La locandina dell'evento

DALL’ALTRA PARTE DEL MONDO

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Un ciclo di documentari a Sociologia per guardare le migrazioni dalle terre di origine
di Francesca Decimo

Chi emigra e chi ritorna, chi aspetta a casa e chi da casa spera di andar via: con il ciclo di documentari “Nelle loro terre” a Sociologia, dal 13 aprile all’11 maggio, si è esplorato l’intreccio di legami, sentimenti e progetti che sta sullo sfondo di ogni migrazione. Le proiezioni - a cura del Centro di Ricerca Scenari Migratori e Mutamenti Sociali (SMMS) del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale e del Centro per la Formazione alla Solidarietà Internazionale della Provincia di Trento - si sono svolte in cinque appuntamenti. Come in un viaggio per immagini e racconti, guidato dal commento di studiosi esperti del settore, sono state ricostruite storie diverse, soggettive e collettive, variamente unite nella complessa mappa delle migrazioni contemporanee.

La rassegna si è aperta con “Merica” (2007), di Ferrone, Manzolini e Ragazzi, documentario che segue le migrazioni di oggi a quelle di ieri, tra Brasile e Italia, ripercorrendo le storie degli italiani che il secolo scorso lì hanno costruito il proprio futuro, e quelle dei loro discendenti che ora qui si proiettano, confrontandosi con tutte le ambivalenze di una cittadinanza acquisita richiamandosi all’italianità degli avi.
Dall’America Latina, con “Podul de flori” (2008) di Ciulei, ci siamo spostati nella frugalità rurale di un piccolo villaggio moldavo, a casa di Costica Arhier, padre prodigo e attento di tre figlie, che accudisce quotidianamente, di stagione in stagione, nell’imponente assenza della moglie e madre, “breadwinner” emigrata, in attesa che un giorno ritorni.

Ma come e quando si “ritorna” davvero? Marisa, in “A working mom” (2006) di Pinhasov e Kaftari, dopo molti anni di lavoro in Israele, finalmente riabbraccia i figli in Bolivia. L’abbiamo seguita nel suo paese di origine, guardare i frutti dei suoi sacrifici e come in presa diretta abbiamo assistito allo schiudersi del disagio, dell’inquietudine di chi torna casa e continua a sentirsi estraneo. Il suo amaro bilancio rivela tutta la fragilità delle “maternità a distanza” che tante donne sperimentano nella femminilizzazione delle migrazioni internazionali
Ma l’estraneità è un sentimento intrinseco all’esperienza migratoria, che assume molteplici aspetti. Nella perdita dell’appartenenza si è addentrato anche “Bab Septa” (2008), di Pinho e Lobo, documentario che ripercorre le storie di chi dall’Africa centrale arriva allo stretto di Gibilterra, tentando invano di approdare alla costa europea. Abbiamo conosciuto così i nuovi homeless della globalizzazione, giovani e meno giovani, le cui esistenze sono come arenate ai margini di Tangeri, vuote, sospese, senza più nulla attendere. E a ritroso abbiamo ricostruito il viaggio che altri come loro intraprendono, attraversando il Sahara e il mare mauritano, coltivando e rivendicando un’aspirazione all’Europa che è insieme insensata e fallace, reale e potente.

Infine, con “Every good marriage begins with tears” (2006) di Chambers abbiamo viaggiato tra India e Inghilterra, seguendo gli anelli migratori di lungo periodo connessi tra luoghi, famiglie e generazioni e, accompagnati dalle donne indiane di uno stesso gruppo parentale, ci siamo addentrati con discrezione in una trama di matrimoni negoziati, combinati, rifiutati, voluti, accedendo così ai loro intensi mondi familiari.
Attraverso immagini, storie di vita e dibattiti, “Nelle loro terre” ha costituito un momento dedicato, un’occasione speciale per guardare insieme ai contesti locali e alle dinamiche globali delle migrazioni contemporanee: ne è emersa una pluralità di vissuti, tale da restituire ampiezza e prospettiva a fenomeni complessi, che la rappresentazione mediatica troppo spesso appiattisce e riduce.