l’industriale delle ceramiche Josiah Wedgwood (1730-1795), oltre a essere amici personali e membri della Lunar Society di Birmingham (grande promotrice della rivoluzione industriale e tecnologica)[4] , furono due dei maggiori rappresentanti della prima fase del movimento abolizionista. Negli anni ottanta e novanta del Settecento Erasmus scrisse poesie, come The Dying Negro, includendo passi contro la schiavitù dei neri anche in alcune opere scientifiche e soprattutto nel poema Gli amori delle piante[5] . Suo è il verso “He, who allows oppression, shares the crime”[6] . Josiah Wedgwood produsse il sigillo ufficiale della Society for Effecting the Abolition of the Slave Trade fondata nel 1787. Si tratta del celebre cammeo ove è rappresentato uno schiavo genuflesso con la scritta “Am I not a Man and a Brother?”, poi prodotto gratuitamente per la Società in migliaia di copie.
La recente storiografia sul movimento per l’abolizione della schiavitù ha spesso sottolineato che il suo successo si dovrebbe ad argomenti economici secondo cui la produzione agricola effettuata da liberi nelle colonie sarebbe stata più remunerativa di quella effettuata da schiavi. In effetti, è probabile che nel 1833 un tale argomento abbia orientato il voto di più di un membro del parlamento, ma non fu certamente questo argomento economico a mobilitare centinaia di migliai di individui a sostenere le petizioni di Clarkson e Willberforce, quanto piuttosto un profondo senso di giustizia dovuto a una nuova sensibilità morale. Per questo ritengo che il movimento per l’abolizione della tratta e della schiavitù abbia operato una lenta rivoluzione nella morale cristiana dell’epoca.
L’antischiavismo di Erasmus Darwin e di Josiah Wedgwood costituì un lascito morale per le loro famiglie. Esso si è incarnato in Charles che - come è noto - era figlio del medico Robert e di Susannah Wedgwood, il cui fratello, lo zio Josiah Wedgwood II, sarebbe divenuto anche suo suocero, avendo Charles sposato nel 1839 la cugina Emma Wedgwood. È noto come lo zio sia stato un amico personale e costante finanziatore delle campagne di Clarkson, così come lo furono altri membri della famiglia. Non vi è dubbio che il giovane Darwin abbia ereditato dall’ambiente familiare la convinzione che lo schiavo nero era un uomo e un fratello: un lascito morale che, nella mia interpretazione, pervade l’opera scientifica successiva del naturalista inglese. Sintomo oltremodo significativo di tale lascito morale è una citazione in quella che è la definitiva opera antropologica di Darwin, The Descent of Man and Selection in Relation to Sex (1871), lì ove descrive la differenza nella disposizione morale tra un barbaro crudele e “a Howard or Clarkson”[7] . Il fatto di avere citato Clarkson quale massimo esempio della disposizione morale nella sua ultima grande opera non è casuale, ma costituisce il maggior tributo che egli potesse conferire all’eroe della sua famiglia e della sua gioventù. 
3. Gli anni di Edimburgo (1825-1827)
Seguendo la traccia dell’Autobiografia scritta da Darwin, i suoi biografi hanno generalmente dato scarso rilievo ai due anni da lui trascorsi presso l’Università di Edimburgo, tra il 1825 e il 1827, ove si recò per studiare medicina, una disciplina da lui poi abbandonata. Darwin era ancora giovanissimo. Quando arrivò ad Edimburgo, aveva infatti appena sedici anni. L’età aurea dell’Università (in medicina, chimica, filosofia, storiografia ed economia) era decisamente tramontata[8] . Eppure, gli studiosi che vi operarono prima e all’epoca in cui Darwin vi fu studente hanno avuto una notevole rilevanza sia sulla sua formazione, sia per i suoi successivi studi antropologici[9]. Basti pensare, ad esempio, come la nozione di simpatia – l’istinto o impulso che consente all’uomo, in quanto animale sociale, di difendere e aiutare i suoi simili e pertanto di rafforzare il gruppo di appartenenza -, che è centrale nell’antropologia di Darwin, affondi le sue radici nel pensiero di David Hume e Adam Smith (che egli cita) e di altri studiosi scozzesi del Settecento[10], oppure alle diverse elaborazioni della teoria sui quattro stadi (caccia e pesca, pastorizia, agricoltura, commercio), che prospettavano una filosofia della storia che ha avuto lunga vita[11].
