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  convegni  

La performance del sistema universitario
Presentato a Trento il IV Rapporto AlmaLaurea sul profilo dei laureati
di Antonio M. Chiesi *

L’università italiana è impegnata in una riforma indispensabile e difficile, che ne definisce i compiti e il funzionamento per i prossimi decenni. È possibile cogliere l’importanza del cambiamento in atto se si pensa che la precedente riforma risale al fascismo. Senza enfasi possiamo dire che l’ordinamento voluto da Gentile ha rappresentato nel secolo scorso quello che sarà in questo secolo l’attuale riforma. Da quella riforma usciva un’università di élite, che forniva credenziali educative indifferenziate sul territorio nazionale, fortemente controllata economicamente e ideologicamente dal Ministero, basata su una federazione di cattedre dotate di assoluta autonomia organizzativa e destinata ad allontanarsi progressivamente dalle esigenze del mondo del lavoro. La liberalizzazione degli accessi negli anni ’60 e i cosiddetti provvedimenti urgenti del 1980, prendendo atto della pressione proveniente da una domanda di istruzione di massa, hanno soltanto sbilanciato una struttura inadeguata, che nel dopoguerra è passata da un rapporto di 9,8 studenti per docente a 28,9. I risultati in termini di scarsa efficienza sono testimoniati dal basso numero di studenti che ottengono il titolo e dai lunghissimi tempi necessari per conseguire la laurea.
La riforma del ventunesimo secolo ha finalmente ribaltato questa impostazione. Il primo passo è rappresentato dall’autonomia finanziaria degli atenei, concessa all’inizio degli anni ’90. Il secondo passo è rappresentato dall’autonomia didattica, che ha introdotto i nuovi ordinamenti del cosiddetto 3+2. Il terzo passo sarà compiuto quando verrà approvato il nuovo stato giuridico dei docenti. L’assenza di questo terzo stadio ha fortemente condizionato l’applicazione della riforma fino ad oggi. In mancanza di incentivi e di un finanziamento organico a sostegno della riforma, i cambiamenti sono stati indotti dalla crescente competizione tra atenei e facoltà.
La competizione per attirare un maggior numero di studenti, e possibilmente i migliori, è un fatto assolutamente nuovo nel panorama dell’università italiana e alcuni atenei spendono ormai cifre consistenti per la promozione e la pubblicità. Il mercato delle credenziali educative è tuttavia un mercato sui generis per due ragioni principali: il bene offerto produce notevoli esternalità positive e deve essere quindi soggetto ad una tutela pubblica; la persistenza del valore legale del titolo di studio può indurre gli atenei meno efficienti ad adottare strategie di selezione avversa (garantire con poco sforzo agli studenti lo stesso titolo offerto dagli atenei più onesti che richiedono impegno e rigore).
Una misurazione costante della performance del sistema universitario, del suo funzionamento e dei risultati in termini di sbocchi professionali dei laureati permette di perseguire due importanti obiettivi: a) ridurre l’opacità del mercato delle credenziali educative, mettendo a disposizione degli studenti informazioni oggettive comparate; b) monitorare l’attuazione della riforma universitaria che, essendo decisa autonomamente dagli atenei nei tempi e nei modi, è spesso soggetta a strategie trial and error che richiedono di valutare velocemente i risultati, spesso inattesi, allo scopo di aggiustare le linee di intervento.
In un recente convegno organizzato congiuntamente dall’Università di Trento e dal Consorzio AlmaLaurea, è stata analizzata la performance del sistema universitario, come emerge dai dati provenienti dai percorsi formativi di quasi 60.000 studenti appartenenti a 22 atenei, che si sono laureati nel corso del 2001. I dati, che sono stati oggetto di discussione il 13 giugno scorso presso il centro congressi di Sardagna tra rettori, tecnici, politici e docenti impegnati nella progettazione e nell’attuazione della riforma, forniscono una serie di informazioni sul livello di efficienza dell’Università italiana prima dell’introduzione dei nuovi corsi di laurea voluti dalla riforma.
