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La tecnologia nel cinema italiano
Il rapporto fra cinema e tecnologia è stato, sin dal principio del ventesimo secolo, contraddistinto da un curioso paradosso. Se da una parte il linguaggio cinematografico - si pensi al passaggio dal muto al sonoro, o a quello dal bianco e nero al colore - non ha mai potuto prescindere dalle acquisizioni tecnologiche che ne hanno accompagnato e consentito lo sviluppo, dall’altra proprio la componente tecnologica è stata per lungo tempo considerata alla stregua di un “peccato originale” che in definitiva precludeva al cinema la possibilità di accedere ad una dimensione propriamente estetica. I film non andavano dunque, secondo l’opinione di molti, considerati oggetti artistici proprio a causa della tecnologia di riproduzione che ne era alla base e che finiva per vanificare a priori la possibilità di esprimersi in termini puramente creativi attraverso il cinema. Non vi è dunque da stupirsi se la ormai lunga storia delle riflessioni teoriche che hanno promosso la legittimazione artistica del cinema è costellata di interventi e contributi che, sondando in profondità la poetica di certi autori piuttosto che la valenza estetica di singoli film, hanno relegato in secondo piano il pur cruciale rapporto fra tecnologia ed espressività, nel timore che questo piano del discorso potesse in qualche modo indebolire la validità e la pertinenza dell’analisi, facendo riaffiorare alla superficie antichi pregiudizi. Oggi, anche alla luce di quanto avvenuto in campi limitrofi - dalla televisione alla videoarte alla computer-graphic - nessuno mette più in dubbio la possibilità di una estetica tecnologica, ovvero segnata, in misura più o meno consistente, dalla padronanza e dall’utilizzo di strumenti tecnologici. È dunque giunto il momento di ripensare al complesso rapporto fra cinema e tecnologia in termini più ponderati, ovvero non viziati da immotivati complessi di inferiorità. In questo modo è possibile ripercorrere la storia del cinema, in particolare della espressività cinematografica, alla luce dei progressi tecnologici che ne hanno sovente condizionato le forme e gli esiti. È appunto questo l’obiettivo principale del vasto progetto di ricerca, finanziato dal Miur per il biennio 2003-2004, intrapreso da un gruppo di nove università. Il progetto segue principalmente due direttrici: la prima (“Tecnologie del cinema”) si prefigge di indagare l’incidenza della tecnologia nello sviluppo del cinema italiano, non soltanto per quel che riguarda la graduale messa a punto di un linguaggio per immagini, con tutti i relativi stadi di perfezionamento che gli sono stati propri nel corso del ventesimo secolo, ma anche per ciò che concerne la sua applicazione nel settore dell’esercizio cinematografico, laddove essa è stata ed è tuttora (ad esempio nel campo del suono stereofonico) finalizzata a migliorare costantemente le condizioni acustiche e visive di fruizione dei film. La seconda (“Tecnologie nel cinema”) ha per obiettivo invece un’analisi dell’immaginario tecnologico nel cinema italiano: secondo quali modalità narrative ed iconografiche, nelle sue diverse epoche, il cinema ha rappresentato la tecnologia. Il che significa non pensare soltanto in termini di autoreferenzialità (il cinema che guarda se stesso, parlando di set, di attori, di registi) ma anche volgere l’attenzione ai modi con cui il nostro cinema ha registrato l’impatto sul piano sociale di tutta una serie di oggetti tecnologici che hanno scandito l’affermazione della modernità: pensiamo, per fare solo un esempio, al ruolo e al significato dell’automobile o degli elettrodomestici nell’era del cosiddetto boom economico. *Leonardo Gandini, Dipartimento di Scienze filologiche e storiche
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