ETNICITÀ: UNA NUOVA OPPORTUNITÀ PER I DIRITTI UMANI

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Conversazione con Yash Ghai, professore emerito di Diritto costituzionale dell’Università di Hong Kong. A Trento per la lezione inaugurale alla Scuola di studi internazionali
di Luisa Antoniolli*

Lo scorso 19 novembre il professor Yash Ghai è stato ospite della Scuola di studi internazionali dell'Università di Trento dove ha tenuto la lezione inaugurale dell'anno accademico 2009-2010. In quell'occasione abbiamo parlato del tema della sua lezione “Diritti umani e identità etnica (Human Rights and Ethnic Identity)”.

Professor Ghai, qual è la rilevanza storica del movimento dei diritti umani e qual è il suo ruolo oggi?

Se il primo quarto del secolo, dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha visto la crescita dell’ideologia dei diritti umani orientati all’individuo, nell’ultimo quarto di secolo c’è stata una grande sfida, nel nome della comunità, a questo approccio. Se nel primo periodo l’autodeterminazione era il fondamento per la sovranità dello Stato, nel secondo periodo essa è stata utilizzata per mettere in discussione quella stessa sovranità. Ciò è accaduto con l’affermazione dell’etnicità. L’etnicità non ha ancora distrutto il primo modo di intendere i diritti umani (anzi, vive di quello) ma ha posto una sfida più grande di quanto gli autocrati non abbiano mai fatto, precisamente perché presenta la sfida con il linguaggio dei diritti umani. Il modo in cui la comunità occidentale, sotto l’egemonia dei Bush, ha scelto di combattere quella sfida ha eroso la legittimazione dei diritti più di quanto l’abbia mai fatto qualsiasi movimento terrorista. Quindi la sfida dell’etnicità ai diritti umani non è scevra di ambiguità.

Che tipo di relazione esiste tra diritti umani e protezione dei gruppi etnici?

Principio essenziale del nuovo ordine mondiale, stabilito dopo la seconda guerra mondiale, è il primato dei diritti umani come diritti individuali. Se consideriamo che la spinta per l’inclusione dei diritti umani nella Carta e nel mandato delle Nazioni Unite fu motivata dalle atrocità naziste dirette a specifiche minoranze e gruppi etnici durante l’Olocausto, è sorprendente che la Carta e la Dichiarazione Universale non si siano occupate della questione dei diritti dei gruppi. Questa mancanza di considerazione dei diritti dei gruppi è tanto più sorprendente poiché la dichiarazione di pace è stata l’unico documento di risoluzione dei grandi conflitti mondiali a non trattare, in qualche modo, della protezione dei gruppi, anche se in passato sono stati imposti degli obblighi solamente agli Stati vinti o a quelli sorti in base al Trattato.

In che modo la rivendicazione dell’autodeterminazione dei gruppi interferisce con la relazione tra diritti umani e protezione dei gruppi etnici?

Le implicazioni di un altro importante principio delle Nazioni Unite, quello dell’autodeterminazione dei popoli, non sono state adeguatamente comprese e sono state considerate essenzialmente come una Carta per la decolonizzazione. Altre formulazioni del concetto di autodeterminazione, nei documenti delle Nazioni Unite, sono rimaste ambigue sulla sua importanza e sul suo scopo. Al tempo, essa ebbe un effetto davvero insignificante per la comprensione o la struttura dei diritti. Con la fine del colonialismo, non si è dedicata molta più attenzione (anche se essa si trova inserita in modo rilevante nei due Patti).

Ma non è più così. L’autodeterminazione, presentata spesso, per lo meno nella teoria politica, come il fondamento di un regime di diritti, è ora lo slogan di separatisti e autonomisti, di difensori delle culture di comunità tradizionali. Un tempo simbolo di autorità per la sovranità dello Stato, viene ora sfruttata per sfidare quella sovranità in nome della comunità religiosa, linguistica o culturale, la fonte dei diritti dei gruppi. Ma essa poggia sulle stesse vecchie teorie della nazione-Stato che sono ritenute il fondamento della nascita dei diritti umani.

Come è possibile conciliare i diritti umani, intesi come diritti universali, con situazioni caratterizzate da condizioni economiche, sociali e culturali molto diverse?

Il modo in cui si risolverà quella sfida determinerà in larga misura la sopravvivenza e lo sviluppo dei diritti umani. Oggi tendiamo a vedere l’etnicità come una forza negativa e attribuiamo alla sua crescita fenomeni quali intolleranza, scomparsa, migrazione forzata, sfruttamento di donne e bambini, attacchi suicidi, massacri etc. Ma l’etnicità è anche emancipazione; è una base per resistere alle oppressioni; è una fonte primaria di identità, orgoglio e solidarietà. A causa di questa caratteristica da Giano bifronte è difficile trovare soluzioni adeguate.