Edimburgo è stato il principale centro di diffusione di diverse correnti del pensiero antropologico britannico e nord-americano. Nel 1788 Samuel Stanhope Smith (1750-18199 vi ha pubblicato An Essay on the Causes of the Variety of Complexion and Figure in the Human Species, James Cowles Prichard (1786-1848) vi si è laureato nel 1808 con la Disputatio inauguralis de generis humani varietate e Samuel George Morton (1799-1851) nel 1823 con la tesi De corporis dolore e, nello stesso anno, Thomas Hodgkin (1798-1866) con una tesi di argomento strettamente medico. Prichard è stato il più eminente sostenitore della teoria della monogenesi nella prima metà dell’Ottocento in Inghilterra[12] , Hodgkin, un suo allievo spirituale, un abolizionista dichiarato e la voce più consapevole e allarmata per la tragica e coeva estinzione di numerose razze umane che venivano a contatto con gli europei [13] , mentre Morton è considerato il fondatore della scuola americana di antropologia fisica e il maggiore esponente della teoria della poligenesi negli Stati Uniti. Di Morton dirò più avanti, ma di Prichard almeno questo desidero ricordare. Nella copia in suo possesso dell’opera di Prichard in cinque volumi Researches into thePhysical History of Mankind Darwin scrisse: “How like my Book all this will be”, intendendo per “my Book” On the Origin of Species[14] . Si tratta di un indizio importante, poiché non è solo una dichiarazione di adesione, ma anche che la finalità della sua opera era simile a quella di Prichard: dimostrare la comune discendenza di tutte le razze umane. Un compito - come sappiamo - che richiese “one long argument”[15] : una argomentazione di tutta una vita.
Ma torniamo agli anni in cui Darwin era a Edimburgo. Posso qui ricordare solo tre personaggi. Il primo è Sir Walter Scott (1771-1832) che egli vide presiedere una riunione della Royal Society di Edimburgo. Come è noto, con i suoi romanzi Scott suscitò un forte interesse per la storia delle istituzioni medievali, per i popoli teutonici e in particolare per i Sassoni, fornendo indirettamente (e credo involontariamente) argomenti al ricorrente mito della superiorità razziale sassone[16] . Il secondo è Robert Knox (1791-1862) che allora aveva uno straordinario successo come insegnante di anatomia prima di essere costretto a lasciare Edimburgo per uno scandalo di risonanza europea relativo all’acquisizione di cadaveri di individui uccisi appositamente da due malfattori per poterne vendere il corpo[17]. Successivamente egli divenne il maggiore rappresentante del razzismo britannico. Nel libro del 1850, The Races of Men, scrisse nella prefazione “Race is everything: literature, science, art, in a word, civilization, depend on it”[18] . Né il clima, cioè l’ambiente, né la civiltà potevano, a suo dire, modificare la razza. Egli irrise all’opera di Prichard [19] e quando Darwin pubblicò On the Origin of Species, scrisse nel 1861 che l’opera “leaves the question precisely where it was left by Goethe, Oken, and Geoffroy St. Hilaire” [20] . Nel 1862 fu invitato da un suo grande ammiratore, James Hunt (1833-1869) presidente della Anthropological Society di Londra, ove sostenne che nessuna selezione naturale era in grado di consentire a una varietà di abili neri di diventare una razza più intelligente[21] .
L’ultimo personaggio del periodo di Edimburgo che desidero qui ricordare non ha un nome[22] ed è così presentato nell’Autobiografia:
“A proposito di Waterton[23] , ricordo che viveva a Edimburgo un negro che aveva viaggiato con lui: era un abile impagliatore di uccelli e con questo mestiere si guadagnava da vivere; io presi da lui alcune lezioni a pagamento e mi compiacevo di trattenermi spesso con lui, che era simpatico e intelligente”[24] .
 
In realtà non si trattarono solo “di alcune lezioni a pagamento”. L’originale è “he gave me lessons for payment”[25] . Ma quante lezioni? Dalla lettera del 29 gennaio 1826 alla sorella Susan apprendiamo che il personaggio in questione “only charges one guinea, for an hour every day for two months”[26], quindi almeno una quarantina di ore (escludendo sabato e domenica). Per Charles fu una esperienza di tale importanza da essere inclusa in The Descent of Man lì ove dimostra la somiglianza dei tratti mentali tra gli uomini. Il passo merita d’essere riportato per intero.
“The American aborigines, Negroes and Europeans differ as much from each other in mind as any three races that can be named; yet I was incessantly struck, whilst living with the Fuegians on board the “Beagle,” with the many little traits of character, shewing how similar their minds were to ours; and so it was with a full-blooded negro with whom I happened once to be intimate”[27] .
 
Il “full-bloded negro” con cui Darwin fu “intimate” non può essere altri che l’impagliatore d’uccelli di Edimburgo.
4. La schiavitù
L’odio viscerale da parte di Darwin per la pratica della schiavitù e per il connesso esercizio di crudeltà fisiche e morali è un fatto ben noto alla storiografia. Meritano qui, tuttavia, di venire ricordati almeno alcuni episodi per mostrare come tale sentimento abbia costituito una costante della sua vita e quindi una disposizione morale determinante nella lenta argomentazione delle sue opere.
Ricordando nell’Autobiografia i complessi rapporti avuti con l’irascibile ma generoso capitano del Beagle, Robert FitzRoy (1805-1865), Darwin scrisse:
“quando eravamo a Bahia [cioè tra il 28 febbraio e il 18 marzo 1832], in Brasile, si mise a difendere e lodare la schiavitù, che io detestavo, e mi disse che poco prima aveva fatto visita a un grande padrone di schiavi, che li aveva radunati e aveva chiesto a molti di loro se erano felici e se volevano riacquistare la libertà; tutti avevano risposto di no. Gli chiesi allora, in tono ironico, se credeva che la risposta degli schiavi, in presenza del padrone, potesse avere qualche valore. Questa osservazione lo mandò su tutte le furie, e disse che se mettevo in dubbio la sua parola non potevamo più vivere insieme …”[28].
