SIR - Incontro con Javier Cercas, foto Cristiano Zanetti, archivio Unitn

IL ROMANZO TRA FINZIONE E REALTÀ

in
Dialogo con lo scrittore spagnolo Javier Cercas autore di "Soldati di Salamina" e "Anatomia di un istante"
di Massimo Rizzante

Javier Cercas (1962), con i suoi due ultimi romanzi Soldati di Salamina (Guanda, 2002) e Anatomia di un istante (Guanda 2010) si è imposto, caso raro di questi tempi, con la forza, oltre che dei numeri, di un’autentica vocazione. Gli ho posto alcune domande, soprattutto sul suo ultimo romanzo (alla fine del 2012 in Spagna è già uscito Las leyes de la frontera che presto uscirà in Italia) accolto in Spagna come un best-seller, la cui forma, tra storia, cronaca e finzione, lo colloca in quella linea del romanzo che chiamerei “documentaria”. È una linea molto antica, che in epoca moderna da Flaubert giunge, attraverso Schwob e Borges, a Nabokov, e che, salendo le scale del racconto storico russo alla Pilniak e del New Journalism americano alla Wolfe, trova uno dei suoi apici nell’opera di Danilo Kis. 

Rizzante: definirebbe Anatomia di un istante un romanzo?
Cercas: dipende da quello che s’intende per romanzo. Storicamente, il romanzo è il genere più libero che esiste, il più flessibile. A me, ad esempio, piace parlare del romanzo come “genere dei generi”, nella misura in cui è in grado di assimilare tutti gli altri, di cambiare ogni volta pelle, di rinnovarsi costantemente. Da questo punto di vista, Anatomia di un istante è un insieme di generi - saggio, cronaca, ecc. - che sebbene abbia estirpato da sé qualsiasi tratto di finzione, conserva elementi essenziali del romanzo - l’ambiguità, la visione poliedrica della realtà, ecc. - e che in ogni caso aspira a essere una riflessione su ciò che il romanzo è, a sfidare i suoi limiti per espanderli. 

Rizzante: pensa che il successo clamoroso del suo libro, dove racconta in modo dettagliato il golpe del 23 febbraio del 1981 che rappresentò, dopo la fine del franchismo, il passaggio dalla cosiddetta Transición alla vittoria del Partito socialista e alla democrazia, sia dovuto al fatto che è stato vissuto come un esorcismo da diverse generazioni spagnole? E può avere lo stesso valore per un lettore europeo?
Cercas: non so se il mio libro possa essere un esorcismo. So che lo fu il golpe del 23 febbraio e più esattamente l’istante del golpe intorno al quale ruota tutto il mio libro allorché i golpisti entrarono sparando in Parlamento e tre uomini decisero di non gettarsi a terra e di restare al loro posto: in quel momento incominciò veramente la democrazia in Spagna, in quel momento ebbe fine la transizione dalla dittatura alla democrazia, in quel momento terminò la guerra, perché in Spagna il dopoguerra non fu altro che il prolungamento della guerra con altri mezzi. E inoltre, dato che la guerra civile e il franchismo furono l’ultimo tentativo di impedire l’entrata della Spagna nella Modernità, quell’istante fu il primo istante della Modernità spagnola. 

Rizzante: non so se è d’accordo, ma oggi pare che ci troviamo di fronte a un sentiero che si biforca: da una parte tutti noi non riusciamo più a immaginare la realtà se non attraverso finzioni di prima, seconda, terza mano, dall’altra, spinti dalla trasformazione della tradizione in archivio - un archivio spesso di immagini -  voltiamo le spalle all’immaginazione, preferendo affrontare la realtà direttamente. È quello che è successo anche a lei con Anatomia di un istante?
Cercas: quello che mi è successo con Anatomia di un istante è che desideravo scrivere un’opera di finzione sul colpo di stato del 23 febbraio, fino al momento in cui, quando già avevo riscritto un paio di volte il romanzo, mi sono accorto che il colpo di stato era di per sé una finzione (un avvenimento così intriso di leggende, mezze verità e menzogne come lo era stato a suo tempo l’assassinio di Kennedy) e ho compreso che scrivere una finzione su quella finzione non aveva senso, era un’operazione ridondante, e che rilevante dal punto di vista letterario era fare esattamente il contrario, ovvero sopprimere ogni finzione e disseppellire la realtà, scrivere con tutti gli strumenti che avevo a disposizione - quelli della storia, del giornalismo, del romanzo - un racconto rigorosamente fedele alla realtà. E questo ho fatto.

