IL FUTURO DELLA GLOBALIZZAZIONE PER DANI RODRIK

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L'economista docente ad Harvard punta sul giusto equilibrio tra sovranità nazionale e visione economico-politica mondiale
di Elisabetta Nones
Approfondimento: 

Dobbiamo lavorare alla versione 3.0 del capitalismo. Con una metafora presa in prestito dal mondo informatico, Dani Rodrik, docente ad Harvard e considerato uno degli economisti più influenti del mondo, indica l’obiettivo verso cui puntare. Nella sua lezione al sesto Festival dell’Economia di Trento recentemente conclusosi, Rodrik ha tracciato la storia del capitalismo, da Adam Smith, autore della versione 1.0 della teoria, passando per Keynes, teorico della versione 2.0, fino ai giorni nostri. Se secondo le prime concezioni di capitalismo lo stato doveva estraniarsi quasi completamente dalla sfera del mercato, esercitando funzioni minime di tutela dei mercati e della proprietà quali garantire la sicurezza nazionale, amministrare la giustizia e garantire la libera proprietà  – l’odierna accezione liberista del capitalismo ancora molto in auge negli Stati Uniti –, con il passare degli anni questa teoria si è mitigata aprendosi a interventi da parte delle istituzioni nazionali con funzioni di governance attiva dei fattori economici e sociali. Secondo Keynes servivano infatti meccanismi sia economici sia di tutela sociale che dovevano essere garantiti dalle istituzioni democratiche, in pratica serviva uno stato sociale.

Ma illustrare la storia del capitalismo è servito a Rodrik per parlare del vero tema oggetto della sua lezione: il futuro della globalizzazione. A detta di Rodrik non c’è una via ben definita per capire quale sarà il futuro della globalizzazione: sicuramente non potrà essere una governance mondiale modellata sulla globalizzazione economica. Nei Paesi democratici c’è bisogno infatti di una legittimazione dell’economia sul piano istituzionale-politico, cosa che al giorno d’oggi avviene principalmente a livello nazionale. È quindi difficile estendere questo concetto sul piano internazionale prospettando una globalizzazione economica mondiale che prescinda da un’unione politica che la possa legittimare. Ma siamo lontani, soprattutto in Europa, da una vera unione politica sovranazionale perché molte continuano ad essere le specificità, le esigenze e le preferenze nazionali che hanno la preponderanza rispetto ai valori internazionali. I governi nazionali premono per mantenere il diritto di difendere i propri assetti economici e sociali, e non possono imporre ad altri istituzioni e normative che sono di loro pertinenza. È innegabile che per riuscire a governare fenomeni che hanno luogo su scala planetaria è necessario creare forme di coordinamento fra i diversi Paesi. Un giusto equilibrio tra sovranità nazionale e coordinamento internazionale è la soluzione al futuro dell’economia mondiale, in particolare ora che nuovi Paesi non democratici si sono affacciati prepotentemente all’arena economica mondiale, pur volendo mantenere un forte attaccamento alla propria sovranità.I rapporti con questi Paesi saranno quindi necessariamente al centro del dibattito economico mondiale e faranno spostare l’ago della bilancia della globabilizzazione in modo sensibile a seconda delle loro scelte e dei loro indirizzi politico-economici. Al giorno d’oggi stiamo vivendo una spinta verso la “iperglobalizzazione”, termine con il quale Rodrik descrive l'abbandono di ogni norma o regola che disciplini gli scambi fra i paesi, iperglobalizzazione di cui la WTO (Organizzazione mondiale del commercio) e i mercati finanziari sono i principali artefici. Questo è un grosso rischio, soprattutto quando tra i soggetti di questa dinamica si annoverano Paesi che non rispettano regole democratiche per esempio nell’ambito del diritto del lavoro o nel rispetto ambientale. È questa la grande sfida: trovare il giusto equilibrio tra questi fattori tenendo come aspetto fondamentale il rispetto della democrazia e del sano vivere insieme senza tuttavia demonizzare la globalizzazione, che costituisce un importante driver della crescita economica e dalla quale non si può quindi prescindere. Ovviamente fra Stati che si basano su comuni sistemi di valori e comuni meccanismi di legittimazione è positivo che si sviluppino esperienze che puntano al superamento delle barriere nazionali. Ma non sono processi facili o scontati. Rodrik ha posto l’accento sul processo di integrazione europea, che ha definito difficile e sicuramente lungo. E lo dimostra la faticosa gestione della crisi finanziaria di questi anni da parte dell’Europa. Alla base di tutto è necessario definire una logica politica condivisa dai vari soggetti, la versione 3.0 del capitalismo, appunto, con una attenzione particolare a definire sistemi globali di governance quali la regolamentazione globale, gli standard globali, le reti di sicurezza globali, per fare quale esempio. In questo particolare frangente socio-economico questa prospettiva appare alquanto irrealistica perché ripone troppa fiducia nella presenza di “leadership” globale e disponibilità dei paesi a cedere la propria sovranità. Ma è l’indicazione alla base della lezione di Rodrik al Festival dell’Economia di Trento e l’obiettivo verso cui puntare in un futuro non troppo lontano.