 
Poco dopo, durante la prolungata sosta a Rio de Janeiro, tra il 4 aprile e il 5 luglio del 1832, Darwin ebbe modo di inoltrarsi nella foresta tropicale e visitare la piantagione di caffè dell’irlandese Patrick Lennon che distava circa 100 miglia a nord di Rio[29] . Lì ebbe modo di osservare come funzionasse la schiavitù, e di vedere come Lennon, a causa di un diverbio con il suo sopraintendente, fosse disposto a vendere tutti gli schiavi e a scioglierne le famiglie. Descrisse l’episodio nella prima edizione del suo Journal of Researches del 1839[30]. Nella seconda edizione di quest’opera (1845), alla data 19 agosto 1836, durante il viaggio di ritorno in Inghilterra aggiunse di avere assistito a tali punizioni inflitte agli schiavi da esserne talmente sconvolto da ringraziare Iddio per non dovere più visitare paesi schiavisti in futuro. Ciò che più lo colpì fu la contraddizione tra professione religiosa e pratica schiavista:
  “Immaginatevi la probabilità che sempre vi sta sul capo, di vedere vostra moglie e i vostri bambini – che anche allo schiavo la natura dà il dirittodi chiamare suoi propri – strappati dal vostro petto e venduti come animali al primo offerente! E questi fatti sono compiuti e sostenuti da uomini che professano di amare il loro prossimo come loro stessi, che credono in Dio, e dicono pregando che la Sua volontà sia fatta su questa terra! Fa bollire il sangue, tremare il cuore, il pensiero che noi Inglesi ed i nostri discendenti Americani, col loro vantato grido di libertà, abbiano compiuto e compiano ancora simili delitti …”[31] .
 
Dopo il matrimonio con Emma, i Darwin risiedettero a Londra tra il 1839 e il 1842 facendo molta vita sociale. Incontrò più volte da suo fratello lo storico Thomas Carlyle (1795-1881) invitandolo anche a casa propria. Pur apprezzandone la conversazione, riteneva di non avere mai incontrato una persona più negata di lui a comprendere la ricerca scientifica. Inoltre, scrisse che “le sue idee sulla schiavitù erano rivoltanti”[32] .
Durante tutti gli anni cinquanta e sessanta Darwin seguì costantemente le controversie americane sulla schiavitù e la guerra civile sia attraverso la stampa sia tramite i suoi corrispondenti d’oltre oceano[33] . Nel febbraio del 1859, quando stava ancora scrivendo On the Origin of Species, lesse il primo volume dell’opera di Frederick Law Olmsted (1822-1903) relativa al viaggio da questi compiuto negli stati schiavisti dell’America del Nord[34]. Stando alla testimonianza del figlio William ciò gli procurò delle notti insonni.
“What especially impressed me – ricordò William Darwin nel primo centenario della nascita del padre - was his hatred of slavery. I remember his talking with horror of his sleepless nights when he could not keep out of his mind some incidents from Olmsted’s Journey in the Slave States, a book he had lately been reading; and in many of his letters to Professor Asa Gray he alludes to slavery with the utmost detestation”[35] .
 
Vorrei qui ricordare un passo e un cenno relativi alla schiavitù presenti in The Descent of Man. Il passo è il seguente:
«The great sin of Slavery has been almost universal, and slaves have often been treated in an infamous manner. As barbarians do not regard the opinion of their women, wives are commonly treated like slaves. Most savages are utterly indifferent to the sufferings of strangers, or even delight in witnessing them»[36] .
 
Ma poi fornisce un contro esempio: “Mungo Park’s touching account of the kindness of the negro women of the interior to him is well known”[37] . E poi, trattando della questione della fiducia nei confronti dell’altro, contrappone alla moderna storia della diplomazia europea, per la quale dire una menzogna all’altro non sarebbe stato considerato un peccato, la testimonianza di Mungo Park che sentì “the negro women teaching their young children to love the truth. This, again, is one of the virtues which becomes so deeply rooted in the mind that it is sometimes practised by savages even at a high cost, towards strangers…”[38].
Quanto al cenno esso è presente in un passo in cui Darwin elenca le possibili cause della decadenza dell’antica civiltà greca. Tra queste include “the practice of slavery”[39] . Il cenno è significativo poiché chiarisce – a mio modo di vedere – un’ulteriore ragione dell’antischiavismo darwiniano soprattutto in riferimento al mondo anglosassone: la schiavitù è un crimine e una delle possibili cause di decadenza di una civiltà, anche di quella anglosassone. 
