VALORIZZARE IL MERITO PER “CURARE” L’UNIVERSITÀ

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Una tavola rotonda con docenti di discipline e atenei diversi. Si è discusso di valutazione, competitività e autonomia
di Marinella Daidone

Il sistema universitario italiano da anni sembra non godere di buona salute. Oltre alle campagne talvolta denigratorie svolte dalla stampa, da più parti si sente il bisogno di rifondare le istituzioni universitarie su basi meritocratiche per curarne i “mali” e rilanciare il ruolo degli atenei.

“Università e meritocrazia” è il tema che è stato trattato in una tavola rotonda svolta lo scorso 20 gennaio presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento. Nata da un'idea di Antonio Schizzerotto, prorettore alla ricerca, e Daria de Pretis, docente della Facoltà di Giurisprudenza e moderatrice dell’incontro, l'iniziativa ha visto un confronto a tutto campo con ospiti che a vario titolo si sono occupati di queste tematiche. Sono intervenuti Marino Regini, prorettore dell'Università statale di Milano e autore del libro “Malata e denigrata” (Donzelli, 2009), Giacinto della Cananea, docente della Facoltà di Scienze politiche dell'Università “Federico II” di Napoli e autore del libro “Concorrenza e merito nelle università” (con Claudio Franchini, Giappichelli editore, 2009) e Ugo Trivellato, docente della Facoltà di Scienze statistiche dell'Università di Padova.

A fare gli onori di casa è stato il preside della Facoltà di Giurisprudenza Luca Nogler che ha sottolineato la buona pratica di svolgere una riflessione tra studiosi di discipline diverse. Nogler, inoltre, ha messo l'accento sul concetto di autonomia e sui vincoli da porre all'autonomia che potrebbero mettere in moto meccanismi per riformare il sistema: ad esempio, il pensionamento a 65 anni per i docenti che porterebbe ad un cambio generazionale.

All'incontro è intervenuto il rettore Davide Bassi, che, oltre a portare il saluto dell'ateneo agli ospiti, ha messo in rilievo come i concetti di “valutazione” e “merito” siano parte integrante delle politiche dell'Università di Trento. Bassi ha sottolineato come il concetto di merito manchi nel DNA del sistema universitario italiano e come misurare il merito costi perché è possibile fare errori, ma, al tempo stesso, ha messo in rilievo l'importanza di applicare metodi di valutazione agganciati a incentivi e sanzioni. Secondo Bassi rinunciare al compito di valutare vuol dire rinunciare a dare un futuro ai giovani per appiattirsi nel mare dell'inefficienza e del declino; sebbene, secondo Bassi, non ci sia una misura univoca del merito, ci sono comunque dei metodi acquisiti a livello internazionale che possono essere applicati. In questa direzione va l'impegno dell'Università di Trento.

Secondo Marino Regini, che preferisce parlare di valorizzazione del merito, piuttosto che di meritocrazia, il dibattito italiano su questi temi ha peccato di provincialismo. L'analisi di Regini è partita da una riflessione sui cambiamenti che si sono verificati nei sistemi di istruzione europei negli ultimi trent'anni: il passaggio da sistemi di istruzione di élite a sistemi di istruzione di massa; l'avvento dell'economia della conoscenza ossia la richiesta di professionalità di livello sempre più alto per mantenere competitività economica; il processo di Bologna di armonizzazione dei sistemi di istruzione superiore. Per far fronte a questi cambiamenti i governi si sono ispirati al new public management applicato nel modello inglese seguendo alcuni principi: più trasparenza e controllo, apertura alla domanda sociale con l'introduzione di elementi di competizione e di mercato, maggiore autonomia ma al tempo stesso misurazione delle performance e quindi valutazione. Per Regini la risposta italiana, di governi di ogni colore, non è stata all'altezza del compito e si è limitata alla concessione di una relativa autonomia senza applicare il principio di responsabilità e questo ha portato a gravi vizi del sistema. La “cura” che egli individua per sanare il sistema, consiste quindi nella valutazione che va fatta in modo serio e articolato, valutando a partire dalla funzione svolta dal singolo ateneo: in questa direzione è allo studio un sistema di valutazione delle università europee a seguito di un bando comunitario. Non meno importanti sono la valorizzazione del merito, da attuare con incentivi invece che con sanzioni, e, non ultimo, l'importanza di tornare a dare valore alla reputazione della comunità scientifica.

La riflessione di Giacinto della Cananea ha dato particolare rilievo al tema della competizione. Egli è partito dalla constatazione che non ci si può sottrarre alla competizione che già esiste a livello europeo e internazionale come dimostra il flusso verso l'esterno dei nostri migliori studenti; secondo della Cananea, la competizione può far bene al sistema ma occorre trovare delle regole perché si svolga in modo corretto. Infatti, secondo lo studioso, il problema in Italia sono i fattori distorsivi che, oltre ad impedire una corretta competizione, mettono in discussione lo stesso principio costituzionale di equità che afferma l'accesso ai gradi di istruzione superiore per gli “studenti capaci e meritevoli anche se privi di mezzi”. Per della Cananea se l'Italia vuole mettersi alla pari di altri Paesi europei occorre puntare su istituti concreti che permettano di raggiungere almeno condizioni minime di equità e di efficienza, tra cui un sistema di accreditamento nazionale degli atenei che potrebbe costituire un elemento di innovazione del sistema. Egli auspica, inoltre, finanziamenti aggiuntivi per la ricerca agganciati alla valutazione, che non deve essere di tipo sanzionatorio, un sistema di borse di studio e un'informazione più trasparente verso le famiglie e i futuri studenti svolta da istituti preposti a svolgere questa funzione.

Ugo Trivellato ha dato spazio nel suo intervento alla comparazione tra il sistema universitario italiano e quello statunitense. Egli ha sottolineato come il passaggio all'università di massa abbia portato a un cambiamento quantitativo ma anche qualitativo (dalla uni-versità alla multi-versità). L'università ha molte funzioni tra cui quella di formare se stessa e la classe dirigente. Negli Stati Uniti accanto alle research universities troviamo le teaching universities e i community colleges. In Italia questa differenziazione non c'è stata, c'è stata invece una proliferazione di atenei e di sedi distaccate di livello estremamente diverso, quello che Trivellato definisce una situazione a macchia di leopardo. Tra i mali dell'università italiana che lo studioso mette in evidenza vi sono: il proliferare della classe docente e l'incapacità di trovare modi ragionevoli per selezionare, i finanziamenti a pioggia, la fuga dei cervelli legata alla mancanza di incentivi e di prospettive per i giovani ricercatori. Secondo Trivellato il degrado è molto forte e il Paese non aiuta il sistema università. Cosa fare dunque? Egli ritiene che sia cruciale mettere in primo piano reputazione e standard deontologici come base su cui costruire un sistema di università in cui ciascun ateneo dichiari la propria missione (che non includa necessariamente la ricerca) e che vi sia un sistema di pesi e contrappesi dove alla valutazione e all'autonomia corrisponda la responsabilità.

Oltre a merito e valutazione, è stata la responsabilità il filo conduttore dei diversi interventi che, pur con analisi differenti, hanno evidenziato che è necessario prendersi la responsabilità di cambiare.