L’aequitas nel diritto romano
Giurisprudenza ricorda Paolo Silli con due giornate di studio; la famiglia dona alla Facoltà la ricca biblioteca dello scomparso professore
Intervista di Katia Ruaben a Gianni Santucci
La Facoltà di Giurisprudenza ha organizzato lo scorso aprile un convegno che si è occupato del fondamentale concetto di
aequitas nel diritto romano ed ha ricordato nell’ambito dello stesso, il professor Paolo Silli, che a questo tema ha dedicato ampia parte della sua attività accademica.
Abbiamo parlato delle due giornate di studio e dei lavori svolti con Gianni Santucci che ha coordinato
il convegno.
Professor Santucci, ci può descrivere la figura e l’attività di Paolo Silli?
Paolo Silli è stato professore di diritto romano presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento
dall’anno della sua fondazione, il 1985, fino al momento della sua scomparsa, avvenuta poco più
di un anno fa. Senza dubbio, è stata una figura importante per il diritto romano a Trento. Si era formato scientificamente
a Firenze presso la prestigiosa scuola di Giangualberto Archi, ma dopo la sua nomina
a professore ha sempre voluto rimanere a Trento, complici forse anche il suo amore per la Val
di Non e le sue origini familiari trentine. Paolo Silli è stato un docente sinceramente
appassionato al suo mondo di studi, un mondo fatto di ricerca, di libri e di studenti; a quest’ultimi,
in particolare, ha sempre dato e ricevuto molto. Noi tutti - e credo di ben interpretare i sentimenti
dei miei colleghi - ne ricordiamo il suo carattere schivo, sobrio e al contempo gentile e sempre
orientato da una profonda umanità.
Perché ricordarlo nell’ambito di un convegno dedicato all’equità?
L’aequitas è il tema su cui Paolo Silli ha concentrato i suoi maggiori sforzi e su cui ha condotto
alcune delle sue ricerche più originali; egli ha studiato soprattutto l’equità nel mondo post-classico
e giustinianeo, colmando dei gravi vuoti scientifici e ridimensionando risultati acquisiti e dati
per pacifici da decenni presso la dottrina romanistica. Il convegno è stata anche l’occasione
per annunciare la donazione, da parte dei familiari, di gran parte della bellissima biblioteca
di Paolo alla nostra Facoltà. La donazione è per noi molto preziosa: Paolo Silli era un raffinato
bibliofilo, amante della ricerca di testi giuridici e non, importanti ed ormai introvabili; sono state
così colmate molte delle lacune di cui la biblioteca della Facoltà inevitabilmente soffriva, proprio
a causa della sua recente istituzione.
Che cosa esprime il concetto di aequitas in ambito giuridico e nel diritto romano?
Parliamo del diritto romano dove il concetto di aequitas in definitiva è stato creato. Per cogliere
la capitale importanza che l’aequitas riveste nell’esperienza giuridica romana dobbiamo fare un
breve passo indietro e ricordare che il diritto privato a Roma non era codificato e vedeva nelle
soluzioni casistiche dei giuristi e nell’attività di amministrazione della giustizia ad opera del pretore
i suoi massimi fattori di sviluppo; un diritto che ha significative analogie con la formazione
del common law anglosassone. Spesso i giuristi e il pretore, seppur in ambiti differenti, giustificano
le loro scelte in base all’equità e si tratta di scelte importanti per la vita giuridica e sociale
perché - come ho appena accennato - creano diritto. L’aequitas non era quindi “qualcosa di codificato
o scritto” ma costituiva il modo tipico di realizzare il ius, cioè il diritto. Uno dei giuristi più
geniali ed innovativi del primo secolo d.C., Giuvenzio Celso, ha definito
il diritto come “ars boni et aequi”: si ha qui l’acquisita consapevolezza
che il diritto nella sua dimensione dinamica e aperta a continue innovazioni
si identifica con la tecnica di perseguire il
bonum, cioè un sentire orientato eticamente e
l’aequum, cioè ciò che è concretamente giusto. L’aequitas è uno strumento non codificato, ma
intuitivo di cui dispone il giurista romano, è quasi un modo di sentire il diritto e di tradurre i termini
astratti e generali della regola di diritto (formatasi per legge o per consuetudine) in una esigenza
concreta di giustizia. Una giustizia intesa come applicazione meccanica della norma astratta,
che va dal generale al particolare, si può tradurre nell’esperienza concreta in una ingiustizia:
in un “non dare a ciascuno il suo”. Il giurista si trova allora di fronte al paradosso di avere rispettato
una regola, ma di non avere dato concretamente giustizia.
