foto David Leiwei Li

CINA E LIBERO MERCATO

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La lectio di David Leiwei Li, docente University of Oregon e University of the Arts London e artista visuale
di Giovanna Covi

Lo scorso aprile, David Leiwei Li (docente presso la University of Oregon e la University of the Arts London) ha tenuto a Trento la conferenza “Shanghai EXPO 2010: Economy, Ecology, and the 2nd Coming of Capitalism in China” per la scuola di dottorato in Studi umanistici, con la partecipazione della scuola di dottorato in Studi internazionali, grazie al sostegno del Programma Fulbright Intercountry. L’accoglienza del Dipartimento di Lettere e Filosofia all’ospite cinese ora residente negli USA è stata arricchita dalla mostra del Centro Martini La lunga marcia della Cina nel XX secolo.

La lezione ha messo a fuoco una critica all’economia capitalista ecologista della globalizzazione, a partire dall’analisi di immagini scattate da Li all’Expo di Shanghai. Premesso che il capitalismo fiorisce grazie alla negazione della povertà e al sogno dell’abbondanza, Li ne ha sottolineato anche la costante trasgressione e presunta conquista dei limiti della natura, per questo il collegamento tracciato da Max Weber tra abnegazione cristiana e accumulazione capitalista non è sufficiente a spiegare la politica verde abbracciata dall’Expo di Shanghai. Invece Li ritiene importante, citando Marx, tenere presente che per il capitalismo l’abbondanza è simulacro, nel miraggio risiedono l’apparenza della ricchezza nazionale e il segreto della seduzione capitalista. 

Funzione degli expo è esibire abbondanze materiali che le società pre-capitaliste nemmeno possono immaginare, creare una nuova scena del mondo, come dissero Marx ed Engels nel 1848, teorici della globalizzazione avanti lettera, quando profetizzarono la scomparsa di tutte le civiltà agricole incapaci di adeguarsi al sistema borghese di produzione e annunciarono la morte politica delle nazioni non conformi. Oggi Guy Debord si spinge oltre: ci mette in guardia dalla morte fisica del pianeta legata allo sviluppo capitalista, e sottolinea il rapporto stretto tra economia politica ed ecologia planetaria, dicendo che una salubre economia capitalista equivale ad un pianeta malato, mentre una forte crescita implica la fine dei regimi politici. Per questo, commenta Li, la crisi di Wall Street si cura con interventi transnazionali, mentre la volontà collettiva di salvare il pianeta langue a Copenhagen. 

Eppure, ricorda Li, la parola greca oikos (household, la casa e chi vi abita) è comune sia a economia (nomos=legge, la gestione della household) che a ecologia (logos=sistema, l’habitat di relazioni tra piante, ambiente ed animali). E ancora nel 1931, H. G. Wells considerava l’economia “un ramo dell’ecologia, l’ecologia della specie umana”,  della miriade di relazioni sociali e naturali. La sensibilità ecologica fu però repressa con il primo avvento del capitalismo, quando l’originario “motivo di sussistenza”, l’amministrazione e il sostentamento della vita intesa come gestione di una household morale e ben piantata per terra, fu sostituito dal concetto di guadagno, dal “motivo di surplus” traino di un’economia estranea al proprio locale e filiale, alienata dalla natura. La ragion d’essere dell’economia, il mantenimento dei legami sociali, fu sostituita dal possesso personale di beni materiali. Questa concezione dell’economia divenne globale e virale nel secondo avvento del capitalismo. 

La lezione di Li si è aperta con una carrellata storica della Cina a partire dal periodo del primo avvento capitalista, la Guerra dell’Oppio (1842) e il Trattato di Nankino con l’inaugurazione del porto di Shanghai (1843), legati all’Expo al Crystal Palace di Londra (1851), quindi la fondazione del Partito Comunista Cinese nel 1949 e il venir meno dell’appartenenza cinese al sistema mondiale, fino al secondo avvento capitalista, delineato nel 1970 con l’Expo di Osaka, quindi nel 1976 con la morte di Mao seguita nel 1978 dalla riforma politico-economica di Deng, e consolidato nel 1989, con il Massacro di Tienanmen e la Caduta del Muro di Berlino. La Rivoluzione di Reagan-Thatcher-Deng Xiaoping segna il ricongiungimento della Cina al sistema mondiale del capitalismo neoliberale globale. 

