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   visiting professor   
La sociolinguistica di Corrado Grassi
Il noto studioso chiamato a Trento come docente di chiara fama per tenere un corso sulle varietà linguistiche

di Patrizia Cordin

Corrado Grassi è stato chiamato dall'ateneo trentino come docente di chiara fama a tenere presso la Facoltà di Lettere e Filosofia un corso di sociolinguistica in due moduli (il primo si sta svolgendo e il secondo è previsto per l'anno accademico 2001-2). Allievo di Terracini, redattore dell'Atlante linguistico italiano, docente di glottologia all'Università di Torino, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo torinese, quindi professore emerito alla Wirtschaftuniversität di Vienna, dove ha insegnato lingue romanze, Corrado Grassi è autore di numerosi studi che costituiscono una parte indispensabile del bagaglio scientifico di tutti coloro che si occupano di dialettologia (tra gli altri: La geografia linguistica. Principi e metodi, Torino, Giappichelli 1968; Premesse per un'analisi contrastiva lingua-dialetto, Torino, Giappichelli, 1978; in collaborazione con A.A. Sobrero e T. Telmon Fondamenti di Dialettologia, Roma-Bari, Laterza, 1997).
Il corso svolto quest'anno dal professor Grassi è dedicato in particolare al concetto di lingua regionale in diversi pae-si e viene illustrato attraverso il confronto tra la situazione italiana, quella francese e quella dei paesi tedescofoni. Nel panorama italiano, le lingue regionali si collocano lungo un continuum di varietà linguistiche che collega i due poli opposti della "lingua" e del "dialetto". Intuitivamente, lingua e dialetto, forse proprio perché entità contrapposte, paiono facilmente riconoscibili; in realtà i loro confini non sempre sono chiari e netti.
Ogni lingua è un mondo: fatto di suoni, parole, espressioni, modi di dire, frasi che ci mettono in relazione con gli altri, ci permettono di affermare o negare qualcosa, di interrogare, di pregare e di ordinare. Ogni dialetto è un mondo, dove entriamo condotti da suoni e voci che spesso appartengono alla nostra vita familiare, al nostro sentire e parlare più immediato. La relazione forte tra dialetto e sfera personale è rivelata dalle parole stesse che usa chi parla un dialetto quando è chiamato a definirlo: "la lingua che si parla qui", "quello che parlavano il papà e la mamma", "quello che parliamo in famiglia" sono le definizioni più frequenti. Dunque, il dialetto è percepito come lingua della famiglia, lingua dell'infanzia, lingua della memoria: le definizioni del dialetto, più o meno naives, mettono in evidenza queste associazioni.
E il linguista cosa dice? Va chiarito subito che dal punto di vista strettamente linguistico non esistono distinzioni tra lingua e dialetto, in quanto siamo comunque di fronte a sistemi linguistici con precise strutture, regole e principi. Ci sono, invece, alcuni criteri extralinguistici che permettono di tracciare la distinzione. Innanzitutto, i dialetti sono sempre inclusi nella lingua comune: il dialetto è un concetto relazionale che vale solo in riferimento a una lingua storica, mentre una lingua storica può essere definita anche come concetto autonomo. Un secondo criterio, di tipo sociologico, si basa sulla dominanza che una lingua mostra rispetto ad un'altra con cui è in contatto; la dominanza si traduce in una serie di condizionamenti, quali il rinforzo visivo di cui si avvantaggia una lingua che sia anche scritta (come l'italiano) rispetto ad una lingua usata solo o quasi nell'oralità (come la maggior parte dei dialetti), l'ordine d'apprendimento, l'avanzamento sociale che la conoscenza di una delle lingue in contatto può consentire ai parlanti, la valutazione letteraria e culturale relativa a ciascuna di esse. Altri criteri, infine, riguardano i domini d'uso e le caratteristiche stilistiche delle varietà linguistiche in contatto; nessuno, ad esempio, adotterebbe il dialetto per redigere una domanda diretta ad un ufficio pubblico, un manuale, un modulo, un documento assicurativo: si tratta, infatti, di domini convenzionalmente riservati alla lingua con una tradizione scritta.
I rapporti tra lingua e dialetto possono mutare nel tempo e nelle diverse situazioni sociali. In particolare, in questi ultimi decenni, in seguito ai grandi cambiamenti sociali e culturali che hanno deteminato anche profonde trasformazioni linguistiche si è parlato di scomparsa e - metaforicamente - di "morte dei dialetti": in effetti, una parte considerevole delle parole e delle espressioni dialettali che venivano usate qualche decennio fa è oggi dimenticata, insieme agli oggetti e alle attività ai quali i termini facevano riferimento. Se l'uso del dialetto è sicuramente in declino, tuttavia, in Italia, e in particolare nell'area nord-orientale, il suo spazio è ancora esteso e la sua vitalità è forte. Recenti indagini mostrano che i dialetti sono impiegati da un alto numero di parlanti, soprattutto in famiglia. Cambiano, è vero, i rapporti tra lingua e dialetto, e sempre più quest'ultimo si avvicina alla lingua comune, ne assume parole e caratteristiche, adattandosi per sopravvivere ad una situazione in continuo mutamento.
Ed aumentano anche, come mostra una recente ricerca svolta nel Canton Ticino, i cosiddetti parlanti "evanescenti", coloro che, pur possedendo una buona competenza - soprattutto passiva - del dialetto, non ne fanno uso.
Affrontare i temi del repertorio linguistico, del contatto e del mutamento linguistico è di grande interesse soprattutto in una realtà linguisticamente molto varia come è quella trentina. Il crescere e il diffondersi della conoscenza relativa alle lingue parlate nella terra che abitiamo è favorito dalla presenza di voci scientificamente autorevoli e dal confronto con altre realtà, grazie al quale esperienze e conoscenze locali possono essere valorizzate.


Nelle foto, in alto: Corrado Grassi; sotto: l'Alfabetiere giaglionese, tratto da C. Grassi, A.A. Sobrero, T. Telmon, Fondamenti di dialettologia italiana, 1997, ed. Laterza