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 visiting professor 
Cento anni
di socialismo
raccontati
da Donald Sassoon


Lo studioso inglese parla della sua esperienza all'Università di Trento e del rapporto con gli studenti

Intervista di Francesca Menna a Donald Sassoon




Professor Sassoon, come si è trovato con gli studenti di Trento?

Molto bene. Sono rimasto impressionato dalla preparazione degli studenti e soprattutto dall'alto numero delle frequenze dall'inizio alla fine del corso. Non sono in grado di giudicare se le università italiane siano davvero - come dicono tutti - in crisi, ma a me sembra che quella di Trento non lo sia.

Secondo lei, per quale motivo gli studenti si sono tanto appassionati alla sua materia?

Un motivo certamente è una sentita esigenza di storia contemporanea e spero che questa domanda verrà soddisfatta dalle autorità universitarie nei prossimi anni, perché è giusto che in una Facoltà di Lettere con un dipartimento storico si dia spazio alla storia del XX secolo. Un secondo motivo è forse il fatto che non tratto la storia dell'Italia, bensì una storia comparata, cercando cioè di mettere sempre in rapporto le cose che sono accadute in Italia con quelle che succedono negli altri stati.

Durante il corso ha analizzato la storia della sinistra in Europa occidentale. Da dove nasce questa scelta e come mai non ha trattato l'Est europeo?

Il corso si basa su un mio libro di oltre 1000 pagine in cui parlo soprattutto della sinistra nell'Europa occidentale, in più di 14 paesi. Se ci avessi messo anche l'Europa orientale sarebbe diventato illeggibile! Inoltre non ho le competenze linguistiche per trattare la storia dei paesi dell'Est. Ma il motivo principale è che volevo studiare la storia dei partiti di sinistra, partiti che si erano prefissi come scopo finale l'abbattimento del capitalismo e che poi devono fare i conti con la democrazia che essi stessi hanno contribuito a costruire, non più liberi dunque di fare quello che vogliono, bensì soggetti a condizionamenti precisi, condizionamenti elettorali in particolare. Il mio corso analizza soprattutto la sinistra dopo il 1945, quando è il principale partito di opposizione in Parlamento, e cerca di vedere che cosa la sinistra può fare all'interno del sistema capitalista che alla fine accetta. I partiti comunisti che invece sono andati al potere in Europa orientale dopo il '45 non si sono dovuti cimentare in una competizione elettorale. La cosa che più mi interessa è sempre lo scarto tra il programma che si dà un partito prima delle elezioni e quello che fa dopo quando deve fare i conti con la realtà.
Donald Sassoon è ordinario di storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra. Da ottobre a dicembre 1999 ha tenuto presso l'Università di Trento il corso di storia contemporanea della Facoltà di Lettere e Filosofia sul tema "La sinistra in Europa Occidentale nel XX secolo", il suo primo corso intero in un ateneo italiano.
È autore del libro Cento anni di socialismo: la sinistra nell'Europa occidentale del XX secolo (Editori riuniti, Roma 1997 - Titolo originale: One hundred years of socialism).

Come si trasforma la sinistra quando arriva al Governo?

La sinistra si trasforma in continuazione, comincia la sua storia alla fine del XIX secolo quando si dà un doppio programma: un programma a lungo termine che ha come scopo finale l'abbattimento del capitalismo e un programma a medio termine rappresentato dalle grandi riforme sociali e politiche (il suffragio universale, lo stato del benessere, il controllo del mercato del lavoro). Man mano che ha successo e riesce a implementare il suo piano a medio termine, che da programma di una parte diventa via via programma di uno stato, il capitalismo diventa più tollerabile ed è dunque la stessa sinistra a mettere in discussione lo scopo finale, cioè l'abbattimento del capitalismo.

Secondo lei, a che cosa è dovuta la "degenerazione" che le democrazie hanno subìto negli ultimi tempi (mi riferisco a Mani pulite in Italia, il caso di Kohl in Germania o della Cresson alla Commissione Europea)?

A mio avviso le democrazie non hanno subìto una degenerazione, anzi. Se mettiamo a confronto l'Europa del 2000 con quella del 1950 troviamo ancora dittature in Spagna, in Portogallo, la Grecia è una mezza democrazia, in Europa orientale ci sono regimi autoritari comunisti; nel '45 le donne non hanno ancora il voto in Italia, in Belgio, l'hanno appena ottenuto in Francia, dovranno aspettare ancora in Svizzera. Invece nel 2000 in Europa c'è democrazia ovunque, si fanno elezioni, si vota.
Certo all'interno delle democrazie vi è stata un'espansione della corruzione, ma la corruzione, purtroppo, fa parte della vita "normale" delle democrazie. Gli Stati Uniti sono un paese con un non lieve tasso di corruzione che tuttavia non ha mai impedito una crescita economica eccellente e un sistema democratico; lo stesso vale per il Giappone moderno. Per risolvere la corruzione bisognerebbe vedere quali strumenti dare agli stati per combatterla. Il problema in Italia, dopo Tangentopoli, è che, al contrario dei casi Kohl in Germania e Cresson alla Commissione Europea, vengono continuamente attaccati proprio i magistrati e i giudici che hanno cominciato a lottare contro la corruzione.

Lei insegna storia a Londra. Che differenze ha trovato tra gli studenti inglesi e quelli italiani?

Per quanto riguarda la preparazione è difficile fare un confronto tra gli studenti in Gran Bretagna e in Italia perché i sistemi sono diversi: noi abbiamo molti esami scritti e qui invece (almeno nel corso che ho tenuto io) ci sono soprattutto orali; inoltre noi abbiamo meno studenti, la laurea si fa in soli tre anni e la frequenza è obbligatoria. Gli studenti italiani, al di là della tesi, scrivono poco e devono invece essere in grado di rispondere a domande a bruciapelo in una situazione non rilassante; gli esami qui sono più nozionistici. Quello che sicuramente ho notato in Italia è un maggiore entusiasmo, più interesse, più voglia di imparare.