5. Contro l’antropologia fisica americana (1850-1859)
Con l’abolizione della schiavitù nelle colonie francesi nel 1848 si verifica una coincidenza temporale apparentemente inspiegabile negli studi di antropologia fisica. Infatti, alla prevalenza dei monogenisti sui poligenisti che caratterizza la prima metà dell’Ottocento, quando in tutta Europa era vivissimo il movimento abolizionista, segue - a partire dal 1848 - una fase che può essere descritta come quella delle teorie razziali e razziste scientifiche, in cui la parola d’ordine era “ineguaglianza”: liberi sì, o forse sì, ma ineguali. Nel 1849 in Germania Carl Gustav Carus (1789-1869) pubblicò Ueber ungleiche Befähigung der verschiedenen Menscheitstämme für höhere geistige Entwickelung, in Inghilterra Robert Knox pubblicò nel 1850 The Races of Men, in Francia Joseph-Arthur de Gobineau (1816-1882) pubblicò tra il 1853 e il 1855 i quattro volumi dell’Essai sur l’inégalité des races humaines, e negli Stati Uniti Samuel George Morton, Jean-Louis Agassiz (1807-1873), Josiah Clark Nott (1804-1873) e George R. Gliddon (1809-1857) inondarono le riviste con articoli in cui sostenevano la poligenesi. In particolare, dopo la morte di Morton avvenuta nel 1851, Nott e Gliddon pubblicarono nel 1854 un’opera miscellanea - riccamente illustrata e di oltre 700 pagine in quarto - dal titolo Types of Mankind che con le sue numerose edizioni divenne la Bibbia degli schiavisti[40] . Darwin seguì attentamente gli scritti antropologici provenienti dagli Stati Uniti, di cui comprendeva bene le implicazioni politiche, informandosi inoltre delle posizioni assunte da Agassiz, professore di zoologia all’Università di Harvard, sia tramite un altro professore di quell’università, il botanico Asa Gray (1810-1888) , sia tramite l’amico Charles Lyell (1795-1875) che spesso si recava negli Stati Uniti. Egli lesse Types of Mankind e, sul margine di un saggio di Agassiz lì contenuto scrisse, ad esempio, “what forced reasoning!”[41]. Gli studiosi americani sostenevano multipli centri di creazione d’uomini, animali e piante, essendo tutti creati per un determinato habitat.
Almeno una ricerca sviluppata da Darwin in On the Origin of Species potrebbe essere stata stimolata proprio dalla teoria dei “singoli centri di creazione” (discussa nel capitolo XII)[42] : quella sui semi di piante che, immersi per lunghi periodi in acqua marina, potevano essere trasportati per centinaia di miglia e, buttati a riva, germogliare[43].
L’uomo, com’è noto, non fu oggetto d’indagine in On the Origin of Species. Infatti, lì si trattava di stabilire una teoria di validità generale applicabile quindi a tutto il mondo organico. Ma, nelle pagine conclusive era inserita la frase programmatica “Light will be thrown on the origin of man and his history”[44] .
6. Il riconoscimento a William Charles Wells (1866)
La scienza è un'attività collettiva ed è sempre difficile stabilire chi sia stato il primo autore a compiere una scoperta o a formulare una determinata teoria. Oggi molti storici ritengano che ciò non sia poi così significativo. Io, invece, sono del parere opposto e continuo a ritenere che ciò costituisca un argomento rilevante poiché riguarda i processi comunicativi, lo status sociale dei ricercatori, le aspettative culturali della società a loro coeva e l’ambito specifico in cui la scoperta è stata compiuta o la teoria è stata formulata. Né Darwin, né Alfred Russel Wallace (1823-1913) sono stati i primi a proporre la teoria della selezione naturale. Colui che per primo l’ha enunciata è stato il medico William Charles Wells (1757-1817) in una conferenza tenuta presso la Royal Society di Londra il primo aprile 1813[45] . Dopo la sua morte, avvenuta nel 1817, la conferenza fu pubblicata postuma assieme ad altri suoi scritti nel 1818[46]. Nonostante il contenuto della conferenza sia stato parzialmente esposto nei periodici dell’epoca, essa fu quasi del tutto dimenticata fino a quando, avvertito del contenuto da un americano[47], Darwin la lesse e quindi la discusse diffusamente nel “Historical sketch” premesso alla quarta edizione di On the Origin of Species del 1866. Darwin riconobbe che: “In this paper he [cioè Wells] distinctly recognises the principal of natural selection, and this is the first recognition which has been indicated; but he applies it only to the races of man, and to certain characters alone”[48] . Ed è appunto questo il punto a mio avviso rilevante: l’ambito specifico di applicazione[49] . Wells, infatti, discusse un tema che aveva coinvolto numerosi studiosi europei da almeno 160 anni. Il tema si può riassumere nella domanda ‘perché i neri sono neri?’. Esso riguardava dunque la variazione della pigmentazione nella specie umana: “but he applies it only to the races of man, and to certain characters alone”. È doveroso ricordare che fu principalmente dalle indagini e dalle risposte date da una schiera di studiosi a quella domanda – così semplice solo in apparenza - che si è sviluppata nel Settecento e primo Ottocento gran parte della ‘storia naturale dell’uomo’ (espressione equivalente a quella che oggi chiamiamo antropologia fisica), e che fu in tale ambito che è emerso l’uso biologico della nozione di razza[50] . A mio modo di vedere il punto storicamente rilevante è che si è giunti alla teoria della selezione naturale vuoi analizzando un caso molto specifico, come la variazione della pigmentazione umana (Wells), vuoi la variazione di numerosi caratteri presenti in un gran numero di specie (Darwin e Wallace). La forza della formulazione di Darwin rispetto a quella di Wallace risiede ovviamente nel fatto che la sua base empirica era molto più ampia.    
