Lyotard
e la competitività
di Domenico
Tosini, studente di Sociologia
Prendendo
spunto da Jean-François Lyotard, ci si potrebbe concentrare sui diversi
tentativi attraverso i quali il sapere cerca di legittimarsi. Vent'anni fa il
filosofo francese ne ricordava alcuni: lo spirito speculativo, l'emancipazione,
la performatività e la paralogia. Oggi il sapere si appella alla competitività.
L'esordio di questo stesso giornale è avvenuto all'insegna di un tale appello.
La competitività diviene un espediente semantico a cui il sapere si riferisce;
e, in questo stadio dell'autoriforma del sapere, esso appare vago, non specificato.
C'è da chiedersi se coloro che si appellano alla competitività sappiano
realmente a cosa si stanno riferendo, mentre, nello stesso tempo, è chiaro
che i diversi appelli non intendono la stessa cosa (sempre che la sappiano definire
e rendere operativa).
Il sapere è in crisi. Dagli Stati Uniti Hillary Putnam tenta di porsi la
questione elementare della collocazione sociale e del ruolo della filosofia. Il
ricordo va a quella molto simile posta molti anni fa da Robert Lynd: Knowledge
for what? Noi che leggiamo circa la nostra Università sentiamo parlare
di competitività. Il concetto aspetta di essere riempito. Intanto, appellandosi
ad esso, molte cose vengono decise trascurando conseguenze spesso preoccupanti.
Nel caso della Facoltà di Sociologia, le decisioni riformatrici, connesse
ad una reale o presunta strategia competitiva, stanno portando a termine l'emarginazione
di qualunque intento per un comune lavoro di ricerca e di insegnamento di una
teoria sociologica di ampio respiro senza la quale la sociologia si riduce a discorso
specialistico teoricamente irriflesso. Questa sociologia continua e, con molte
probabilità, continuerà a non prendere sul serio la questione della
teoria della società come ricerca e insegnamento specifico e fondamentale
per una Facoltà di Sociologia; e questo per le "buone" ragioni della competitività
e dei suoi parenti semantici più stretti: specializzazione e finanziamenti.
I decisori hanno sicuramente difficoltà nella gestione della nuova condizione
universitaria; i problemi che ne derivano giustificherebbero certe priorità.
Ma in questo modo la sociologia è destinata a delegare alla politica, all'economia
e alla religione la lettura della società. Oggi questo è chiaro:
l'appello alla competitività va di pari passo con l'indifferenza nei confronti
della creazione di una forma mentale orientata alla teoria della società,
sia nell'insegnamento, sia nella ricerca. La sociologia rinuncia alla sociologia.
Questo potrà solo contribuire al declino di una disciplina, almeno in Italia.