La locandina dell'evento

LO STATUTO DEI LAVORATORI COMPIE QUARANT'ANNI

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I premi di laurea Cgil-Cisl-Uil del Trentino alle migliori tesi sul mondo del lavoro
di Riccardo Salomone

Col conferimento dei premi di laurea Cgil-Cisl-Uil del trentino alle migliori tesi sul mondo del lavoro, si è tenuto presso la Facoltà di giurisprudenza un dialogo dedicato ai quarant’anni dello Statuto dei lavoratori. Grazie ai due protagonisti, Giorgio Benvenuto e Marcello Pedrazzoli, non è stato un pomeriggio di banale amarcord (nostalgiche rievocazioni) della stagione culminata con la legge del 1970; è stata invece un’ottima finestra per discutere in modo agile dei problemi del lavoro e del sindacato nel nostro tempo, con alcuni auspici rivolti al futuro.
Lo Statuto dei lavoratori – che fu senz’altro il provvedimento più significativo dopo la Costituzione della Repubblica – segnò un passaggio decisivo della storia italiana recente. Fu un traguardo e un punto di partenza. A lungo in fabbrica aveva regnato “il bastone”. Già negli anni sessanta, però, la reazione del sindacato fu forte ed ebbe il suo culmine con le lotte dell’autunno caldo. Con l’idea di una legislazione statutaria a tutela dei lavoratori, si alluse così esplicitamente all’ingresso della Costituzione oltre i cancelli delle fabbriche. Vi furono alcuni tentennamenti; ma presto la linea fece breccia sul versante istituzionale. In quegli stessi anni, d’altra parte, si rinforzò l’idea di costruire norme promozionali dell’azione sindacale nei luoghi di lavoro con l’obiettivo di sostenere il dialogo tra gli attori del sistema di relazioni industriali. Vi furono oscillazioni, ma anche qui giunse il supporto della classe politica e fu notevole, in particolare, il ruolo dei due ministri del lavoro del tempo: prima Brodolini e poi Donat-Cattin.

Tra quanti diedero il loro contributo alla progettazione della legge, vale ricordare sempre il ruolo svolto da Gino Giugni e della Commissione di cui fu presidente; una Commissione di cui fecero parte personaggi di notevole calibro, scelti più per i meriti scientifici che per la appartenenza politica. Scontato l’iter parlamentare, la mano di quei giuristi si vede bene ancora oggi. Si è ripetuto spesso che la legge non era un prodotto perfetto di tecnica legislativa. A distanza di quarant’anni, forse, si può dire che lo Statuto fu invece una legge “benfatta”.
Certo, lo Statuto fu adottato sia per tutelare i singoli lavoratori che per sostenere il sindacato maggioritario, quello confederale, con l’obiettivo di lasciare ai margini le pressioni dell’autonomia e del movimento. Il riconoscimento legale contribuì però a mantenere vivo e forte quel sindacato nella notte della Repubblica (“il sindacato è morto”, recitava negli stabilimenti industriali di allora qualche lenzuolo, come ha ricordato Benvenuto) e, anzi, a renderlo pilastro della reazione al terrorismo, di destra e di sinistra.

Se tutto questo non può essere dimenticato, occorre altresì serenamente ammettere che lo Statuto dei lavoratori mostra i segni inesorabili del tempo. Del resto, non è mai stato un codice del lavoro, né una legislazione organica del diritto del lavoro. Si toccavano allora solo alcuni profili del mondo del lavoro, riferiti alle incertezze del mondo di allora. Rispetto alla struttura, alla tecnica normativa e alla sostanza delle norme, il valore della legge n. 300 è stato specialmente l’effettività, la capacità di risolvere problemi concreti: lo Statuto dei lavoratori si appoggiava con forza all’esterno, cioè sul modello sindacale che l’autonomia sociale esprimeva allora spontaneamente.
Per tutto questo si dovrebbe con maggiore semplicità riconoscere che la disciplina statutaria non era allora, né dovrebbe considerarsi oggi, pervasa da aloni mistici o simbolici. I fenomeni economici del nostro tempo mostrano che il mondo è cambiato. Basti riflettere sulle forme del decentramento, sull’esplosione del lavoro autonomo, sui percorsi dell’integrazione europea o sulle prassi dell’economia globale.
Il sistema protettivo del lavoro andrebbe così ripensato e nel complesso ricostruito. Di più - come a ragione ha indicato in conclusione del dialogo Pedrazzoli – servirebbero normative di rango statutario per il “non lavoro”, per il lavoro invisibile e frammentato, per quello che ancora non c’è, per quello che non c’è più. Così, anche per il sindacato è poco utile difendere il passato. Il punto sarebbe invece promuovere nuove scelte di tutela, per ritrovare la capacità di pensare pragmaticamente all’unità, per rinvigorire quelle spinte che lo portarono - con la lunga stagione statutaria - ad assumere importanti responsabilità nel rinnovamento istituzionale del paese.