Ma vi sono anche elementi biografici che rendono particolarmente interessante la teoria avanzata da Wells. Essendo nato a Charleston, nel Carolina del Sud, e avendo lavorato in Florida, egli conosceva bene cosa fosse la schiavitù e quali fossero le malattie dei bianchi e dei neri in diversi contesti geografici. Inoltre, la sua formazione universitaria era tra le migliori e più cosmopolite che si potessero avere allora, avendo studiato a Londra, Edimburgo, Leida e Parigi. Anche per lui, come in seguito per Darwin, il nesso tra schiavismo e razze umane è evidente, sebbene Wells non nutrisse come Darwin uguali sentimenti antischiavisti. Egli credeva nella modificabilità sia della specie umana, sia di specie animali. Qui basti ricordare che per lui, contrariamente a una opinione allora ancora assai diffusa, “the blackness of the skin in negroes is no proof of their forming a different species of men from the white race”[51] .
7. L’effetto reversivo dell’evoluzione (1871)
Il nucleo dell’antropologia di Darwin è costituito da quello che Patrick Tort ha definito l’effetto reversivo dell’evoluzione[52] . Esso consiste nel superamento della selezione naturale attraverso i processi di istituzionalizzazione del sentimento di simpatia. Nelle osservazioni conclusive al terzo capitolo della prima edizione di The Descent of Man il meccanismo è così riassunto:
“Finally, the social instincts which no doubt were acquired by man, as by the lower animals, for the good of the community, will from the first have given to him some wish to aid his fellows, and some feeling of sympathy. Such impulses will have served him at a very early period as a rude rule of right and wrong. But as man gradually advanced in intellectual power and was enabled to trace the more remote consequences of his actions; as he acquired sufficient knowledge to reject baneful customs and superstitions; as he regarded more and more not only the welfare but the happiness of his fellow-men; as from habit, following on beneficial experience, instruction, and example, his sympathies became more tender and widely diffused, so as to extend to the men of all races, to the imbecile, the maimed, and other useless members of society, and finally to the lower animals, - so would the standard of his morality rise higher and higher“[53] .
 
È la progressiva evoluzione della moralità, attraverso la sua istituzionalizzazione a divenire costitutiva nell’uomo e pertanto a limitare sempre più l’azione della selezione naturale nei confronti dei più deboli o meno adatti. Si capisce allora perché la distinzione tra civilizzati e selvaggi non riguardi mai la struttura corporea dell’uomo, ma esclusivamente il livello di sviluppo tecnico, culturale e sociale[54] , e non necessariamente il livello morale. Si capisce poi perché Darwin abbia ritenuto un crimine di civiltà la pratica dello schiavismo e una conquista morale la sua abolizione e abbia indicato infine nella personalità di Thomas Clarkson uno dei massimi esempi di moralità.
 
 




* Il testo di questo articolo riproduce una conferenza da me tenuta presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento il 30 aprile 2009. Ho ritenuto di dovere mantenere in inglese le citazioni dai principali testi di Darwin, poiché – come si può evincere dalle note 27 e 38 – le traduzioni presentano alcuni errori od omissioni gravi.
[1] Dictionnaire du darwinisme et de l’évolution, diretto da Patrick Tort, 3 voll., Paris 1996, vol. 1, pp. 95-102, vol. 3, pp. 3610-3613.
[2] Thomas Jarrold, Anthropologia, or Dissertations on the Form and Colour of Man, London 1808, p. 216.
[3] Robin Blackburn, The Overthrow of Colonial Slavery, 1776-1848, London, New York 1988.
[4] Valentina Vaccari, Joseph Priestley e la Lunar Society. I laboratori e la pratica sperimentale, Milano 2008, pp. 75-80.
[5] Erasmus Darwin, Gli amori delle piante: poema con note filosofiche. Traduzione dall’originale inglese di Giovanni Gherardi, Milano 1818, canto terzo, versi 693-733 alle pp. 130-131.
[6] Che il traduttore italiano tradusse con “De’ tiranni istessi/ Reo non è men chi tirannia consente”, cfr., Gli amori delle piante, cit., p. 130.
[7] Charles Darwin, The Descent of Man and Selection in Relation to Sex, 2 voll., London 1871, vol. 1, p. 35. Per la traduzione italiana cfr., Charles Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, Milano, terza edizione 1975, p. 92: “un Howard o un Clarkson”. Howard va identificato con il filantropo e riformatore sia del sistema penitenziario sia di quello ospedaliero John Howard (1726-1790). Egli era un altro eroe della famiglia Darwin. Infatti, ne Gli amori delle piante, cit., Erasmus Darwin gli dedicò i versi 690-742 del secondo canto, pp. 71-73. La nota a p. 258 che il traduttore del poema gli dedica termina affermando che “Il nome di lui è uno de’ più cari agl’inglesi; e l’afflitta umanità invoca che la sua memoria desti generosa emulazione in tutti coloro, cui la sorte fu prodiga de’ suoi doni”. 
[8] John D. Comrie, History of Scottish Medicine, 2 voll. London 1932, vol. 2, pp. 473-511.