Nonostante il proprio ostinato odio per gli stranieri, i cinesi hanno dato ascolto per ben due volte nella storia, in entrambi i casi accidentalmente, al capitalismo occidentale, ironizza Li. L’attenzione di Mao per l’esecuzione fanatica dell’idealismo comunista non produsse alcun progresso industriale, né grande abbondanza; quindi Deng Xiaoping condusse la Cina verso la promessa di prosperità dello sviluppo capitalista basato sul carbone fossile, ed oggi la nazione genera una rispettabile quantità di inquinamento, la sua popolazione mangia più maiale, e bene rappresenta la fondamentale contraddizione del capitalismo industriale, nella sua produzione dell’apparente Eros dell’abbondanza e del reale Thanatos del pianeta terra, nella creazione di un mondo a propria immagine che profana tutto ciò che è sacro e scioglie tutto, compreso l’ozono. Questa contraddizione nacque all’Expo del 1851 al Crystal Palace ed è stata incoronata all’Expo del 2010 a Shanghai che, come Londra, ha celebrato la ricchezza voluttuosa del libero mercato e l’utopia della soluzione scientifico-tecnologica per tutti i problemi del pianeta. Shaghai ha proiettato un’immagine di assoluto consenso intorno al consumismo cosmopolita e al neoliberismo globale: noi tutti quale somma di società diverse già conosciamo il segreto della prosperità, del progresso e della pace, resta solo da perfezionare il capitalismo mondiale e minimizzarne l’impatto ambientale.

Le fotografie di Li dell’Expo 2010 mostrano che con la ricostruzione della scena di crimini ambientali e di spettacoli dell’abbondanza di merci, Shanghai ha dissolto la contraddizione facendo volgere lo sguardo dei visitatori dal disastro ambientale verso l’investimento di capitale, un movimento via dal problema verso soluzioni tutte interne alla logica del capitale. I visitatori sono condotti dalla pianificazione urbana, attraverso la rete, fino alla crescita armonica di una Shanghai che domani sarà tutta verde, libera dallo smog che oggi la soffoca. Il muro di immondizia eretto al centro del padiglione sfuma subito e dirige lo sguardo e l’obiettivo delle macchine fotografiche dei visitatori verso la città ecologica e una Lamborghini. La storia di una tipica casa di Shanghai tra il 1978 e il 2008 (Olimpiadi di Pechino e crollo di Wall Street) è segnata dall’incremento di elettrodomestici, dall’avvento dell’immancabile design scandinavo IKEA divenuto globale, e si conclude con la “Shanghai Eco-House” che incoraggia alla vita metropolitana e al rifiuto di tutte quelle merci usa e getta che mai furono disponibili prima del “progresso”. Davanti allo slogan “Non lasciare che la farfalla diventi un oggetto d’arte!” Li si chiede: come sarà possibile, se il comfort consumistico è il segno di modernità e progresso predestinate?

Altre immagini mostrano che Shanghai insiste anche sulla propria identità cinese: non sulla narrazione nazionalista della rivoluzione che approda all’utopia comunista, ma su un racconto consapevole dell’evoluzione della forma della città in prospettiva transnazionale. Di qui la città che si fa libro in cui vivere comune e tradizione collettiva sono consacrati nel KINDLE più grande del mondo. La città cessa di essere un’invenzione occidentale per diventare modo di abitare universale umano, evoluto e contemporaneo, architetture storiche di Europa, Africa, mondo islamico e Asia si fondono in uno sviluppo urbano implicitamente unidirezionale. Il noto dipinto della Dinastia Song, “清明上河图” (Qingmingshanghetu), che illustra la capitale Kaifeng nel 1100 diventa uno schermo animato che richiama un fervido mercato pre-capitalista dei tempi della Via della Seta, e prefigura con continuità storica la città globale cinese del flusso di capitali contemporaneo. 

Quest’uso selettivo della storia non solo condanna l’era maoista come un’aberrazione cinese ma assicura anche i nazionalisti cinesi che dopo secoli di umiliazioni coloniali e vessazioni comuniste ora hanno diritto ad occupare il mercato globale. Nella ricostruzione, Shanghai si riappropria del passato per costruire il futuro attraverso un nostalgico revival, compreso il riciclo della moda degli anni 1930 (祺袍 “Qipao”) di cui vanno pazzi tanti i turisti euro-americani che i ricchi cinesi. La torre in bianco e nero di Metropolis scompare accanto all’imponente Westin di Shaghai accanto allo slogan “Dall’Utopia di ieri nasce la realtà di oggi” e svaniscono la distopia metropolitana e il conflitto di classe messi a fuoco da Fritz Lang nel 1921. Shanghai esemplifica l’esercizio diffuso del potere spettacolare dell’americanizzazione del mondo secondo cui gli stipendiati sono condotti ad esercitare la propria libertà solo nella scelta, o meglio nello spettacolo, delle merci (Debord). 

Li conclude osservando come Shaghai, mescolando la propria fama di Parigi d’Oriente con questa nuova immagine, seduce sognatori e ambiziosi, nazionali e stranieri, con un’economia centrifuga del trickle down. Lo si vede nella foto dell’ambulante fuori dall’EXPO, che sceglie abiti di moda occidentale e alla donna che non si ferma a comprare i suoi lychee grida, “Signorina, venga glieli vendo per meno!” Il linguaggio del libero mercato, della persuasione spettacolare, di cittadini divenuti consumatori alla ricerca dell’affare, accomuna contadini ambulanti, grandi magazzini e il Louis Vuitton Store, una valigia firmata grande come un isolato, mentre, sottolinea David Li, dalla Città Proibita il comitato centrale del Partito Comunista tuona: “Spendete di più e risparmiate meno: le vostre pidocchiose abitudini alla tirchieria sono la causa della stagnazione economica mondiale!”