Quali gli interventi e le posizioni particolarmente interessanti?
In occasione del ricordo di Paolo Silli abbiamo riunito a Trento alcuni, credo, fra i maggiori studiosi
a livello internazionale; sono emersi contributi orientati anche diversamente fra loro. Mario
Talamanca ha insistito su un concetto relativo di equità, intesa come “clausola vuota”, nel senso
che diventa uno strumento costantemente riempito dei contenuti che il giurista di volta in volta
intendeva mettervi; Wolfgang Waldstein ha posto l’accento sul significato profondamente morale
ed etico dell’aequitas dei giuristi romani. Di aequitas in relazione al pretore ha parlato invece
Dario Mantovani: nel momento in cui escogitava nuovi rimedi giuridici e creava azioni
processuali, il pretore sovente fondava e spiegava l’opportunità della creazione di questi sul concetto
di equità, cioè era “equo”, o “non iniquo”, tutelare un nuovo assetto sociale ed economico.
In questo modo il diritto romano rispondeva in tempo reale alle nuove esigenza della società.
Le giornate di studio hanno poi affrontato l’evoluzione del concetto attraverso le varie epoche:
nel periodo epiclassico, nel periodo bizantino, di cui ha parlato Fausto Goria; lo stesso Silli aveva
studiato l’equità durante il cristianesimo quando tale concetto avrebbe potuto permearsi di un
nuovo e determinante sentimento religioso.
Aequitas è, quindi, un concetto più che mai attuale...
Tanto attuale quanto antico. Già Aristotele nell’Etica Nicomachea affermava che “quando la legge
si esprime in modo generico ma in concreto avviene un fatto che non rientra in questa generalità,
allora è giusto correggere la lacuna; e lo direbbe anche il legislatore stesso se fosse presente,
perché, se avesse previsto il fatto l’avrebbe regolato con la legge”. L’equità è uno strumento
molto elastico che se ben usato, come sovente è stato fatto dai giuristi romani o dal pretore, ha
portato a delle profonde innovazioni e alla possibilità costante di adeguare il diritto alle nuove
esigenze socio-economiche che si ponevano; ma allo stesso tempo è pericoloso perché se male
utilizzato, e soprattutto senza un senso corretto di giustizia, può risultare una fonte potentissima
di ingiustizia. Oggi più che mai di fronte ai complessi problemi che una società come la nostra
pone, di fronte alla cronica insufficienza degli strumenti normativi, si sente l’impellente bisogno di
un ceto di giuristi e operatori che oltre alle capacità tecniche e culturali siano in grado di penetrare il
mondo del diritto attraverso l’equità come, credo, era abituato a fare il giurista romano.
A posteriori quale valutazione darebbe sul convegno?
Sinceramente siamo stati molto soddisfatti, sia per la qualità degli interventi e del dibattito che ne è
sorto, sia dal punto di vista della partecipazione dei colleghi e di studiosi di altre Facoltà. Pensavamo
infatti ad una presenza più modesta, abbiamo avuto invece un’affluenza notevole; evidentemente
la scelta del tema è stata felice, in questo modo credo che la figura di Paolo Silli sia
stata veramente onorata nel migliore dei modi.
In
alto a destra (da sinistra): Gianni Santucci , il rettore Massimo Egidi
e Giovanni Pascuzzi, durante il convegno Aequitas, Trento 11 aprile 2002;
sotto a sinistra: Paolo Silli (Corvara, 1981);
sotto a destra: Gianni Santucci.
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