Moni Ovadia, Delfi 1994 (tratto da www.moniovadia.net)

CLASSICITÀ E TEATRO CONTEMPORANEO

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Moni Ovadia racconta la funzione delle folle sulla scena nel teatro di ieri e di oggi
di Caterina Mordeglia

Gruppi, folle e popolo sulla scena. Presenza articolata (e ancora poco studiata nel suo insieme) nelle sue molteplici valenze simbolico-evocative e pratiche. Fil rouge intermittente che, a partire dall’età classica fino ai giorni nostri, unisce le tappe fondamentali della storia del teatro, tanto arzigogolato che il tentativo di dipanarne i nodi principali necessita una competenza non solo teorica ma anche eminentemente pratica dell’arte drammatica.

Moni Ovadia, scrittore, regista e attore, esperto di teatro in tutti i suoi risvolti, è riuscito a farlo, con la semplicità e la chiarezza espositiva che sempre lo contraddistinguono, nel corso della sua visita presso la Sala conferenze del MART di Rovereto il 21 maggio scorso. L’occasione è stata la presentazione del volume Gruppi, folle e popolo sulla scena. Persistenza del classico nella storia del teatro europeo, uscito recentemente a cura della sottoscritta nella collana Labirinti del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, che raccoglie i contributi di un convegno sul tema organizzato nell’ottobre del 2011 dall’allora Dipartimento di Studi storici e filologico-letterari.

Presentato da Margherita Rubino, critica teatrale e docente di Teatro e drammaturgia dell’Antichità presso l’Università di Genova, Ovadia ha ripercorso la progressiva presa di coscienza da parte del teatro novecentesco delle potenzialità espressive delle folle sulla scena, che ha necessariamente dovuto superare - per poi coesistere accanto a esso - il teatro naturalistico inaugurato da Stanislavskij. 

Va da sé, infatti, che la rappresentazione di masse e popoli in teatro nella maggior parte dei casi è fatta di convenzioni sceniche, complice la partecipazione del pubblico. Lo sa bene lo stesso Ovadia, che nel suo spettacolo Konarmija. L’Armata a cavallo del 2003 è riuscito a portare in scena l’Armata Rossa in modo totalmente antinaturalistico attraverso tre livelli differenti di rappresentazione: un piccolo drappello di soldati in carne e ossa, con le divise ghiacciate dalla neve; un coro di soldati cecoslovacchi; veri documentari con le scene dell’epoca mescolati tra loro. Questo esempio a dimostrazione anche del tono epico che, già a partire dal Quattrocento e poi lungo tutta la drammaturgia europea dei secoli XVI-XVII, con la commistione tra storia e tragedia che si verifica in sede teorica nella trattatistica medievale, pervade la rappresentazione teatrale delle masse almeno fino a Bertold Brecht.

La conversazione ha illustrato l’approccio al tema messo in atto, tra tanti, anche dal Dario Fo di Mistero buffo (1969), dalla regista francese Ariane Mnouchkine con lo spettacolo 1789. The Revolution Must Stop When Complete Happiness Is Achieved, rappresentato per la prima volta nel 1970 al Palazzetto dello Sport di Milano, dal teatro-danza di Pina Bausch (Kontakthof, 1983), addirittura dal regista cinematografico Sergej Michajlovič Ėjzenštejn con il suo film Ottobre (1928), a testimonianza di un linguaggio espressivo comune a forme differenti di prestazioni attoriali e, soprattutto, delle forti potenzialità simboliche e ideologiche delle folle anonime in scena. 

Ma non è stato solo il Novecento a porsi come oggetto di indagine dell’incontro. Frequentissimi sono stati i richiami di Ovadia a tradizioni teatrali ‘altre’, sia popolari, come quelle regionali o Rom, sia colte, e in un certo senso archetipiche, come quella ebraica e soprattutto quella greco-rapsodica. In tale ottica questo appuntamento bene si è prestato a inaugurare il ciclo di incontri del progetto Il teatro antico nella cultura contemporanea coordinato da Giorgio Ieranò, docente di Storia del teatro greco presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, che vede la collaborazione della Biblioteca Civica G. Tartarotti e il MART di Rovereto, il Teatro Stabile di Bolzano, i licei classici di Rovereto e Trento e la compagnia teatrale “Un Excursus” di Parigi. 

Il progetto è infatti nato con l’obiettivo di mettere in comunicazione studiosi del testo teatrale con autorevoli protagonisti della scena italiana contemporanea (attori e registi) per indagare sotto prospettive diverse l’eredità del dramma antico sul teatro contemporaneo, costituita non solo da personaggi simbolo che bene impersonano le angosce e le confittualità moderne, ma anche da forme e modalità sceniche sempre attuali.

Dopo Moni Ovadia si sono svolti il 22 e il 23 maggio gli incontri con l’attrice Elisabetta Pozzi, incentrati sulle figure drammatiche di Elena e Deianira nelle rivisitazioni teatrali antiche e moderne, e il 7 giugno quello con Luciano Canfora dedicato a esplorare il legame tra utopia e commedia. Dopo la pausa estiva, il ciclo di seminari proseguirà in autunno con la partecipazione, tra gli altri, di Mario Martone, Antonio Calenda, Emilio Isgrò, Stefano Bartezzaghi, i quali, da ottiche diverse, contribuiranno a scandagliare l'attualità del mito nella nostra cultura.