DARWIN YEAR 2009. SCHIAVISMO E RAZZE UMANE

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Uno dei contributi dell’ateneo alle celebrazioni per i 200 anni dalla nascita di Charles Darwin e i 150 dalla pubblicazione de “L’origine delle specie”
di Renato Mazzolini

Nell’ambito dell’iniziativa “Darwin Year 2009. Bicentenario della nascita di Charles Darwin”, promossa dal Museo tridentino di Scienze naturali di Trento, Renato Mazzolini, docente di Storia della scienza e delle tecniche dell’Università di Trento, ha tenuto lo scorso 30 aprile una conferenza dal titolo “Darwin: schiavismo e razze umane”. Ne riportiamo di seguito un estratto (il testo integrale dell’intervento con tutte le note è disponibile nel box di approfondimento).

Premessa
Oggi assistiamo a due processi contemporanei: la mitizzazione di Charles Darwin e la sua criminalizzazione. […] Partirò da uno di essi per esporre una ipotesi relativa all’opera di Darwin, alla sua genesi e al suo sviluppo che non mi pare presente nella storiografia.
Se si digita sul motore di ricerca di Google “Darwin and race” si scoprono diversi siti in cui si dichiara che Darwin è stato un razzista estrapolando dalle migliaia di pagine delle sue opere a stampa, dei suoi diari, note, lettere e marginalia alcune citazioni che dovrebbero avallare questo giudizio. […] Grandi studiosi di Darwin, penso ad esempio a Patrick Tort, il direttore editoriale del monumentale Dictionnaire du darwinisme et de l’évolution, hanno mostrato come questa tesi sia storicamente insostenibile[1] . […] Vi è un punto che, a mio avviso, gli stessi specialisti di Darwin hanno sottovalutato e trascurato nelle loro ricostruzioni della genesi e svolgimento dell’opera darwiniana ed è la rilevanza che per lui ebbe il nesso tra schiavismo e razze umane. (…)

Una eredità morale
Darwin nacque due anni dopo che il Parlamento inglese ebbe decretato nel 1807 l’illegalità della tratta degli schiavi sub-sahariani. Si trattava di un risultato straordinario ottenuto da un movimento d’opinione pubblica come mai prima si era visto. […]
Il movimento abolizionista non intendeva dichiarare fuori legge solo la tratta, ma la stessa istituzione della schiavitù nelle colonie inglesi. Senonché, dopo le prime sconfitte subite in parlamento, i due principali esponenti del movimento, William Wilberforce (1759-1833) e Thomas Clarkson (1760-1846), decisero di procedere gradualmente e cioè di ottenere prima l’abolizione della tratta e, successivamente, quella della stessa schiavitù[2] Questo secondo passo decisivo fu compiuto solo nel 1833 […]. Ma per tutto il periodo, cioè dal 1807 al 1833, la questione della schiavitù rimase un argomento del giorno che coincise con la gioventù di Darwin.
Sia il nonno paterno di Charles, cioè il filosofo naturale e poeta Erasmus Darwin (1731-1802), sia il nonno materno, l’industriale delle ceramiche Josiah Wedgwood (1730-1795), oltre a essere amici personali e membri della Lunar Society di Birmingham (grande promotrice della rivoluzione industriale e tecnologica)[3] , furono due dei maggiori rappresentanti della prima fase del movimento abolizionista. […]
[…]
L’antischiavismo di Erasmus Darwin e di Josiah Wedgwood costituì un lascito morale per le loro famiglie. Esso si è incarnato in Charles che - come è noto - era figlio del medico Robert e di Susannah Wedgwood, il cui fratello, lo zio Josiah Wedgwood II, sarebbe divenuto anche suo suocero, avendo Charles sposato nel 1839 la cugina Emma Wedgwood. È noto come lo zio sia stato un amico personale e costante finanziatore delle campagne di Clarkson, così come lo furono altri membri della famiglia. Non vi è dubbio che il giovane Darwin abbia ereditato dall’ambiente familiare la convinzione che lo schiavo nero era un uomo e un fratello: un lascito morale che, nella mia interpretazione, pervade l’opera scientifica successiva del naturalista inglese. […]

Gli anni di Edimburgo (1825-1827)
Seguendo la traccia dell’Autobiografia scritta da Darwin, i suoi biografi hanno generalmente dato scarso rilievo ai due anni da lui trascorsi presso l’Università di Edimburgo, tra il 1825 e il 1827, ove si recò per studiare medicina, una disciplina da lui poi abbandonata. Darwin era ancora giovanissimo. […] Gli studiosi che vi operarono prima e all’epoca in cui Darwin vi fu studente hanno avuto una notevole rilevanza sia sulla sua formazione, sia per i suoi successivi studi antropologici[4] . . Basti pensare, ad esempio, come la nozione di simpatia – l’istinto o impulso che consente all’uomo, in quanto animale sociale, di difendere e aiutare i suoi simili e pertanto di rafforzare il gruppo di appartenenza -, che è centrale nell’antropologia di Darwin, affondi le sue radici nel pensiero di David Hume e Adam Smith (che egli cita) e di altri studiosi scozzesi del Settecento [5] […].
Edimburgo è stato il principale centro di diffusione di diverse correnti del pensiero antropologico britannico e nord-americano. Nel 1788 Samuel Stanhope Smith (1750-18199 vi ha pubblicato An Essay on the Causes of the Variety of Complexion and Figure in the Human Species, James Cowles Prichard (1786-1848) vi si è laureato nel 1808 con la Disputatio inauguralis de generis humani varietate e Samuel George Morton (1799-1851) nel 1823 con la tesi De corporis dolore e, nello stesso anno, Thomas Hodgkin (1798-1866) con una tesi di argomento strettamente medico. […] Nella copia in suo possesso dell’opera di Prichard in cinque volumi Researches into thePhysical History of Mankind Darwin scrisse: “How like my Book all this will be”, intendendo per “my Book” On the Origin of Species[ 6] . Si tratta di un indizio importante, poiché non è solo una dichiarazione di adesione, ma anche che la finalità della sua opera era simile a quella di Prichard: dimostrare la comune discendenza di tutte le razze umane. Un compito - come sappiamo - che richiese “one long argument”[7] : una argomentazione di tutta una vita.

