GIUSTIZIA SOCIALE E QUALITÀ DELLA VITA

in
A Trento la politologa Nadia Urbinati, docente della Columbia University di New York
di Alessandro Miorelli

Una nuova idea di “sviluppo” è quella emersa dalla Lectio magistralis “Giustizia sociale e qualità della vita” della professoressa Nadia Urbinati (Columbia University, New York) organizzata dal Dipartimento di Lettere e Filosofia e dal Collegio di Merito Bernardo Clesio il 18 febbraio scorso nella sede di via Tommaso Gar.

Nadia Urbinati, pluripremiata a livello internazionale per i suoi studi sulla democrazia rappresentativa e sul pensiero democratico e liberale (Mill in particolare ma anche Gobetti e Mazzini) ha proposto a un folto pubblico trentino la sua analisi del significato di giustizia sociale e di qualità della vita facendo dialogare l’utilitarismo di John Stuart Mill con il pensiero economico di Amartya Sen. 

La misura della giustizia sociale e della qualità della vita in una società democratica non può avere indicatori puramente quantitativi (logiche di mercato e di prodotto) o fondati esclusivamente sull’etica dei diritti (“ritengo che considerare i diritti indipendentemente dalle conseguenze sia fondamentalmente imperfetto” A. Sen, Risorse, valori, sviluppo, 1992). È necessario, per la politologa italo-americana, assieme all’estensione e al consolidamento dei diritti, recuperare l’etica della virtù di matrice aristotelica pur in un contesto contemporaneo ben diverso da quello antico che non può più fare a meno delle conquiste dell’individualismo e dell’egualitarismo (v. Urbinati, Liberi e uguali, 2012).

Perciò bisogna evitare la dicotomia di una giustizia sociale dualistica in cui l’etica della norma, delle regole imparziali sia in contrasto con l’etica della virtù e della felicità. È oggi indispensabile pensarle invece come etiche in tensione che favoriscano e facilitino la crescita economica e dei diritti, ma soprattutto della felicità e della libertà d’azione. Nadia Urbinati per poter pensare questo intreccio tesse un filo che porta da Mill a Sen e che consente di sferrare una critica profonda all’idea di capitalismo del secolo scorso retto dalla conquista di piaceri meramente quantitativi, prendendo invece in considerazione quelli che apportano qualità alla nostra vita in cui la difesa della libertà e dell’autonomia individuale diventano i fattori di progresso per gli altri.

Nel pensiero utilitaristico di Mill (v. Urbinati, L'ethos della democrazia, 2006) è riscontrabile il germe del recupero della vita buona aristotelica in cui l’individuo, all’interno di una società egualitaria, miri al raggiungimento di beni e piaceri immateriali e riconosca come interesse l’acquisto di un bene come qualità della vita.

Per Sen una migliore qualità della vita e di giustizia sociale non può limitarsi ad un istituzionalismo trascendentale fatto di norme e stati di diritto ma va pensato in relazione, è pragmaticamente contestuale. Sen (in Povertà e fame, 1981) ha mostrato come molte carestie siano dipese non tanto dalla mancanza di cibo, quanto dagli assetti proprietari, che, pur essendo giuridicamente legittimi, avevano impedito una distribuzione delle risorse. L’utilitarismo consente di arrivare a pensare non solo in termini di utilità e consumo ma di capacità di soddisfare alcune delle proprie esigenze. Capacità appunto che riflettono per Sen la libertà di agire. Attraverso politiche giudicate democraticamente dai cittadini si può giungere oggi a potenziare le capabilities (capacità di procurarsi vantaggio) ad estendere i funzionamenti di un individuo nella società e ad ampliarne le possibilità di scelta. Altrimenti avremo a che fare con una società ingiusta che subisce una mutazione antiegualitaria (v. Urbinati, La mutazione antiegualitaria) nonostante la garanzia dei diritti.

Una Lectio che ha indicato la strada per un nuovo ripensamento dell’idea di sviluppo, anche se di non facile realizzazione, e una vera sfida per le società democratiche rappresentative evolute (v. Urbinati, Democrazia rappresentativa, 2010) come è emerso nel dibattito seguente aperto al pubblico condotto dalla professoressa Paola Giacomoni e dal professor Maurizio Giangiulio del Dipartimento di Lettere e Filosofia. Il dialogo con Urbinati si è prolungato quindi su diverse questioni tra cui l’utopia latente che sottostà alle idee di Amartya Sen o la necessità di “fondamentali formativi” congrui che consentano ai cittadini di aspirare alle potenzialità di fare scelte significanti e qualitative (v. Urbinati, Lo scettro senza il re. Partecipazione e rappresentanza nelle democrazie moderne, 2009).