IL PESO ECONOMICO E POLITICO DELL’EUROPA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE

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Conversazione con Romano Prodi, ospite dell’Università di Trento
di Michele Andreaus

Lo scorso 4 febbraio si è tenuto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento l’incontro dal titolo "Nel mondo globalizzato c’è spazio per l’Italia?" che ha avuto come protagonista l’economista italiano Romano Prodi. Oltre alla nota e lunga carriera politica, il professor Prodi negli anni ’60 è stato anche docente dell’Istituto universitario di Scienze sociali di Trento, dal quale poi sarebbe nato l’ateneo trentino.

Romano ProdiAlla presenza di oltre 500 persone tra studenti, docenti e cittadini, Prodi ha affrontato temi di grande complessità, dialogando con un approccio informale e immediato, in grado di evidenziare anche ai non esperti quei collegamenti spazio-temporali che spesso sfuggono a un’analisi superficiale.

L’incontro è nato dalla constatazione che molto spesso gli studenti non dispongono, purtroppo, degli strumenti per leggere e interpretare la situazione economica, politica e sociale a livello italiano, europeo e mondiale. Mancando la conoscenza e la memoria del passato più recente, risulta più difficile comprendere pienamente le vicende che oggi condizionano pesantemente la nostra vita.

Il professor Prodi ha toccato vari argomenti, tra i quali l’Europa, i cambiamenti nella geopolitica mondiale, l’impatto delle ultime invenzioni tecnologiche sull’economia e sulla società.

Tra i numerosi spunti di riflessione, emerge una situazione dell’Europa che appare oggi preoccupante, basata sulla contraddizione tra il suo peso economico, che rimane considerevole, e il suo peso politico, di fatto inesistente. Basti pensare, ad esempio, all’assordante silenzio dell’Europa sulle tensioni sorte recentemente in Ucraina e proprio nate dalle scelta del governo ucraino di spostarsi verso la sfera di influenza russa, abbandonando di fatto l’area europea.

Il vecchio continente appare oggi condizionato dagli interessi dei singoli Stati, che antepongono all’interesse europeo i singoli interessi nazionali, talvolta regionali. Si tratta di una scelta pericolosa, in quanto nessun Paese europeo può poter avere un ruolo attivo negli scenari mondiali giocando una partita solitaria. Certamente non lo potranno fare i Paesi del Sud Europa, ma nemmeno quella Germania che tanto pesantemente sta condizionando oggi la politica europea. Condizionamento che, peraltro, c’è sempre stato; tuttavia, mentre con il governo Kohl si trattava di un condizionamento positivo, che si traduceva in uno stimolo forte e deciso verso un progressivo rafforzamento europeo, oggi il condizionamento va in altra direzione. Molti Paesi vedono così crescere un sentimento antieuropeo, che porta ad un ulteriore indebolimento del ruolo e del peso della politica europea. Si può rischiare anche l’implosione dell’Europa. Emerge comunque alla fine emerge l’ottimismo di Prodi, in quanto solo in questo momento probabilmente ci si potrà rendere conto di quanto importante sia questa nostra dimensione e di quanti e quali errori si stiano oggi facendo. Sono errori che non hanno solo conseguenze politiche, ma che ci toccano sul vivo, e che richiederanno cambiamenti importanti nei nostri stili di vita e nel nostro benessere.

Prodi elogia il modello trentino, che riesce ancora ad investire in ricerca, mentre in altre regioni italiane si assiste ad una desertificazione del settore. Ciò è molto preoccupante, soprattutto se si pensa che i nuovi sviluppi della tecnologia stanno riducendo fortemente i posti di lavoro, rimasti ad appannaggio di professionalità sempre più elevate che l’Italia è sì in grado di produrre, ma non di valorizzare e di trattenere.

Rispondendo infine alle varie domande, Prodi ha toccato i temi dell’Africa che sta crescendo, spinta soprattutto dal ruolo propulsivo della Cina, che vede in essa un luogo di approvvigionamento di materie prime e derrate alimentari. Ha chiarito che il peso fiscale in Italia non è maggiore rispetto a quello di altri Paesi europei, così come il peso della pubblica amministrazione sul bilancio dello Stato. Quello che però è inaccettabile è la bassa qualità dei servizi pubblici e una burocrazia che sta di fatto governando il Paese. Le leve della spesa pubblica sono bloccate dai costi che derivano dal debito pubblico, dove circa 70-80 miliardi all’anno sono spesi per il solo pagamento degli oneri finanziari.

[L’intervento integrale dell’incontro è disponibile sul sito della Facoltà di Giurisprudenza, al quale si rinvia.]