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  come cambia l'università  
I concorsi a cattedra
Prosegue il dibattito sul nuovo sistema concorsuale:
i pro e i contro in un'analisi di Gian Maria Varanini


A proposito della nuova normativa per i concorsi universitari (legge 210/1998), Enrico Zaninotto ha esposto su queste colonne - il mese scorso - una serie di considerazioni largamente condivisibili, e ispirate ad una valutazione globalmente positiva del provvedimento. Su tale valutazione anch'io concordo in linea di massima, condividendo anche l'attesa per ulteriori interventi che puntino a ricostruire "un sistema di responsabilità nelle università".
Del resto, ad una cauta soddisfazione mi sembra che si siano nel complesso ispirate - nei mesi e nelle settimane scorse - le reazioni della comunità accademica e scientifica italiana. Non sono, è vero, mancate le osservazioni critiche da parte di chi ritiene che il "listone nazionale" degli idonei, dal quale le singole facoltà avrebbero dovuto pescare con veloci procedure di scelta, avrebbe meglio salvaguardato il rispetto di standard minimi di qualità e avrebbe costituito un argine più forte alla possibilità, che come è evidente la nuova legge non esorcizza, di reclutamenti ispirati a mero localismo. Ma tutti hanno dovuto riconoscere che l'autonomia delle singole università, così come si è venuta configurando negli anni scorsi, portava come logica, inevitabile conseguenza il trasferimento delle responsabilità di scegliere dei nuovi ricercatori e professori dalla commissione unica e centralizzata alle singole sedi. La modifica era in qualche modo necessitata.
In una previsione realistica del funzionamento del nuovo sistema di reclutamento, considero fra gli aspetti positivi la possibilità che le singole facoltà avranno di soddisfare volta a volta - con un dosaggio e una programmazione oculati - le esigenze opposte ma ugualmente legittime e importanti della stabilità e della mobilità del corpo docente. Per molte università "minori" e periferiche - penso al meridione d'Italia, ma anche Trento non è stata esente da questo male - si potrà forse ridurre il fenomeno del fugace passaggio di un docente e dell'altrettanto rapido suo trasferimento ad una sede "maggiore". Fatta salva una irrinunciabile buona qualità scientifica, è giusto che una facoltà periferica possa preferire un docente che garantisca di fare stabilmente, per un congruo numero di anni, ricerca e didattica, ad un candidato in astratto migliore ma sempre con le valige in mano, per nulla desideroso di radicarsi. Per altre aree scientifiche, è ovvio, la medesima facoltà potrà invece puntare all'eccellenza.
Queste considerazioni valgono in modo particolare per il reclutamento di associati e ordinari; riguardo ai ricercatori, sarebbe stato preferibile che il meccanismo concorsuale sollecitasse circolazione e mobilità, a evitare il rischio di carriere completamente stanziali. Ma sul destino del ruolo dei ricercatori gravano, come si sa, molte incertezze.
Quanto al meccanismo concorsuale in sé, si deve osservare innanzitutto che nihil sub sole novi, giacché l'elezione di singole commissioni per singoli concorsi banditi localmente era la norma vigente nell'università italiana tra Otto e Novecento (incrociata con le libere docenze locali). Allora, cordate e scuole erano ben più incisive, almeno nel settore umanistico e in quello giuridico. Nel sistema che si prefigura, l'incessante e intricato movimento di candidati e di commissari che si determinerà porrà dei limiti, con la sua stessa complessità e varietà, alle possibilità di "pilotare" elezioni e maggioranze.
Peraltro, va anche detto che il regolamento applicativo recentemente approvato mostra sotto alcuni punti di vista delle sbavature preoccupanti. Ad esempio, il divieto di far parte di più di una commissione all'anno vale solo per le commissioni che procedono allo "stesso tipo di valutazione comparativa", cioè un docente potrà essere contemporaneamente presente in più d'una commissione di livello diverso. D'altra parte, proprio quel divieto potrà creare dei problemi nei settori disciplinari più piccoli, dove - una volta banditi pochi concorsi - non si troveranno più i commissari necessari e sarà necessario fare ricorso ai gruppi affini.