L’età media alla laurea è di 28 anni e solo il 9% si laurea in corso. L’indice di durata media degli studi supera del 54% quella prevista dai diversi corsi di laurea. Questa situazione, rimasta grosso modo stabile negli ultimi quattro anni, pone i giovani laureati italiani in grave ritardo all’entrata nel mercato del lavoro, rispetto ai colleghi europei, che si avvantaggiano non solo di programmi universitari più brevi, ma anche di una minore durata della scuola secondaria superiore. Un altro aspetto rilevante riguarda le differenze sistematiche dei voti di laurea a seconda della facoltà frequentata. Il fatto che il voto medio di laurea a Giurisprudenza sia 98, mentre quello a Lettere e Filosofia sia 108, deve essere attribuito a prassi consolidate e a criteri di giudizio sistematicamente difformi, quindi intrinsecamente ingiusti. Nonostante la performance insoddisfacente, l’Università italiana è apprezzata dalla maggior parte degli studenti, che per l’82,3% si iscriverebbero di nuovo allo stesso corso di laurea, se potessero tornare indietro. Il sistema di monitoraggio predisposto da AlmaLaurea permette di analizzare anche i mutamenti della performance dell’Università italiana negli ultimi quattro anni: è aumentata la proporzione di studenti che frequenta regolarmente, che compie studi e supera esami all’estero e in modo assai modesto anche la percentuale di coloro che si laureano in corso, ma è anche diminuito il voto medio di laurea.
Sistemi di monitoraggio di questo tipo assumeranno crescente rilevanza nell’attuazione della riforma, permettendo di individuare i punti di forza e di debolezza delle scelte e dei comportamenti di ciascuna facoltà. Anche l’operato dei nuclei di valutazione, previsti dalla riforma, ne trarrà giovamento, poiché questi verranno messi in grado di formulare indicazioni, indispensabili al miglioramento della inevitabile fase sperimentale, e di esprimere giudizi, sulla base di confronti con benchmark condivisi, allo scopo di informare gli studenti sulla qualità della formazione offerta.
L’attuazione della riforma non è infatti esente da una serie di rischi, già evidenziati nella fase di progettazione delle lauree triennali. Il pericolo non è tanto quello della proliferazione dell’offerta formativa, poiché la libera scelta degli studenti farà giustizia delle offerte meno consistenti e più strane. Si tratta piuttosto della struttura dei corsi, troppo spesso confezionata sulla base della logica dell’offerta piuttosto che delle esigenze della domanda. Con la scusa della salvaguardia della serietà dei curricula, molte facoltà non hanno resistito alla tentazione di comprimere i tradizionali corsi quadriennali in tre anni, complice anche l’ambiguità della riforma stessa, che attribuisce alle lauree triennali sia compiti di formazione di base, in vista della laurea specialistica, sia contenuti professionalizzanti, in vista dell’entrata immediata nel mercato del lavoro.
Il risultato è talvolta un ibrido, che non offre né la preparazione di base né, tanto meno, contenuti professionali immediatamente spendibili, data la tradizionale separazione tra mondo del lavoro e università, nonostante l’avvio di un dialogo recente con le imprese. La forte pressione esercitata nei consigli di facoltà per tenere dentro tutti e tutto ha irrigidito i programmi, tradendo quindi un obiettivo qualificante della riforma, che con l’introduzione dei crediti mirava a rendere più flessibili e opzionali i percorsi di studio. Talvolta i programmi sono stati compressi in corsi più brevi e più numerosi, rendendo quindi più difficile la carriera dello studente.
I dati di AlmaLaurea ci permetteranno di sapere se le lauree triennali, così come sono state progettate, saranno in grado di ovviare alla piaga dei fuoricorso, o se ne moltiplicheranno il numero, aggravando la situazione. Ma permetteranno anche agli studenti più accorti di scegliere la facoltà meglio in grado di non perdere i propri studenti per strada.

In alto a destra: alcuni dati dell’indagine AlmaLaurea;
sotto: alcuni momenti del convegno La performance del sistema universitario: IV Rapporto AlmaLaurea sul profilo dei laureati, Trento, 13 giugno 2002;
nella foto al centro: Andrea Cammelli, direttore del consorzio AlmaLaurea;
nella foto in basso: Guido Fiegna, Silvio Fortuna, Guido Martinotti.

*Antonio M. Chiesi è direttore del Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale nonché membro del Comitato scientifico di AlmaLaurea.