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  speciale 3+2  
Sociologia
Più ricchezza e flessibilità dell'offerta formativa
di Antonio Chiesi

La riforma dell'università, iniziata con le norme sull'autonomia finanziaria, è proseguita a ritmi accelerati con la pubblicazione del decreto ministeriale del 3 novembre 1999 sull'autonomia didattica. Nel frattempo si è aperto il dibattito sul terzo fronte, quello relativo allo stato giuridico dei docenti universitari. Queste tre aree di intervento rappresentano la manovra più importante mai progettata per la riforma dell'università da prima della seconda guerra mondiale. Le precedenti riforme, che pure hanno profondamente influenzato il sistema universitario nazionale (la liberalizzazione degli sbocchi universitari della fine degli anni '60 e i cosiddetti provvedimenti urgenti del 1980) hanno avuto un carattere parziale e contingente, adattando la vecchia struttura dell'università di élite alle esigenze dell'università di massa. Mentre le precedenti riforme hanno accentuato le anomalie del sistema italiano rispetto a quello degli altri maggiori paesi occidentali avanzati, creando distorsioni ed effetti perversi, l'attuale riforma vuole omologare il sistema, in modo da rendere possibile un'integrazione imposta dal processo di unità europea. Dopo la moneta unica, è evidente che l'unificazione impone ora anche un processo di integrazione culturale che passa attraverso il pieno riconoscimento reciproco dei titoli di studio e la fungibilità dei percorsi formativi nei diversi paesi. La Facoltà di Sociologia di Trento non è impreparata a questo processo, avendo avviato l'esperienza della doppia laurea con altre università europee. La riforma degli ordinamenti didattici renderà molto più facile e naturale l'integrazione, offrendo agli studenti italiani maggiori opportunità di intraprendere studi in istituzioni straniere e agli studenti stranieri di frequentare i corsi di Trento. La riforma prevede due grandi novità. La prima riguarda l'offerta di due diversi livelli di laurea (triennale e quinquennale) sulla scorta del modello correntemente adottato all'estero. La seconda riguarda l'introduzione dei crediti didattici, che rappresentano una specie di moneta virtuale in grado di offrire flessibilità ai curricula formativi. Il credito è l'unità di misura del carico didattico e di apprendimento per uno studente di medie capacità e corrisponde a 25 ore convenzionali di impegno in aula, nello studio e nelle esperienze professionalizzanti, destinate ad affiancare obbligatoriamente la formazione di base. Il dibattito sulla progettazione dei due livelli di laurea, da tempo avviato in Facoltà, deve tenere conto dei cosiddetti "decreti d'area" (in approvazione presso il Murst, su proposta delle Conferenza dei Presidi di Sociologia), che stabiliscono i contenuti minimi comuni dei corsi di laurea (le cosiddette "classi di I e di II livello" di Sociologia), lasciando alle singole facoltà ampi margini di autonomia nella definizione dei curricula per l'ottenimento dei titoli. Lo stato avanzato dei lavori permette di delineare le opportunità ma anche le ambiguità della riforma, cui è possibile fare fronte con un'adeguata progettazione, facendo leva sugli ampi margini di autonomia concessi a livello locale. Le opportunità consistono nella ricchezza e flessibilità dell'offerta formativa, tendenzialmente meno teorica e più orientata agli sbocchi professionali, che gli studenti possono percorrere con meno spreco di tempo e di fatica (l'obiettivo è quello di abbattere il numero dei fuori corso, un fenomeno tipicamente italiano). Vengono offerti titoli meglio spendibili sul mercato, cui corrispondono diversi livelli di durata e difficoltà: diploma di laurea di primo livello (3 anni), master di primo livello (1 anno dopo la laurea), diploma di laurea di secondo livello (2 anni dopo la laurea), master di secondo livello (1 anno dopo la laurea specialistica), dottorato di ricerca (3 anni dopo la laurea specialistica). Va ricordato che la Facoltà già ora offre il diploma universitario in Servizio Sociale, con caratterizzazione professionalizzante e durata di tre anni, la laurea in Sociologia (4 anni) e diversi corsi di dottorato. La riforma comporta quindi un adattamento del diploma triennale e una riprogettazione completa della laurea quadriennale, mentre i programmi di dottorato non richiedono adattamenti particolari. Devono infine essere progettati ex novo eventuali corsi master di primo e secondo livello. Lasciando da parte questi ultimi, il vero problema è rappresentato dalla trasformazione della laurea quadriennale in due diplomi sequenziali rispettivamente di tre e due anni. Se si tiene conto che già ora i bienni di indirizzo possono essere riqualificati in altrettante lauree di secondo livello, inserendoli sulla preparazione del triennio precedente, il vero problema è rappresentato dalla trasformazione del primo biennio in una o più lauree triennali di primo livello. È in questa trasformazione che emergono le ambiguità della riforma. Alcune importanti università hanno già scelto di puntare essenzialmente sulle lauree quinquennali, attribuendo alla preparazione triennale soltanto un ruolo propedeutico di base, senza ambizioni professionalizzanti (in questo senso si è già orientata per esempio l'Università Bocconi). Si prende atto in sostanza che la laurea di primo livello non può fornire nello stesso tempo conoscenze di base e capacità professionali specifiche. Tuttavia, se le facoltà non saranno in grado di puntare su contenuti professionalizzanti spendibili sul mercato, il titolo triennale sarà destinato a sanzionare formalmente soltanto coloro che non ce la fanno a completare il secondo ciclo. Anche per la Facoltà di Sociologia si presenta questa sfida: puntare essenzialmente sulla laurea quinquennale, perché è soprattutto a questo livello che si svilupperà la concorrenza tra sedi universitarie per offrire formazione di qualità; ovvero presidiare anche i corsi di primo livello con offerte professionalizzanti che rispondano a specifiche esigenze del mercato. In questo secondo caso penso che i programmi triennali dovrebbero essere chiaramente differenziati tra corsi di base, utili al proseguimento degli studi, e corsi specifici ad alto contenuto tecnico-professionale, utili a rispondere alle esigenze immediate del mercato del lavoro.