La comunità internazionale è stata costretta a riconoscere e favorire il concetto di etnicità; è intervenuta con la forza in numerosi conflitti armati interstatali e ha imposto soluzioni politiche agli Stati coinvolti. Si è preoccupata di stabilire norme e istituzioni per la gestione delle relazioni interetniche, specialmente sotto l’influente spinta della teoria della “consociazione” di Arend Lijphart, basata sulla predominanza della comunità rispetto all’individuo.

Quali sono i modi in cui entrano in conflitto i diritti umani e le rivendicazioni basate sull'etnicità?

Queste sono alcune delle situazioni di conflitto tra diritti umani e asserzioni di etnicità.

a. I diritti umani aspirano ad essere neutri di fronte al colore della pelle, al di sopra delle affiliazioni religiose o di altra natura; l’etnicità rende queste affiliazioni fondamentali per l’esistenza umana.
b. I diritti umani mettono al centro l’individuo; l’etnicità il gruppo.
c. I diritti umani definiscono la struttura delle relazioni dei cittadini tra di loro e dei cittadini con lo Stato; l’etnicità pone l’attenzione sulla gestione di relazioni interetniche e delle relazioni del gruppo nei confronti dello Stato.
d. I diritti umani mirano ad essere inclusivi; l’etnicità è esclusiva, ma quell’esclusività potrebbe ampliarsi da un altro punto di vista – per esempio la comunità islamica con affinità nel mondo arabo, l’Indonesia, il Pakistan etc. (questo “senso cordiale” di solidarietà in tutto il mondo, che trascende i confini nazionali, è quello che attrae del concetto di etnicità, la nozione di umma).
e. L’etnicità ha creato problemi ai diritti umani in modo molto diverso rispetto al nazionalismo, soprattutto perché il nazionalismo non ha cercato di adattare i diritti all'interno di uno Stato esistente, ma solo all'interno del “proprio” stato; l’etnicità cerca invece di adattare i diritti all’interno di uno Stato esistente. Ossia rende interni allo Stato problemi che diversamente si frammenterebbero, portando alla formazione di un nuovo Stato; presenta i problemi del relativismo culturale non come una preoccupazione di società lontane, ma come fondamento per la reale definizione e per l'esistenza dello Stato stesso e della coesistenza di gruppi che sono incompatibili nella teoria del nazionalismo. In altre parole, il conflitto tra diritti umani e relativismo culturale non può essere trattato semplicemente come un discorso filosofico o politico, ma come un conflitto che deve essere risolto concretamente se si vuole raggiungere un certo grado di ordine, stabilità e rispetto reciproco.
f. L’etnicità attenua la consapevolezza dei diritti; mentre i diritti umani cercano di riportare i gruppi ad una unità più ampia, enfatizzando la nostra umanità comune, l’etnicità crea frammentazione. La violazione dei diritti dei membri di altri gruppi non suscita particolare inquietudine, ma al contrario dà una certa gratificazione, in quanto elemento per la propria prosperità (per esempio, la Malesia non aveva mai criticato l’indifferenza di Matahir nei confronti dei diritti umani fino alla questione Anwar, quando i diritti umani divennero una questione interna in Malesia; numerosi indigeni delle Fiji accettano tranquillamente la negazione dei diritti degli indo-figiani; e cosa dire dell’attuale fanatismo settario in Iraq?).
g. Questione ancora più seria è la sospensione dei diritti che accompagnano i conflitti etnici: libertà di parola, giusto processo, habeas corpus, diritti di libertà e di movimento della persona, sicurezza personale o di gruppo, che portano alla militarizzazione dello Stato e della società.
h. Quando l’etnicità viene tradotta nel linguaggio dei diritti, prende la forma dei diritti di gruppo che spesso minano i principi fondamentali dei diritti umani, come l’uguaglianza, l’autonomia e il giusto processo, sia per gli esterni che per i membri del gruppo.

Si possono superare questi conflitti?

 Credo che i ‘valori’ dei diritti umani abbiano la capacità di risolvere molte di queste differenze e di questi dilemmi. La nostra comprensione dei diritti umani è già stata arricchita sotto la pressione delle rivendicazioni etniche, come nel caso dei concetti di uguaglianza, dignità umana, rilevanza della giustizia sociale. I diritti umani hanno ancora il potenziale di mediare, in modo conforme ai principi, i conflitti tra le comunità e tra lo Stato e le comunità, come dimostrano i casi di India, Sud Africa, Canada e Fiji.

 

*Traduzione di Elisabetta Nones

 

[Nella sezione "Approfondimenti" è disponibile il testo in lingua originale inglese]