[9] Sull’antropologia britannica nell’Ottocento cfr., George W. Stocking Jr., Victorian Anthropology, New York 1987.
[10] Charles Darwin, The Descent of Man, cit., vol. 1, p. 81 e 85; L’origine dell’uomo, cit., p. 134. La teoria della simpatia fu sviluppata da Adam Smith in The Theory of Moral Sentiments (1759) e fu ripresa da Erasmus Darwin in The Temple of Nature, cfr. i passi più significativi di queste opere riportati da J. S. Slotkin, Readings in Early Anthropology, London 1965, pp. 297, 414-415.
[11] Ronald L. Meek, Il cattivo selvaggio, Milano 1981.
[12] H. F. Augstein, James Cowles Prichard’s Anthropology: Remaking the Science of Man in Early Nineteenth-century Britain, Amsterdam, Atlanta 1999.
[13] Fondò anche la Aborigines Protection Society che aveva il motto “ab uno sanguine” cfr., H. F. Augstein, James Cowles Prichard’s Anthropology, cit., p. 145 e George W. Stocking Jr., Victorian Anthropology, cit., pp. 240-245.
[14] Charles Darwin’s Marginalia, a cura di Mario A. Di Gregorio con l’assistenza di N. W. Gill, vol. 1, New York , London 1990, p. 683. Darwin annotò molto questa edizione composita dell’opera di Prichard, così come una edizione precedente in due volumi, cfr., pp. 680-686.
[15] The Autobiography of Charles Darwin (1809-1882. With original omissions restored. Edited with Appendix and Notes by his grand-daughter Nora Barlow, London 1958, p. 140. Per la traduzione italiana cfr., Charles Darwin, Autobiografia 1809-1882 con l’aggiunta dei passi omessi nelle precedenti edizioni. Appendice e Note a cura della nipote Nora Barlow, Torino 1964, p. 122: “una lunga argomentazione”.
[16] Walter Scott non è menzionato da Hugh A. MacDougall, Racial Myth in English History: Trojans, Teutons, and Anglo-Saxons, Montreal, Hanover, London 1982.
[17] Henry Lonsdale, A Sketch of the Life and Writings of Robert Knox the Anatomist, London 1870, pp. 89-106.
[18] Robert Knox, The Races of Men, London 1850, p. 7.
[19] Robert Knox, The Races of Men, cit., p. 11: “I early examined the work of Blumenbach, of which the laborious writings of Dr. Prichard were an extension – an imperfect work, leading to no results; teaching a physiology as old as Herodotus and Hippocrates”, e ancora a p. 25: “The illustrious Prichard, with the best intentions in the world, has succeded in misdirecting the English mind as to all the great questions of race”.
[20] Citato da Henry Lonsdale, A Sketch, cit., p. 386.
[21] Robert Knox, On the Application of the Anatomical Method to the Discrimination of Species, in «Anthropological Review», 1/1863, pp. 263-270. Vedi anche, George W. Stocking Jr., What’s in a Name? The Origins of the Royal Anthropological Institute: 1837-1871, «Man» 6/1971, 369-390.
[22] R. B. Freeman, Darwin’s Negro Bird-Stuffer, «Notes and Records of the Royal Society of London», 33/1978, pp.83-86 ha identificato il nome di questo importante personaggio in John Edmonston (o Edmonstone), uno schiavo affrancato da Charles Edmonston of Demerara da cui prese il cognome. Cfr. anche Janet Browne, Charles Darwin: A Biography, vol. 1, Voyaging, Princeton , N. J. 1996, pp. 66.
[23] Charles Waterton (1785-1864), un naturalista cattolico ed eccentrico che fece un viaggio importante in Guyana.
[24] Charles Darwin, Autobiografia, cit., p. 33; The Autobiography, cit., p. 51.
 
[25] The Autobiography, cit., p. 51: “By the way, a negro lived in Edinburgh, who had travelled with Waterton and gained his livelihood by stuffing birds, which he did excellently; he gave me lessons for payment, and I used often to sit with him, for he was a very pleasant and intelligent man”.
[26] The Correspondence of Charles Darwin, a cura di Frederick Burkhardt e Sydney Smith, di cui dal 1985 ad oggi sono stati pubblicati 17 volumi, Cambridge, vol. 1, p. 29.
[27] The Descent of Man, cit., vol. 1, p. 232. Nella traduzione italiana L’origine dell’uomo, cit., p. 204, manca l’indicazione “negro”, rendendo il passo incomprensibile: “Gli aborigeni americani, i negri, e gli europei sono tanto diversi l’uno dall’altro intellettualmente quanto possono esserlo tre razze qualunque. Tuttavia rimanevo incessantemente colpito, mentre vivevo con i fuegini a bordo della Beagle, dai molti piccoli tratti di carattere che dimostravano quanto il loro cervello fosse simile al nostro, lo stesso vale per un puro sangue [full-blooded negro], di cui mi accadde altra volta di essere amico intimo”.
[28] Charles Darwin, Autobiografia, cit., p. 55; The Autobiography, cit., pp. 73-74: “early in the voyage at Bahia in Brazil he defended and praised slavery, which I abominated, and told me that he had just visited a great slave-owner, who had called up many of his slaves and asked them whether they were happy, and whether they wished to be free, and all answered “No”. I then asked him, perhaps with a sneer, whether he thought that the answers of slaves in the presence of their master was worth anything. This made him excessively angry, and he said that as I doubted his word, we could not live any longer together”.
