Ain Meliti (Tunisia), chiesa bizantina a pianta centrale

L'ANTICO PAESAGGIO RURALE NORDAFRICANO RICOSTRUITO

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Ricerche archeologiche in Tunisia e Algeria in zone ricche di reperti dal periodo preistorico dei berberi numidi all’epoca romana e bizantina. In preparazione una carta archeologica digitale
di Mariette de Vos Raaijmakers e Redha Attoui

Da sedici anni la Cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana e il Laboratorio di Archeologia e Scienze affini (www.lasa.unitn.it ) dell’Università di Trento conducono ricerche archeologiche sistematiche nel Nordafrica. Ricerche che, dal 1994 sono state condotte nell’Alto Tell tunisino, in collaborazione con l’Institut National du Patrimoine di Tunisi, intorno alle città di Dougga, Agbia, Teboursouk e Maatria, e a partire dal 2003 nella zona nord-orientale dell’Algeria in collaborazione con l’ex-Agence du Patrimoine Archéologique, ora Centre de Recherche en Archéologie del Ministère de la Culture algerino. La partecipazione italiana al progetto e l’acquisto di strumenti tecnologici vengono finanziati grazie a un progetto FIRB (RBNE03TZ2H-001) e a cofinanziamenti annuali del Ministero degli Affari Esteri italiano e dell’Università di Trento. Il progetto beneficia inoltre dell’assistenza continua degli Istituti Italiani di Cultura di Tunisi e di Algeri.

Il paesaggio delle zone interessate è intatto perché off limits nel periodo coloniale francese e conserva perciò numerosissimi resti dei vari periodi di frequentazione umana, dal paleolitico inferiore all’epoca bizantina. L’obiettivo della ricerca che ha coinvolto numerosi dottorati, dottorandi e studenti dell’Università di Trento e dei paesi ospitanti, guidati dai docenti autori del presente articolo, è la creazione di una carta archeologica digitale interattiva che comprenda rilievi, ricostruzioni tridimensionali e documentazione ulteriore dei monumenti antichi nel loro contesto paesistico. Le ricerche basate sui dati raccolti sul campo sono state sviluppate in tesi di dottorato e di laurea elaborate nel Laboratorio di Archeologia e Scienze affini. Ad ampliare il carattere interdisciplinare della ricerca contribuiscono i colleghi dell’Università di Trento Elvira Migliario e Anselmo Baroni (Storia antica), Diego Angelucci (Geoarcheologia), Stefano Grimaldi (Antropologia), Farid Melgani (remote sensing), Aronne Armanini (Idraulica), Stefano Gialanella, Flavio Deflorian (Ingegneria Materiali) e Paola Fermo dell’Università di Milano (Chimica inorganica). La corresponsabile della inventariazione e documentazione sul campo è Martina Andreoli che insegna disegno dei reperti all’Università di Trento.

Per proteggere il patrimonio naturale in Algeria è stato creato il Parco Nazionale di El Kala. Per la presenza di quattro laghi nella zona costiera caratterizzata da specie botaniche e faunistiche rare la regione è iscritta nell’elenco Ramsar. La ricchezza archeologica della zona, che si trova in posizione geopolitica marginale, era poco nota; ora sappiamo che ogni km2 comprende come minimo un sito antico e strumenti litici preistorici dei quali sono stati individuati due centri di produzione. Durante una gornata di studi organizzata il lo scorso gennaio ad Algeri e un convegno sull’archeologia dell’Est algerino tenutosi dal 27 al 29 aprile a Tebessa, i risultati della ricerca sono stati illustrati alla stampa e al pubblico.