[…]

La schiavitù
L’odio viscerale da parte di Darwin per la pratica della schiavitù e per il connesso esercizio di crudeltà fisiche e morali è un fatto ben noto alla storiografia. Meritano qui, tuttavia, di venire ricordati almeno alcuni episodi per mostrare come tale sentimento abbia costituito una costante della sua vita e quindi una disposizione morale determinante nella lenta argomentazione delle sue opere.
[…] un passo in cui Darwin elenca le possibili cause della decadenza dell’antica civiltà greca. Tra queste include “the practice of slavery”[8] . Il cenno è significativo poiché chiarisce – a mio modo di vedere – un’ulteriore ragione dell’antischiavismo darwiniano soprattutto in riferimento al mondo anglosassone: la schiavitù è un crimine e una delle possibili cause di decadenza di una civiltà, anche di quella anglosassone.

Contro l’antropologia fisica americana (1850-1859)
Con l’abolizione della schiavitù nelle colonie francesi nel 1848 si verifica una coincidenza temporale apparentemente inspiegabile negli studi di antropologia fisica. Infatti, alla prevalenza dei monogenisti sui poligenisti che caratterizza la prima metà dell’Ottocento, quando in tutta Europa era vivissimo il movimento abolizionista, segue - a partire dal 1848 - una fase che può essere descritta come quella delle teorie razziali e razziste scientifiche, in cui la parola d’ordine era “ineguaglianza”: liberi sì, o forse sì, ma ineguali. […] Darwin seguì attentamente gli scritti antropologici provenienti dagli Stati Uniti, di cui comprendeva bene le implicazioni politiche, informandosi inoltre delle posizioni assunte da Agassiz, professore di zoologia all’Università di Harvard […]. Egli lesse Types of Mankind e, sul margine di un saggio di Agassiz lì contenuto scrisse, ad esempio, “what forced reasoning!”[9] . Gli studiosi americani sostenevano multipli centri di creazione d’uomini, animali e piante, essendo tutti creati per un determinato habitat.
[…]
L’uomo, com’è noto, non fu oggetto d’indagine in On the Origin of Species. Infatti, lì si trattava di stabilire una teoria di validità generale applicabile quindi a tutto il mondo organico. Ma, nelle pagine conclusive era inserita la frase programmatica “Light will be thrown on the origin of man and his history”[10] .

Il riconoscimento a William Charles Wells (1866)
[…] Né Darwin, né Alfred Russel Wallace (1823-1913) sono stati i primi a proporre la teoria della selezione naturale. Colui che per primo l’ha enunciata è stato il medico William Charles Wells (1757-1817) in una conferenza tenuta presso la Royal Society di Londra il 1° aprile 1813[11] . […] Darwin riconobbe che: “In this paper he [cioè Wells] distinctly recognises the principal of natural selection, and this is the first recognition which has been indicated; but he applies it only to the races of man, and to certain characters alone”[12] . Ed è appunto questo il punto a mio avviso rilevante: l’ambito specifico di applicazione[13] . Wells, infatti, discusse un tema che aveva coinvolto numerosi studiosi europei da almeno 160 anni. Il tema si può riassumere nella domanda ‘perché i neri sono neri?’. Esso riguardava dunque la variazione della pigmentazione nella specie umana […]. È doveroso ricordare che fu principalmente dalle indagini e dalle risposte date da una schiera di studiosi a quella domanda - così semplice solo in apparenza - che si è sviluppata nel Settecento e primo Ottocento gran parte della ‘storia naturale dell’uomo’ (espressione equivalente a quella che oggi chiamiamo antropologia fisica), e che fu in tale ambito che è emerso l’uso biologico della nozione di razza[14] . […] La forza della formulazione di Darwin rispetto a quella di Wallace risiede ovviamente nel fatto che la sua base empirica era molto più ampia.
[…]

L’effetto reversivo dell’evoluzione (1871)
Il nucleo dell’antropologia di Darwin è costituito da quello che Patrick Tort ha definito l’effetto reversivo dell’evoluzione[15] . Esso consiste nel superamento della selezione naturale attraverso i processi di istituzionalizzazione del sentimento di simpatia. […]
È la progressiva evoluzione della moralità, attraverso la sua istituzionalizzazione a divenire costitutiva nell’uomo e pertanto a limitare sempre più l’azione della selezione naturale nei confronti dei più deboli o meno adatti. Si capisce allora perché la distinzione tra civilizzati e selvaggi non riguardi mai la struttura corporea dell’uomo, ma esclusivamente il livello di sviluppo tecnico, culturale e sociale[16] , e non necessariamente il livello morale. Si capisce poi perché Darwin abbia ritenuto un crimine di civiltà la pratica dello schiavismo e una conquista morale la sua abolizione e abbia indicato infine nella personalità di Thomas Clarkson uno dei massimi esempi di moralità.