[29] Janet Browne, Charles Darwin: A Biography, vol. 1, Voyaging, cit., pp. 212-213.
[30] Charles Darwin, Narrative of the Surveying Voyages of His Majesty’s Ships Adventure and Beagle between the years 1826 and 1836, Describing their Examination of the Southern Shores of South America, and the Beagle’s Circumnavigation of the Globe, vol. 3, Journal and Remarks 1832-1836, London 1839, p. 27.  
[31] Charles Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo, prima traduzione italiana col consenso dell’autore del Professor Michele Lessona, Torino 1972, p. 429. Per l’originale inglese cfr.,  Journal of Researches into the Natural History and Geology of the Countries Visited during the Voyage of H.M.S. Beagle round the World, London 1845, p. 500: “picture to yourself the chance, ever hanging over you, of your wife and your little children – those objects which nature urges even the slave to call his own – being torn from you and sold like beasts to the first bidder! And these deeds are done and palliated by men, who profess to love their neighbours as themselves, who believe in God, and pray that his Will be done on earth! It makes one’s blood boil, yet heart tremble, to think that we Englishmen and our American descendants, with their boastful cry of liberty, have been and are so guilty …”.
[32] Charles Darwin, Autobiografia, cit., p. 94; The Autobiography, cit., p. 113: “his views about slavery were revolting”.
 
[33] Ralph Colp, Jr., Charles Darwin: Slavery and the American Civil War, «Harvard Library Bulletin», 26,4/ 1978, pp. 471-489.
[34] L’opera di Olmsted, A Journey in the Seabord Slave States fu pubblicata nel 1856, mentre il suo secondo resoconto sullo schiavismo, A Journey in the Back Country, nel 1860, cfr., Ralph Colp, Jr., Charles Darwin, cit., pp.472-473. Ricavo la data di lettura della prima opera, che egli giudicò “excellent” da The Correspondence of Charles Darwin, cit., vol. 4, p. 496.
[35] Emma Darwin: A Century of Family Letters 1792-1896, a cura di Henrietta Litchfield, 2 voll., New York 1915, vol. 2, p. 169.
[36] The Descent of Man, cit., vol. 1, p. 94.
[37] The Descent of Man, cit., vol. 1, p. 95.
[38] The Descent of Man, cit., vol. 1, p. 95. La traduzione italiana, L’origine dell’uomo, cit., p. 143, contiene un grave travisamento. Essa infatti recita così: “così Mungo Park udì una donna indiana[!] che insegnava [!] ai suoi bambini ad amare la verità …”.
[39] The Descent of Man, cit., vol. 1, p. 178.
[40] C. Loring Brace, The ‘Ethnology’of Josiah Clark Nott, «Bulletin of the New York Academy of Medicine», 50/1974, pp. 509-528.
[41] Charles Darwin’s Marginalia, cit., p. 604. Tutto il volume è fortemente e molto criticamente annotato, pp. 603-606
[42] Charles Darwin, On the Origin of Species by Means of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life, London 1859. Charles Darwin, Sulla origine delle specie per elezione naturale ovvero conservazione delle razze perfezionate nella lotta per l’esistenza, traduzione di G. Canestrini, Milano 1933, pp. 390-393.
[43] Questa questione è molto complessa e non coinvolge solo studiosi nordamericani, ma anche britannici come Lyell e Prichard cfr., Barbara G. Beddall, ‘Notes for Mr. Darwin’: Letters to Charles Darwin from Edward Blyth at Calcutta: A Study in the Process of Discovery, «Journal of the History of Biology», 6/1973, pp. 69-95. Nel testo sottolineo solo uno dei fattori che a mio avviso indirizzarono la ricerca antropologica darwiniana, cioè la polemica verso i poligenisti americani. Ovviamente ve ne furono altri ampiamente riconosciuti dalla storiografia come, ad esempio, il saggio di Alfred Russel Wallace, The Origin of the Human Races and the Antiquity of Man Deduced from the ‘Theory of Natural Selection’, «Journal of the Anthropological Society of London», 2/1864, pp. clvii-clxxxvii sul quale cfr., Janet Browne, Charles Darwin: The Power of Place, vol. 2 of a Biography, London 2003, pp. 253-254.
[44] Charles Darwin, On the Origin of Species, cit., p. 488; Sulla origine delle specie, cit., p. 518: “Si spanderà una viva luce sull’origine dell’uomo e sulla sua storia”.
[45] Kentwood D. Wells, William Charles Wells and the Races of Man, «Isis», 64/1973, pp. 215-225.
[46] William Charles Wells, Two Essays: One upon Single Vision with Two Eyes; the other On Dew. A Letter to the Right Hon. Lloyd, Lord Kenyon and An Account of a Female of the White Race of Mankind, Part of whose Skin Resembles that of a Negro […], London 1818, pp. 423-439.
