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  innovazione didattica 
Rinnovare i percorsi formativi
di Enrico Zaninotto

Gli ordinamenti didattici della Facoltà di Economia sono stati modificati circa tre anni orsono. Da allora a oggi le immatricolazioni alla Facoltà sono calate leggermente, a un tasso comunque inferiore alla media nazionale per le facoltà di economia. Al contempo, è aumentata moltissimo la percentuale dei laureati sugli immatricolati ed è altresì cresciuta la capacità di attrazione nei confronti di studenti provenienti da altre province. Sono tutti segni senz'altro positivi. Ma allora, perché cambiare?
La ragione è che crediamo di poter fare di meglio soprattutto su due aspetti.
Il primo riguarda i contenuti della formazione. Riteniamo che i risultati positivi che abbiamo richiamato siano il frutto di un consistente investimento della Facoltà indirizzato ad aiutare lo studente a dare ordine e metodo ai propri studi e ad evitare perdite di tempo, frequentando e sostenendo gli esami con regolarità. Nel realizzare questi obiettivi, tuttavia, la Facoltà ha un po' perso di vista le proprie originalità nei contenuti degli insegnamenti. Il risultato è stato di rendere più indifferenziata l'offerta formativa: abbiamo rinunciato, in altri termini, a un po' dei nostri connotati differenzianti. Si badi bene: ne è valsa la pena. Se i nostri studenti si laureano in percentuale molto maggiore che nella media nazionale, è anche perché si sono moltiplicate le risorse di docenza e di esercitazione nei corsi di base e si sono introdotti corsi introduttivi e di supporto. Ma ora riteniamo che, se vogliamo mantenere i risultati ed essere competitivi nei confronti di altre sedi, sia necessario impiegare ulteriori risorse per fornire una formazione avanzata con connotazioni più precise e legata ai temi nei quali nei nostri dipartimenti si fa ricerca di alto livello. Vorremmo insomma che gli studenti scegliessero di venire a Trento non solo perché qui si studia bene, ma anche perché sanno di poter ottenere alcune specializzazioni che altrove non troverebbero. Nasce da qui l'idea di costruire, dopo un biennio di solida preparazione di base, alcuni indirizzi di specializzazione legati alle aree nelle quali la Facoltà di Economia è riconoscibile per le particolari competenze accumulate. Una formazione un po' più specialistica in quelle aree potrebbe poi fornire figure professionali più adeguate a coprire precisi segmenti del mercato del lavoro. L'opera di individuazione delle specializzazioni e della valutazione degli spazi di mercato esistenti per questa operazione è appena incominciata. Nondimeno non è difficile individuarne alcuni esempi: l'incontro tra informatica e organizzazione, di cui c'è un disperato bisogno nelle aziende, potrebbe giovarsi di una lunga esperienza di lavoro in comune svolto nel Dipartimento di informatica e studi aziendali; l'area della gestione dei servizi pubblici potrebbe basarsi sulle esperienze accumulate da un lato nello studio delle organizzazioni no profit, dall'altro degli studi amministrativi, fertilizzati da un lungo contatto con le "prove di autonomia" che si sono svolte in Trentino negli ultimi vent'anni e che ora potrebbero diventare patrimonio prezioso a livello nazionale; la preparazione di esperti nei mercati finanziari e valutari si potrebbe basare sulle ricerche di alto livello svolte dai nostri esperti di finanza e di economia monetaria.
Il secondo aspetto sul quale vogliamo intervenire riguarda le modalità del processo formativo. Sotto questo profilo i ritardi da recuperare sono pesanti. Le facoltà italiane di economia hanno dovuto in passato far fronte a una domanda didattica crescente, rispetto alla quale le risorse tanto logistiche che umane risultavano drammaticamente inadeguate. Trento si è parzialmente salvata da questo squilibrio, almeno sotto il profilo della disponibilità di aule, spazi e attrezzature. Quanto alle risorse di docenza, invece, abbiamo sofferto degli stessi problemi di altre medie università italiane: ai grandi numeri di studenti si è fatto fronte fornendo una didattica che lasciava lo studente in una posizione prevalentemente passiva. I nostri studenti che effettuano esperienze di studio in altri paesi rilevano la differenza nei metodi didattici e ci fanno notare come da noi manchi (o si sia persa) una tradizione di partecipazione attiva degli studenti al processo formativo, attraverso seminari, lavori sul campo, produzione di elaborati e partecipazione a progetti. Oggi, però, cominciano a crearsi alcune condizioni per lavorare con decisione su questi aspetti. Il numero degli studenti è in calo, le forme di reclutamento dei docenti possono essere più flessibili, le esperienze di lavoro attivo possono essere agevolate dalle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, il mondo produttivo è più disponibile ad accogliere studenti universitari per esperienze di studio e di lavoro.
Tutto questo fa pensare che l'innovazione didattica possa passare anche attraverso metodi nuovi, attraverso quelle trasformazioni di processo che non sono scritte nei programmi e nelle locandine, ma che costituiscono la dimensione più seria e innovativa del nostro impegno.