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  cattedra Bruno Kessler  

L’economista che danza con gli angeli
“To be an economist is to sing with the devil. To be an Italian is to dance with angels.
And to be an Italian economist is to dance with angels to the songs of the devil.”
James G. March

di James G. March

Sono profondamente grato per l’onore che mi viene fatto quest’oggi. Non riesco a immaginare un onore più grande dell’essere considerato parte di una facoltà di economia italiana. Nel corso della mia carriera, che è stata relativamente lunga, sono stato abbastanza fortunato da incontrare un certo numero di economisti italiani. Una classe che sa combinare intelligenza, creatività e charme al gusto per il buon vino, per la buona cucina e per la bellezza, caratteristiche che per gli economisti ordinari, e in particolare per gli economisti americani, è difficile comprendere e ancor più raggiungere e che è invece piuttosto facile invidiare.
All’inizio della mia carriera, quando mi trovavo al Carnegie Institute of Technology (oggi Carnegie Mellon University), ho avuto la fortuna di avere come collega l’illustre economista italo-americano Franco Modigliani, successivamente premio Nobel e docente al Massachusetts Institute of Technology.
Una delle molte storie che si raccontano su Franco Modigliani al Carnegie Tech riguarda la tesi di Julian Feldman. Feldman aveva fatto uno studio sul comportamento umano in situazione di scelta binaria. Egli aveva scoperto che quando gli individui si trovavano di fronte a una sequenza di scelte tra due alternative reciprocamente esclusive ed esaustive in cui una delle alternative aveva una probabilità fissa dello 0,7 di essere corretta, i soggetti tendevano a scegliere quella alternativa nel 70% dei casi circa. Dal momento che i soggetti non avevano nessuna particolare capacità di prevedere eventi casuali, le loro scelte risultavano corrette, in media, nel 58% dei casi, anziché nel 70%, percentuale che avrebbero potuto raggiungere se semplicemente avessero scelto ogni volta l’alternativa più frequente. Essi non massimizzavano il valore atteso. Questo risultato apparì particolarmente significativo e suggerì a molti di noi che non sempre gli individui erano massimizzatori di valori attesi.
Il risultato di Feldman non era inusuale. Risultati simili erano ben noti nella letteratura psicologica. Ma Modigliani non ci credeva. Prima di firmare la tesi, insisté affinché Feldman svolgesse l’esperimento nella sua classe con i suoi studenti. Quando l’esperimento venne condotto nella classe di Modigliani il comportamento della maggior parte degli studenti si rivelò essere in linea con i risultati precedenti di Feldman. Vale a dire che essi sceglievano l’alternativa più frequente all’incirca tanto frequentemente quanto questa succedeva, violando così il criterio del valore atteso. Uno studente, tuttavia, si comportò nella maniera che Franco considerava razionale. “Ah!” disse Franco. “Ho capito: tu sceglievi sempre l’alternativa più frequente perché sapevi che questo avrebbe massimizzato il tuo ritorno nel caso di eventi casuali. È vero?” Lo studente rispose, “No. Non pensavo che i risultati fossero casuali. Se avessi creduto che fossero davvero casuali avrei certamente scelto l’alternativa più frequente nel 70% dei casi”. A questo punto, Franco decise di firmare la tesi. Ma né questa esperienza né nessun’altra lo portarono mai a esitare nella sua convinzione che gli attori economici massimizzano il valore atteso. 
Franco Modigliani non ha certo bisogno della mia certificazione come illustre economista e ottima persona. Egli ha entrambe queste caratteristiche. Ma nell’episodio che ho ricordato ha commesso due errori. Primo, si è sbagliato nel pensare che la tesi di Feldman fosse sbagliata. E secondo, si è sbagliato nel non riconoscere i limiti comportamentali dell’economia. 
Non sono uno di quelli che pensano che in economia esista un’unica strada corretta, neanche la mia strada. Non penso che siamo vicini ad avere una teoria unificata del comportamento umano, o che tutto in economia possa essere ridotto a sociologia, psicologia o biologia. Non penso che vogliamo un movimento di “economia comportamentale”. Non abbiamo bisogno di sostituire un’ortodossia con un’altra. L’economia ha spazio sia per le aspettative razionali sia per quelle irrazionali, per i calcoli consequenziali e per l’azione basata sulla regola, per le scelte basate sia sulle previsioni del futuro sia sulle interpretazioni del passato, per l’azione razionale così come per l’apprendimento e l’evoluzione.
Alla fine, comunque, penso che l’economia debba o occuparsi più di quanto già faccia delle realtà del comportamento umano o abbandonare le proprie rivendicazioni di essere attinente alla comprensione dell’esistenza umana. Questo non può succedere. Come economisti, noi siamo tutti più dotati di caratteristiche umane di quanto non lo siano le nostre teorie e mostriamo tutte le solite capacità umane per l’autodistruzione disciplinare attraverso l’infinita ricercatezza di lemmi minori e il coercitivo inserimento di idee fresche dentro vecchi contenitori teoretici. L’azione razionale è certamente parte della realtà umana, ma soltanto una piccola parte. Se l’economia si limiterà all’analisi della razionalità, si confinerà a una parte minuscola della storia umana. Si accartoccerà su se stessa.
Dal momento che, in ogni caso, lo studio del comportamento umano e delle istituzioni prospererà sicuramente altrove, credo che possiamo essere ampiamente indifferenti alla sopravvivenza dell’economia. Ma il futuro dell’economia, se ne esiste uno, sta nella ricostruzione dei postulati della teoria economica per riflettere ciò che è noto sugli individui e sulle istituzioni, come essi agiscono e come cambiano, e nello sviluppo degli strumenti analitici necessari per trattare la ricca complessità ecologica e temporale. Sta nel riesaminare le cornici che utilizziamo per discutere della vita economica. Una tale ricostruzione coinvolgerà, io credo, gli studi empirici e teorici dei meccanismi fondamentali del comportamento economico come quelli che sono caratteristici della Facoltà di Economia di Trento.
È per questo motivo che è per me un particolare onore entrare oggi a fare parte di questa Facoltà. In economia, se non in teologia cristiana, Trento sostiene la riforma del dogma, la liberazione delle idee e la ricostruzione dei testi sacri. Sotto la leadership di Massimo Egidi, l’Università di Trento è diventata un centro di lavoro empirico e teorico che cerca di trasformare l’economia da una branca della metafisica e una branca delle scienze comportamentali e sociali. E il fatto che l’economia di Trento sia riconosciuta per la sua eccellenza anche nei centri più dottrinari di economia neo-classica è un segno del modo brillante con cui questo lavoro è stato svolto.
Da parte di mia moglie e mia, Vi ringrazio per l’ospitalità. Da parte dei vostri colleghi di economia nel mondo Vi ringrazio per gli sforzi volti a salvare il settore. 
E, per quanto mi riguarda, Vi ringrazio per avermi reso un economista italiano. Essere un economista è cantare con il diavolo. Essere un italiano è danzare con gli angeli. Essere un economista italiano è danzare con gli angeli al suono del canto del diavolo. Grazie.

Nelle foto: James March pronuncia il suo intervento durante la cerimonia di conferimento del titolo di “professore onorario” dell’ateneo, Trento, 1 ° luglio 2002.

Intervento in lingua originale inglese