BERLINO E IL “MURO LINGUISTICO” TRA EST E OVEST

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Conversazione con il sociolinguista Norbert Dittmar, professore emerito della Freie Universität di Berlino
di Manuela Caterina Moroni

Nei mesi di ottobre e novembre Norbert Dittmar, professore emerito della Freie Universität di Berlino, è stato visiting professor presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento e ha insegnato sociolinguistica del tedesco agli studenti di germanistica dei corsi di laurea magistrale in Letterature euroamericane, traduzione e critica letteraria e in Mediazione linguistica, turismo e culture.

Norbert DittmarProfessor Dittmar, che cos’è la sociolinguistica?
La sociolinguistica studia la lingua come fenomeno sociale, indagando come gruppi di persone comunicano in relazione alle loro condizioni di vita nella società. Noi sociolinguisti ci chiediamo come determinati gruppi di persone parlano nella vita di tutti i giorni in rapporto a variabili come età, genere, ambiente di lavoro, grado di istruzione e appartenenza ad una determinata etnia. Ne consegue che si deve lavorare con dati autentici, "andare sul campo" e registrare o se possibile riprendere "frammenti di vita", tornare alla scrivania, trascrivere le conversazioni e studiare il materiale trascritto. In sociolinguistica il lavoro empirico, la raccolta di dati autentici del parlato, è fondamentale.

Come si decide in sociolinguistica quali fenomeni studiare? Come nascono le domande della ricerca?
Direi che il sociolinguista è interessato alla "devianza dalla norma", a tutte le forme di comunicazione che non corrispondono allo standard ideale, alla norma insegnata a scuola e codificata nelle grammatiche. Un oggetto importante di studio è semplicemente la lingua parlata di tutti i giorni. Inoltre il sociolinguista vuole studiare e capire, per esempio, l’agire comunicativo di gruppi di minoranza. Tra i gruppi più studiati ci sono quelli degli immigrati. Negli anni ’60 ho avuto la fortuna di lavorare con William Labov, di andare con lui a fare registrazioni nel ghetto dei neri di New York. Negli anni ’70 ho studiato insieme a Wolfgang Klein la lingua dei Gastarbeiter italiani e spagnoli a Heidelberg. Altri temi importanti sono le lingue dei giovani nelle città, all’interno di certi ambienti molto ristretti che in tedesco chiamiamo Szenen (per esempio le Szenen legate ad un determinato tipo di musica di nicchia). Negli studi sulle lingue dei giovani ci si chiede per esempio quali siano i fattori sociali del cambiamento linguistico, quando e come mai una deviazione dalla norma, nata in un gruppo ristretto, si diffonda al di fuori del gruppo.

Il Suo nome è legato, oltre che a uno dei testi fondamentali della storia della sociolinguistica in Europa “Soziolinguistik” del 1973, al libro “Die Sprachmauer” (‘il muro linguistico’) in cui riassume i Suoi studi sul parlato di tedeschi dell’est e dell’ovest a Berlino all’inizio degli anni 90, dopo la caduta del muro. Si può dire che con la riunificazione i tedeschi dell’est (gli Ossis) si siano trovati a costituire una minoranza, un gruppo deviante dalla norma dominante dei Wessis, i tedeschi dell’ovest? Cosa si vede dal loro parlato?
Nelle interviste che io e i miei collaboratori abbiamo registrato e trascritto i tedeschi dell’est usano una lingua caratterizzata da fenomeni di insicurezza cognitiva. Il loro parlato è per esempio disseminato di marcatori del discorso, particelle modali e interiezioni come also, halt, eben, ne, hm, che spesso sono usati non in modo conforme alla norma, bensì per "riempire" i momenti di insicurezza nella formulazione. Attraverso l’analisi delle interviste ho cercato di dimostrare come una fase di rottura unica in Europa, la caduta del muro di Berlino, si rifletta nell’agire comunicativo di chi si trova improvvisamente privato del sistema etico nel quale è cresciuto. Nei dati si può osservare come i tedeschi dell’est, a differenza di quelli dell’ovest, non siano abituati a usare la lingua per "autopromuoversi", per mettersi in scena come persone vincenti. All’est non si usavano colloqui di lavoro in senso stretto, si svolgevano piuttosto brevi scambi su ciò che sapeva fare la persona. Come una persona sapesse parlare non era decisivo per la sua assunzione. C’era lavoro per tutti. L’individuo non era messo in primo piano. Questo nelle mie interviste si vede per esempio nell’uso dei pronomi personali, l’impersonale man è preferito all’ich, ‘io’.

Professor Dittmar, se avesse a disposizione fondi e personale, quale progetto di ricerca avvierebbe a Berlino?
Mi piacerebbe creare un corso di laurea per insegnanti della scuola materna per prepararli adeguatamente al lavoro in contesti multilingui e multietnici. Gli insegnanti della scuola materna dovrebbero ricevere una formazione a livello universitario in cui poter apprendere cosa significa per un bambino appartenere a una minoranza etnica e linguistica e come sfruttare e gestire questa ricchezza.