[47] Cioè da Charles Loring Brace. Nella lettera del 22 e 28 ottobre 1865 a Hooker, Darwin scrisse: “Talking of the Origin, a Yankee has called my attention to a paper attached to Dr Well’s [sic] famous Essay on Dew, which was read in 1813 to Royal Soc. but not printed, in which he applies most distinctly the principle of N. Selection to the races of man.” Cfr., The Correspondence of Charles Darwin, cit., vol. 13, p. 279 e la nota 18 a p. 281. Dalla lettera di Charles Loring Brace a Darwin del 29 aprile 1867 si apprende che il passo di Wells gli era stato segnalato da Robert S. Rowley,
cfr., The Correspondence of Charles Darwin, cit., vol. 15, p. 239.
[48] Charles Darwin, On the Origin of Species, quarta ed., London 1866, p. xiv. Nella lettera di Asa Gray a Darwin del 7 agosto 1866, il botanico americano scrisse: “Curious that Dr. Wells should have first propounded Nat. selection. But a man far-seeing in one line is likely to be so in others.” Dopo avere ricevuto la quarta edizione di Origin, Alfred Russel  Wallace scrisse a Darwin il 19 novembre 1866: “How curious it is that Dr. Wells should so clearly have seen the principle of Nat. Selectn. 50 years ago and that it should have struck no one that it was a great principle of universal application in Nature.” The Correspondence of Charles Darwin, cit., vol. 14, p. 283 e 291. 
[49] Discutendo le modifiche cui animali addomesticati andavano incontro soprattutto quando erano trasportati in climi diversi, Wells scrisse in Two Essays, cit., p. 435: “But, what is here done by art [selezione artificiale], seems to be done, with equal efficacy, though more slowly, by nature [selezione naturale], in the formation of varieties of mankind, fitted for the country which they inhabit”.
[50] L’ipotesi relativa alla genesi dell’antropologia di Darwin qui avanzata rientra in una lunga ricerca da me condotta sulle indagini degli studiosi europei sul colore della pelle degli africani sub-sahariani nel periodo 1640-1850. Segnalo alcuni dei miei contributi: Anatomische Untersuchungen über die Haut der Schwarzen (1700-1800), in: G. Mann and F. Dumont (curatori), Die Natur des Menschen. Probleme der Physischen Anthropologie und Rassenkunde (1750-1850). (Soem­mer­ring Forschungen, VI), Stuttgart 1990, pp. 169-187; Kiel 1675: la dissezione pubblica di una donna africana , in: M. Beretta, F. Mondella, and M. T. Monti (curatori), Per una storia critica della scienza. (Quaderni di Acme 26), Milano1996, pp. 371-393;Frammenti di pelle e immagini di uomini (1700-1740) , in: G. Olmi, L. Tongiorgi Tomasi e A. Zanca (curatori), Natura-cultura. L’interpretazione del mondo fisico nei testi e nelle immagini. Firenze 2000, pp. 423-443; ‘A Greater Division of Mankind is Made by the Skinne’: Thomas Browne e il colore della pelle dei neri, «Micrologus», 13/2005, pp. 571-604; Albinos, Leucoæthiopes, Dondos, Kakerlakken: sulla storia dell’albinismo dal 1609 al 1812, in: G. Papagno e G. Olmi (curatori), La natura e il corpo. Studi in memoria di Attilio Zanca. Firenze 2006, pp. 161-204; Las Castas: Interracial Crossing and Social Structure, 1770-1835 , in: S. Müller-Wille e H.-J. Rheinberger (curatori), Heredity Produced: At the Crossroads of Biology, Politics, and Culture,1500-1870. Cambridge, Mass. 2007, pp. 349-373
 
[51] William Charles Wells, Two Essays, p. 431.
[52] Dictionnaire du darwinisme et de l’évolution, diretto da Patrick Tort, 3 voll., Paris 1996, vol. 1, pp. 95-102.
[53] The Descent of Man, cit., vol. 1, p. 103; in questa edizione è nel capitolo quarto L’origine dell’uomo, cit., p. 149: “Infine, gli istinti sociali che senza dubbio furono acquisiti dall’uomo, come dagli animali inferiori, per il bene della comunità, per prima cosa gli avranno dato un qualche desiderio di aiutare i suoi simili, qualche sentimento di simpatia, e lo avranno spinto a considerare la loro approvazione o disapprovazione. Questi impulsi gli saranno serviti in un primissimo periodo come una rozza regola di giusto e di erroneo. Ma quando l’uomo gradualmente progredì in forma intellettiva, e fu in grado di prevedere le più lontane conseguenze delle sue azioni, quando acquistò conoscenza sufficiente da respingere costumi nocivi e superstizioni, quando considerò sempre di più, non solo il benessere, ma anche la felicità dei suoi simili, quando per abitudine, seguendo l’esperienza benefica, l’educazione e l’esempio, le sue simpatie divennero più dolci e ampiamente diffuse, estendendosi a uomini di tutte le razze, agli idioti, ai mutilati e a tutti gli altri membri inutili della società, e finalmente agli animali inferiori – allora il modello della sua moralità venne salendo sempre più in alto”.
[54] Francesco Cassata, Da Darwin a Hitler? «MicroMega, Almanacco di scienze; Darwin, 1809-2009», 2009, pp. 141-149.