Economia
comportamentale, una nuova scuola di pensiero
A Trento studenti di PhD
da prestigiosi centri di ricerca internazionali
di Matteo Motterlini
Dal 30 giugno al 12 luglio per iniziativa del
Computable and
Experimental Economics Laboratory (CEEL) e grazie al sostegno
finanziario della Latsis Foundation (Ginevra) e della Fondazione
Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto si è svolta a Sardagna
la quarta Summer School in Adaptive Economics Dynamics dedicataalla Behavioral Economics. Il merito della felice scelta del tema è
da scrivere alla lungimiranza del suo direttore, Axel Leijonhufvud, il
quale aveva
intuito la rilevanza di questo attivo e fertile ambito di ricerca ben
prima che
l’Accademia delle Scienze Svedese ne istituzionalizzasse l’importanza premiando
Daniel Kahneman - “per aver integrato intuizioni della ricerca
psicologica
nella scienza economica, specialmente nel campo del giudizio e della
decisione
in condizioni d’incertezza”. Non sorprende quindi che le
richieste di
partecipazione siano arrivate da ogni parte del mondo in numero circa
dieci
volte superiore alle venticinque borse di studio disponibili. In questo
modo la
Scuola ha potuto selezionare i migliori studenti di PhD e di dottorato
dei più
prestigiosi centri di ricerca internazionali (Harvard, MIT, Caltech,
Stanford,
Berkeley, Max Planck Institut, University College London, Oxford, Scuola Sant’Anna
di Pisa, per citarne alcuni) e ha visto rappresentati pressoché
tutti i
continenti. A coordinare le attività, lavorando con spirito di
squadra insieme
agli studenti, Dan Friedman (Santa Cruz, California) e Davis Laibson
(Harvard),
a cui si sono aggiunti e alternati vari ospiti per lezioni a tema - Colin Camerer
(Caltech), George Loewenstein (Carnegie Mellon), Massimo Egidi (Trento),
Stefano Della Vigna (Berkeley), Ulrike Malmendier (Stanford) ed Ernst
Fehr
(Zurich).
Di che cosa si è parlato a Sardagna? E perché quell’aggettivo
“behavioral”
(“comportamentale”, anche se, forse, “cognitiva”
renderebbe meglio l’idea)
ostentatamente e provocatoriamente associato a economia? La BE mira
ad accrescere
il potere esplicativo dell’economia dotandola di basi (psicologiche,
neurobiologiche, sociologiche, ecc.) più realistiche, superando
la sterile
contrapposizione tra discipline. Alla base del progetto vi è
la convinzione che
importando nella teoria economica quanto sappiamo circa i principi cognitivi
che determinano i giudizi, le scelte e le decisioni individuali e sociali
è possibile
migliorare la teoria economica in se stessa: vale a dire generando nuovi
e
più plausibili modelli teorici, migliori predizioni e scelte
di politica economica
più efficaci. Questo approccio non implica affatto il rifiuto
in blocco del modello
neoclassico. Anzi, la cosiddetta “Rational Economics” continua
a costituire
il punto di riferimento teorico (in virtù della sua plausibilità
normativa) e
metodologico (in virtù
della sua trattabilità e generalità).
Tuttavia, invece
di ignorare le violazioni
documentate sperimentalmente
delle assunzioni
dell’impianto neoclassico (funzione di
utilità e massimizzazione
ecc.), l’economia cognitiva
ne rivendica la
fertilità in prospettiva di
una nuova sintesi “quasi-
razionale”, capace
cioè di trasformare gli
“artefatti” (effetti anomali
considerati inizialmente
prodotti “artificiali” dell’esperimento)
in effetti
principali su cui costruire
nuovi modelli predittivi. L’impressione ricavata dalla partecipazione
alla Summer School è che la
BE si presenta oggi come una collezione di strumenti o di idee piuttosto
che
come una teoria unificata. Una scuola di pensiero o uno stile di modellizzazione
dei problemi piuttosto che un paradigma scientifico pienamente articolato.
La
speranza dei suoi sostenitori è che i modelli economico-cognitivi
si rivelino
presto formalmente eleganti, empiricamente ben fondati e predittivamente
accurati. A quel punto - come già è accaduto per lo sviluppo delle
scienze più
mature - è possibile che le ristrette assunzioni di razionalità,
ora considerate
indispensabili per fare economia, saranno viste come casi speciali di
una più
generale teoria della razionalità, fondata su basi neuro-cognitivo- comportamentali.
Dopotutto, anche la teoria economica non deriva il suo potere
predittivo da un unico strumento - la teoria dell’utilità.
Occorrono specifiche
ipotesi ausiliarie per applicare la teoria dell’utilità
e la nozione di razionalità
oggettiva alle situazioni della vita economica reale. E quello che spesso
implicitamente fanno queste ipotesi è di introdurre resoconti
specifici di “errori”
o “limiti” della razionalità del sistema: è
il caso delle teorie di Keynes o di
Robert Lucas per spiegare l’efficacia di determinate misure di
politica economica
o i cicli economici. Si tratta, da questo punto di vista, di compiere
un atto
di onestà intellettuale per riconoscere che tutta l’economia
posa su qualche
psicologia implicita: la questione, se mai, è se questa sia “buona”
o “cattiva”
psicologia. E per saperlo non ci resta che la via della ricerca empirica e della
sperimentazione. La speranza è che l’economia cognitiva
ci aiuti a risolvere
alcune questioni dibattute per anni dagli economisti e troppo spesso
“risolte”
attraverso argomentazioni
puramente teoriche
o, peggio ancora,
con la sola forza
dell’ideologia. A giudicare
dai risultati presentati
a Sardagna e
dallo spessore dei giovani
ricercatori che li
hanno discussi si tratta di una speranza ben
riposta.
In alto: Axel Leijonhufvud
e George Loewenstein;
a destra: il gruppo della Sumer School in Adaptive Economics Dynamics
presso il Centro Congressi Panorama di Sardagna.
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