MICHAEL KRÜGER: RECUPERARE IL LEGAME CON LE ORIGINI E CON IL LIBRO DELLA NATURA

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Il poeta, narratore, saggista e traduttore tedesco alla Facoltà di Lettere e Filosofia nell’ambito del Seminario internazionale sul romanzo
di Fabrizio Cambi

Nell’ambito del seminario internazionale sul romanzo, coordinato dal professor Massimo Rizzante, il 21 aprile scorso è intervenuto alla Facoltà di Lettere e Filosofia Michael Krüger, da molti anni una delle voci più autorevoli e originali sulla scena culturale tedesca. Direttore dal 1986 della prestigiosa casa editrice Carl Hanser di Monaco, fra i cui autori vanta Italo Calvino, Philip Roth, Umberto Eco, Salman Rushdie e di recente anche Roberto Saviano e Barack Obama, Krüger è poeta, narratore, saggista e traduttore. Nato nel 1943 a Wittgendorf in Sassonia, è cresciuto a Berlino e ha stabilito un rapporto precoce e concreto col libro avendo studiato editoria e fatto il libraio a Londra dal 1962 al 1965. Editore e coeditore di numerose riviste, “Die Diagonale” (1966-1969), “Tintenfisch” (con Klaus Wagenbach) dal 1968, “Akzente” dal 1976 con Hans Bender e dal 1981 da solo, “Jahrbuch der Lyrik” con Christoph Buchwald dal 2003, Krüger esordisce come lirico nel 1976 con la silloge Reginapoly, cui fino a oggi sono seguite 17 raccolte, e come romanziere nel 1991 con Der Mann im Turm. Krüger rappresenta una felice quanto rara anomalia nel mondo della cultura: intellettuale raffinato, scrittore assai prolifico, imprenditore di punta, tratta da sempre il libro come manufatto, ne decide la pubblicazione, incidendo in modo rilevante sul mercato editoriale nazionale e internazionale e sul successo possibile di un autore, e ‘produce’ lui stesso libri pubblicandoli di solito presso Suhrkamp, casa editrice per così dire concorrente alla sua.

La doppia anima di Krüger, che da decenni si muove sulla scena letteraria registrandola e recensendola anche in presa diretta nei feuilletons di importanti testate, si rivela in realtà meno scissa e conflittuale perché un motivo ricorrente nella sua narrativa è proprio la tematizzazione della scrittura o meglio del ruolo e dell’habitus dello scrittore vittima delle dinamiche delle istituzioni culturali e dell’industria editoriale. Lo conferma il suo ultimo romanzo Die Turiner Komödie. Bericht eines Nachlaßverwalters (La commedia torinese. Vicende di un’eredità letteraria, Einaudi 2007), al centro della lettura e della partecipata discussione durante l’incontro trentino. La vicenda è a prima vista di corto raggio. Il rettore dell’Università di Torino affida l’incarico di curare il lascito letterario di Rudolf, insigne germanista tedesco e notissimo scrittore, morto suicida, a M., il suo migliore amico e compagno di tante battaglie, anche quelle sessantottine, che assume la parte del narratore. L’esame minuzioso di carte e carteggi gli apre scenari insospettati che delineano del grande artista un profilo fatto di ambiguità e di intrighi, ma soprattutto smascherano il carattere plagiario dei suoi libri, collage di citazioni da opere altrui e l’inesistenza del tanto sbandierato opus magnum. La parodia del mondo della letteratura, calata in una Torino inquietante e segnata per lo spirito tedesco dai percorsi della follia di Nietzsche, è dettata dalla visione pessimistica e provocatoria di Krüger, animatore e promoter culturale, e forse proprio per questo fustigatore della decadenza delle arti e dell’imbarbarimento della sensibilità estetico-esistenziale nell’inautenticità del villaggio confusamente globalizzato. Paradossale può quindi apparire la lezione di antipoetica enunciata nel romanzo. “Rudolf sosteneva che in fondo la sua scrittura non era altro che il tentativo di affrancarsi dall’illusione di essere uno scrittore. (…) Gli scrittori che non scrivono più sono di solito letterariamente migliori di quelli che, per non manifestare in pubblico la loro malattia, continuano sempre a scrivere. (…) Sia come sia, esiste l’inguaribile malattia dello scrivere, alla quale solo la morte (volontaria o naturale) pone termine”.

Già nella novella dal titolo emblematico La fine del romanzo (1990) lo scrittore, dopo aver fatto morire il protagonista, distrugge una dopo l’altra le ottocento pagine del suo manoscritto. Se il mercato editoriale contamina il mondo della scrittura, e la prosa, secondo le parole di Paul Valéry, corre verso una meta mentre il verso la elude, Krüger affida proprio alla lirica la funzione di antidoto alle degenerazioni della contemporaneità nel tentativo di recuperare il legame con le origini e con il libro della natura. Col programma-appello “Il mio scopo è quello di mostrare agli uomini che un giorno senza leggere una poesia è un giorno perso”, ripetuto in più occasioni, Krüger richiama la necessità di riacquisire una dimensione autentica con la realtà della natura e dell’uomo. Di fronte al frastornante e inquinante assedio dell’immagine la poesia di Krüger invita all’ascolto e all’incontro che richiedono il recupero di una lentezza e di una saggezza di vita. Il passo attardato dell’io lirico nel suo nomadismo, in Italia come in Arabia, in Nordamerica o nella Germania del presente e del passato a contatto con altri scrittori o con gente anonima, raccogliendo echi e legami profondi con le origini del fare poesia, si rivela sfasato rispetto al tempo attuale che lo supera, lo inghiotte e lo condanna all’oblio come nei versi di Necrologio per un poeta: “Si levò davanti ai nostri occhi / dal suo letto di morte per mettere / una virgola, poi si addormentò. / La sua opera oggi è dimenticata”. In realtà, come ha scritto Claudio Magris, quelli di Krüger sono “fulminei versi che screziano la realtà – e – s’incidono indelebili nella mente e nel cuore di chi legge”.

Di fronte agli studenti italiani Krüger ha ripetuto le forti critiche rivolte anche al sistema universitario tedesco e periodicamente agli stagisti della sua casa editrice sul sapere parcellizzato e mutilato, in linea con quanto di recente ha affermato in un’intervista a “Die Zeit” indicando alcune basilari regole di vita e di apprendimento: “A scuola un’ora alla settimana si dovrebbe insegnare come si tace. In un’altra ora a saper stare da soli. È veramente singolare come tutti vogliano stare sempre insieme. Amo l’immagine della ragazza che seduta sotto un albero è sprofondata nella lettura di un libro mentre mi prende il panico quando vedo un giovane con gli occhi di ghiaccio giocare al computer”. Della vena scettica e provocatoria di Krüger raccogliamo la genuina vitalità del suo messaggio.