POST-UMANO E REGOLE DELLA VITA

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Alla Facoltà di Giurisprudenza una lezione del professor Stefano Rodotà
di Cinzia Piciocchi e Carlo Casonato

Il corpo, mai come oggi, è diventato “luogo”: luogo di dibattito, di conflitto, luogo di rivendicazioni e soprattutto di diritti e di libertà. Scenari scientifici nuovi ed entusiasmanti hanno aperto prospettive inedite sulle possibilità di scelta sul corpo umano, rendendo possibile ciò che in passato era destinato a restare nell’ambito delle aspirazioni individuali. Nuove opportunità si presentano nell’ambito della procreazione, del mutamento di sesso, del collegamento mente-computer, del modo in cui vogliamo apparire trasformando il nostro corpo e chiedendo alla scienza di intervenire su di esso: scenari che trasformano le aspirazioni individuali in richiesta di diritti.

Di questi argomenti ha trattato il professor Stefano Rodotà, in un seminario presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento, intervenuto nell’ambito del corso di Diritto costituzionale europeo e transnazionale l’11 novembre scorso. Di fronte ad un pubblico eterogeneo e numeroso, il professor Rodotà ha tenuto una lezione dal titolo “Post-umano e regole della vita”, ricordando la vocazione pioneristica dell’uomo che, non da oggi ma sin dall’antichità, si è volta oltre le “frontiere dell’umano”, perseguendo l’obiettivo di curare malattie, allungare la vita, modificando o quantomeno sfidando il corso della natura.

Rodotà è partito da un dato incontestabile: l’intervento delle tecnologie sul corpo umano (il post-umano), che ha come conseguenza la reazione del diritto che, con motivazioni differenti, talvolta ammette, talvolta esclude ciò che concretamente diventa possibile. Le diverse risposte del diritto, tuttavia possono essere interpretate come spia di una problematica più complessa. Si pensi alla dibattuta legge n. 40 del 2004 in tema di procreazione medicalmente assistita, sottoposta ad un referendum poco dopo la sua approvazione e successivamente dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Consulta. Non si tratta solo di trovare regole che riescano a conciliare differenti istanze etiche, quanto piuttosto della difficoltà della società di metabolizzare (prima ancora che di accettare) i cambiamenti antropologici che conseguono al progresso tecnologico. Tale difficoltà non passa solo per la società, ma coinvolge anche i giuristi, che vedono mutare (talvolta con sgomento) il loro ruolo in quello che Rodotà definisce il “palinsesto della vita”. Chi scrive le “regole dell’esistenza”? I giuristi dapprincipio, ma sempre di più anche gli scienziati, intersecandosi con le altre discipline, come attesta l’utilizzo corrente di alcuni termini: è oggi infatti normale discorrere non solo in termini di biologia, ma anche di bioetica, biopolitica e biodiritto.

Qual è il ruolo della scienza nei confronti di tutte queste discipline, il diritto, la politica, l’etica e quale quello di queste ultime verso la prima? Il progresso scientifico pare svelare misteri, li rende accessibili e possibili oggetto di scelta; ma chi decide, tra possibile e auspicabile, chi indica i fini da perseguire alla società e, in altre parole, chi detta veramente le regole del gioco?

Forse, suggerisce Rodotà, prima di guardare alla scienza con il timore di essere stati espropriati del proprio ruolo, i giuristi dovrebbero volgere lo sguardo al diritto, a se stessi dunque, ricercando punti di riferimento che non sono necessariamente smarriti, ma probabilmente solo mutati. La genetica stessa, ad esempio, ci dice una cosa molto importante: noi non siamo i nostri geni, non possiamo essere ridotti alla nostra sola biologia, siamo anche e soprattutto la nostra storia personale, poiché la biografia prima che la biologia racconta l’identità di noi stessi. 

Se dalla genetica spostiamo lo sguardo verso la Costituzione italiana, vediamo come in essa non si parli di vita, ma di esistenza (libera e dignitosa, art. 36): non di una dimensione meramente naturale, ma più ampia, che presuppone la libertà e la dignità degli individui. La centralità della persona, quindi, che emerge in questa come in altre norme costituzionali, porta dritti al concetto centrale del momento attuale: l’autodeterminazione.

La tecnologia non espropria necessariamente la nostra umanità, ma ci responsabilizza, rendendoci anche protagonisti sempre più attivi nella determinazione della nostra identità. 

Scienza e diritto, due creature “artificiali” prodotte dall’uomo, che intervengono sulla “natura”, la piegano, la disciplinano e a volte se ne allontanano e, soprattutto, nascono con un’idea comune: la centralità della persona e delle sue potenzialità, che si rinviene sia nel principio giuridico dell’habeas corpus, sia nel confronto tra medicina e libertà individuale.

Non è probabilmente casuale l’attenzione dedicata negli ultimi anni dalla Corte costituzionale al principio del consenso informato, che rappresenta una sintesi della libertà individuale in ambito biomedico. Il consenso informato diventa infatti concetto costituzionalmente fondato, che individua sia un limite al potere degli altri su noi stessi, sia l’assunzione di responsabilità che la maggiore libertà comporta, una libertà che è tanto più ampia quanto gli effetti delle decisioni si esauriscono nella nostra sfera individuale e che va invece soggetta a bilanciamento, quando coinvolge soggetti terzi.

L’autodeterminazione rappresenta, nelle parole di Stefano Rodotà, un punto di riferimento: un potere che è restituito nelle nostre mani anche di fronte all’avanzamento tecnologico, grazie al quale la persona appare nuovamente come soggetto morale.