Fin dai tempi preistorici questa zona era abitata dai Berberi numidi, che hanno interagito intensamente con tutti i frequentatori e/o invasori senza perdere la loro identità, fino al giorno d’oggi. In epoca romana e tardoantica costruivano per esempio fattorie singole o raggruppate in vicinanza delle numerose sorgenti applicando le solide tecniche costruttive romane, mantenendo i propri svariati riti funerari nei luoghi di sepoltura al margine dell’abitato. Le relative iscrizioni funerarie sono o in numidico notato in caratteri libici o in latino, se non usano tutte e due le lingue e sistemi di scrittura. Queste ultime sono solo in parte bilingui, in quanto riportano un nome numidico in scrittura libico con uno spelling consonantico che corrisponde solo raramente al nome latino o latinizzato. Delle iscrizioni libiche si capiscono soltanto i nomi. Nella stele di Mersia, deceduta a 115 anni e figlia di Fusco, si può notare che nel testo libico, le cui colonne sono da leggere da sottinsù, il nome Mersia compare come MRS, quello di Fusco no. Le iscrizioni libiche vengono studiate e pubblicate da un secolo e mezzo, ma nessuno studio ha preso in considerazione la loro collocazione topografica e/o il rapporto con l’abitato, dato che le realtà rurali antiche generalmente non risultano documentate. Spesso le iscrizioni sono personalizzate ulteriormente dal ‘ritratto’ del defunto nell’atto di sacrificare davanti alla facciata di un tempio dedicato a Saturno, il nome romano dato al Baal Hammon fenicio-punico, venerata dai numidi in città e campagna. Le interazioni culturali sono molto complesse.

L’abitato comprende 4 fattorie, ognuna provvista di una pressa fatta di elementi monolitici, destinata alla produzione olearia e, in misura minore, vinaria. Vino e olio potevano essere prodotti per la vendita sul mercato locale, regionale o per l’esportazione oltremare, visto il surplus che doveva esserci per la fitta rete di torchi: nelle 214 fattorie scoperte e rilevate in una superficie esplorata di 160 km2, sono presenti 410 torchi composti di 1029 singoli elementi monolitici. Le attività agricole erano intensive, per sfruttare le potenzialità del suolo al massimo: i contadini hanno costruito fattorie solide attrezzate con presse e molae di monoliti dell’arenaria che affiora ovunque. I monoliti usati nei muri delle fattorie e nei torchi si distruggono difficilmente, uno dei motivi principali della ricchezza archeologica nordafricana. I torchi si ricavavano anche dalla roccia viva o da grandi massi erratici, quali i sarcofaghi e le urne cinerarie spesso disposte in serie. 40 torchi rupestri rinvenuti in Algeria sono oggetto di analisi nella tesi di laurea di Alessandro Battisti con una proposta di ricostruzione delle parti in legno (oggi scomparse) e la presentazione 3D della villa di Ksar Fatma conservata fino a un’altezza di 7,50m. La villa conserva un torcularium, il piano nobile dalle finestre ad arco, terme con il relativo acquedotto lungo 700m nutrito da due sorgenti situate a 70m sopra la villa.

La ricerca in Tunisia si inquadra nel progetto nazionale che prevede la pubblicazione on line della Carta archeologica della Tunisia, diretto da Mustafa Khanoussi. L’Università di Trento sta completando il survey dei margini del Foglio 33 (600 km2) di Teboursouk; la parte centrale di questo foglio era già stata mappata negli anni Novanta. La grande sorpresa è la dinamicità mostrata dalla regione, situata a 100 km dal mare, in epoca vandala e bizantina: la produttività della zona si intensifica su scala regionale e interregionale, come si è potuto stabilire in due tesi di dottorato su ceramica (Silvia Polla) e anfore (Barbara Maurina). Anche in questa zona dell’entroterra tunisino gli edifici sono conservati fino al tetto come alcune chiese, anche a pianta centrale, fattorie, mausolei o templi; archi, l’acquedotto di Dougga è conservato al completo con 7 ponti e 130 pozzi d’ispezione. Le macine asinarie e manuali per i cereali furono in parte minore importate da Mulargia (Molinaria) vicino a Macomer, Sardegna; la parte maggiore è in conglomerato locale. Un’impastatrice per il consumo di pane commercializzato si trova lungo l’importante arteria Cartagine-Theveste. La triade mediterranea olio, vino e grano era prodotta in policoltura intensamente in piccole aziende distribuite regolarmente sul territorio fino al Medioevo.