Rizzante: un tempo non molto lontano il romanzo inglobava il saggio o il reportage. Oggi, sembra avvenire il contrario: è il saggio o il reportage che ingloba il romanzo. Cosa ne pensa?
Cercas: penso che Anatomia di un istante è un saggio e un reportage o una cronaca o un libro di storia scritto ricorrendo agli strumenti del romanzo, i quali mi hanno permesso di giungere dove né il saggio né il reportage né la storia possono giungere. Quanto alla finzione, nel mio libro ho cercato di dare vita a quelle che chiamo figure della storia, quei momenti cioè nei quali la storia, che per definizione è caotica e priva di senso, pare adottare forme impensate per dirci che, almeno in certi determinati momenti, ha un senso. Il mio libro è costruito su queste figure e aspira a essere in un certo senso il racconto di una grande figura della storia. 

Rizzante: di recente George Steiner ha affermato che il romanzo è morto (sic!) e che non ci sono ormai che forme ibride che lui chiama “finzione-realtà”. Rushdie, a sua volta, ha parlato di “saggio narrativo”. Ma non è forse vero che il romanzo è sempre stato un essere ibrido fin dall’epoca di Rabelais e Cervantes?
Cercas: certo che il romanzo è un genere ibrido! Lo è sempre stato dai tempi di Cervantes, il quale lo inventò così (e tracciò il territorio dentro il quale si sono mossi tutti coloro che sono venuti dopo). Per questo parlavo prima del romanzo come genere dei generi, capace di inglobare tutto: la poesia il teatro, il saggio, la cronaca, ecc. In questo senso non credo alla morte del romanzo - un decreto di cui si parla da quando il romanzo incominciò a essere un genere artistico e non di puro intrattenimento, cioè a partire dalla fine del XIX secolo. Quello che è morto, forse, è il modello classico del romanzo, il romanzo così come si concepiva nel XIX secolo.  Non ha alcun interesse ripetere i modelli romanzeschi del passato senza rinnovarli, poiché non servono a rappresentare il presente.

Rizzante: in Anatomia di un istante tutti i personaggi (il re Juan Carlos, Suarez, Carrillo) sono storici, tutti gli eventi sono registrati negli archivi e l’evento che è al centro della narrazione, cioè il tentativo di golpe del tenente colonnello Tejero, è stato ripreso dalle telecamere e rivisto migliaia di volte da ogni cittadino spagnolo. Mi domando se per te il romanziere è oggi una sorta di portavoce della memoria collettiva e quindi il suo mestiere, come si afferma nel libro, è quello di scrivere un “romanzo collettivo”?
Cercas: il romanziere oggi può essere molte cose e, senza dubbio, Anatomia di un istante è in parte una specie di racconto collettivo: il racconto di come un Paese conquista la democrazia. Per questo tutti i personaggi sono personaggi reali, per questo vi domina l’azione e per questo potrebbe e forse dovrebbe essere letto come un romanzo di avventure, un racconto epico. Il gesto centrale del libro, il gesto di Adolfo Suarez che se ne rimane seduto sul proprio scragno mentre le pallottole dei golpisti gli ronzano intorno può forse essere visto come l’ultimo gesto epico della storia spagnola. In seguito, fortunatamente, sono giunti la noia e il grigiore della democrazia. Speriamo continui così. 

Rizzante: un’ultima domanda. Sia nel suo precedente romanzo, I soldati di Salamina, dove si narra un episodio della Guerra Civile, sia in quest’ultimo libro ama affrontare il passato della Spagna, quasi a voler radiografare i traumi che ne hanno segnato la storia, cercando allo stesso tempo di rivelare, al di là delle contrapposizioni ideologiche e politiche, le verità esistenziali dei personaggi storici. Si può dire in questo senso che il romanzo corregge la Storia?
Cercas: non ne sono sicuro: non credo che la storia possa correggersi. Nei due libri che menzioni, come in tutti i libri che ho scritto, sono partito da una scena o da un’immagine che m’interpellava, che mi poneva una domanda (nel caso de I soldati di Salamina l’immagine di un soldato repubblicano che, nel marzo del 1939, deve uccidere un poeta e ideologo fascista e decide di non ucciderlo) e quello che ho fatto è stato non tanto rispondere a quelle domande, quanto cercare di formularle nel modo più complesso possibile. Il fatto è che in entrambe le domande si annidavano due avvenimenti decisivi del passato - la guerra civile e la transizione alla democrazia - e perciò, per fare bene il mio lavoro, ho dovuto rappresentare nel modo più complesso possibile non solo i destini individuali dei personaggi, ma anche il destino collettivo del mio paese e, di conseguenza, come tu dici, radiografare i traumi che la Spagna ha sofferto nel corso del XX secolo. Facendolo, ho compreso che il passato è una parte del presente e che il racconto collettivo è parte del racconto individuale.