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  innovazione didattica  

Il piacere di imparare
Il problem based learning (didattica a base di problemi - DBP) è un metodo didattico innovativo adottato in molti atenei esteri, tra cui Maastricht. Qui uno dei pionieri è stato Jack Birner, oggi responsabile della ricerca "Innovazione nella didattica" presso il Laboratorio di scienze cognitive di Rovereto. Quest'anno DBP verrà introdotta in via sperimentale all'Università di Trento.

di Jack Birner



Jack Birner,
Responsabile della ricerca:
"Innovazione nella didattica"
 
"Mi dedico a scrivere olandese corretto, ma ho andato a scuola." Così l'autore del Max Havelaar Multatuli drammatizzava un secolo fa sulla qualità della formazione formale e, purtroppo, la sua critica è quanto mai attuale: troppo spesso la scuola e l'università sono fonti di frustrazione anziché di stimolo al piacere di imparare di cui ogni essere umano è naturalmente dotato. Un bravo insegnante non cerca di motivare lo studente imponendo la propria autorità, bensì facendogli scoprire il perché delle cose. Dunque, per elevare la qualità della didattica bisogna migliorare la formazione dei docenti? Certo! Ma questo non è tutto. È anche necessario curare l'ambiente dell'apprendimento.
È questo il punto di partenza della didattica a base di problemi (DBP). Invece della tradizionale comunicazione a senso unico, dal docente attivo agli studenti che ascoltano in maniera passiva, questo metodo propone una interazione attiva tra gli studenti mentre al docente spetta il ruolo più modesto di monitorare il processo d'apprendimento. Il libro di testo perde parte del proprio valore e i limiti disciplinari recedono: il corso si basa infatti su problemi, formulati, analizzati e risolti dagli studenti stessi. Questi si incontrano due volte alla settimana in gruppi di circa 12 persone, tra le quali eleggono un presidente che diventa responsabile dell'agenda e dell'andamento della sessione.
Gli studenti si presentano senza una preparazione specifica poiché uno degli scopi del metodo è la mobilitazione di conoscenze preesistenti. Durante la seduta leggono un breve testo (chiamato quesito) tratto da un manuale composto dal docente e distribuito all'inizio del corso. Il lavoro prosegue con una procedura che si può suddividere in sette fasi. Dopo l'eventuale chiarificazione di parole (1), gli studenti passano all'individuazione del problema o dei problemi (2). La terza fase, che può essere paragonata all'elemento della variazione in un processo evoluzionistico, consiste nel trovare, mediante un'attività di brainstorming, un numero massimo di soluzioni possibili (3). Per non ostacolare la creatività, la selezione avviene separatamente, durante l'analisi di queste soluzioni (4).
L'analisi del problema si conclude con la creazione di una lista di conoscenze necessarie per risolverlo, le quali vengono poi confrontate con quelle presenti nel gruppo. Individuare le differenze tra questi due insiemi fa parte della fase successiva, la formulazione degli obiettivi di apprendimento (5), ovvero i compiti che gli studenti si autoimpongono: le conoscenze mancanti vengono cercate a casa, in biblioteca o nello studio di un eventuale esperto (6). La riunione si conclude con una valutazione critica della procedura. All'inizio dell'incontro successivo le conoscenze acquisite vengono sperimentate, verificando se queste riescono a risolvere il problema (7). In caso positivo si passa al quesito successivo; in caso contrario si può ricominciare l'analisi o proseguire lasciando il problema irrisolto: disponendo di tempi limitati, gli studenti devono imparare a organizzare in modo efficace la procedura di problem solving. Gli studenti godono di ampia autonomia, mentre il compito del tutor consiste nel seguirli controllando che non si allontanino troppo dall'indirizzo del corso.
DBP è dunque un metodo anti-autoritario (non è un caso che sia nato negli anni '60), basato sull'idea che l'apprendimento è un processo sociale (ovviamente esiste l'obbligo di frequentare) e attivo, in cui prova ed errore (e quindi commettere errori) fanno parte integrante dell'apprendimento: è un metodo socratico e popperiano. Esso stimola l'autonomia e la motivazione degli studenti e favorisce l'imparare ad imparare; è inoltre stato scoperto che le conoscenze ottenute con DBP vengono conservate più a lungo di quelle acquisite con altri sistemi. Il metodo è stato sviluppato esplicitamente anche per aumentare le abilità nell'applicazione delle conoscenze, nell'interazione sociale (capacità di collaborare e comunicare con altri) e le abilità (auto)organizzative.
Dopo 30 anni si può quindi affermare che con DBP si ottengono risultati migliori che con il tradizionale metodo di insegnamento. In Olanda la sua validità è riconosciuta dal mercato del lavoro e dagli studenti stessi che, per il quarto anno consecutivo, hanno giudicato il dipartimento di economia dell'Università di Maastricht come il migliore dell'Olanda.
A Trento DBP verrà sperimentata inizialmente nel corso di Organizzazione e gestione delle risorse umane della Facoltà di Economia, ma è già allo studio la possibilità di estenderne l'applicazione ad altre facoltà. Non sono ancora stati effettuati studi sufficienti per stabilire a cosa sia dovuto il suo successo: la maggior parte delle ricerche condotte fino ad oggi si sono concentrate sulle differenze nel rendimento cognitivo nei confronti della didattica tradizionale, e questo in particolare nei corsi di medicina. Il fatto che a Trento DBP venga introdotta in misura limitata permette una ricerca più ampia: verranno infatti confrontati corsi tenuti dallo stesso docente applicando i due diversi metodi; nella valutazione verrano inclusi anche i processi sociali e le caratteristiche personali dei tutor e degli studenti. Si indagherà infine se la didattica possa imparare qualcosa dall'ambito la cui essenza è l'apprendimento continuato tramite problem solving, quello della scoperta scientifica. Così, il laboratorio roveretano dell'Università di Trento godrà di una serie di primati nazionali e internazionali.