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GLI STUDI INTERNAZIONALI: PASSATO, PRESENTE E FUTURO

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Conversazione con Richard Buxbaum, professore emerito della University of California, Berkeley
di Luisa Antoniolli e Irene Costantini

Richard M. Buxbaum è professore emerito di diritto internazionale presso la UC Berkeley School of Law, University of California, ed è stato Dean degli International and Area Studies della University of California, Berkeley dal 1993 al 1999. Il 22 ottobre scorso, in occasione dell'apertura ufficiale dell'anno accademico della Scuola di Studi Internazionali, ha tenuto una lectio magistralis dal titolo What Are, and What Drives, International Studies? In quell'occasione gli abbiamo rivolto alcune domande.

Professor Buxbaum, gli Studi Internazionali sono una disciplina accademica nata dall'incontro di differenti discipline, come le scienze politiche internazionali, il diritto, l'economia, ed altre ancora. Come definirebbe gli Studi Internazionali?

Dopo molti anni di esperienza come direttore del Dipartimento di Studi Internazionali all'Università di Berkeley, sono giunto ad una formula molto semplice: gli Studi Internazionali sono la disciplina che studia quei fenomeni che trascendono il confine dello Stato. Ad esempio, i diritti umani, i processi migratori sono per definizione fenomeni che trascendono i confini nazionali e sono, quindi, oggetto di studio degli Studi Internazionali. Credo che l'accento debba essere posto proprio sulla qualità transnazionale di quei fenomeni che sempre più caratterizzano il mondo contemporaneo. Il flusso di capitali, la mobilità dei lavoratori, gli effetti e le cause del degrado ambientale, sono tutti ottimi esempi. Il modo in cui questi fenomeni vengono studiati e analizzati deriva, poi, dalle singole discipline che, attraverso le proprie metodologie, offrono una lettura del fenomeno. Il contributo di economisti, giuristi e sociologi, tra gli altri, è necessario, ad esempio, per comprendere i processi migratori nel loro complesso.

Come si sono evoluti gli Studi Internazionali e quali sono le differenze tra il contesto americano e quello europeo? 

Almeno dalla Seconda Guerra Mondiale in poi gli Stati Uniti, in qualità di potenza egemonica, hanno percepito la necessità di sviluppare nuove aree del sapere che fino a quel momento non avevano interessato il suo sviluppo, in quanto Stato di dimensioni continentali e prevalentemente monolingue. Gli Studi Internazionali (e gli studi di area) sono nati come reazione ad un passato di provincialismo ed in un certo senso di isolazionismo nei confronti dell'Altro. Diversamente, l'Europa si è sempre confrontata con l'Altro. Sul suo territorio coesistevano e coesistono lingue e culture diverse, così come sistemi di governo diversi. Era normale e persino ovvio per un giurista tedesco del XIX secolo conoscere il sistema giuridico vigente in Francia. Ora, però, non si tratta più di conoscere la lingua, la cultura, la religione e gli altri aspetti che caratterizzano un'area geografica, sia essa una regione o un determinato paese, quanto piuttosto di sviluppare nuove conoscenze su fenomeni che non possono più essere compresi all'interno delle differenti realtà nazionali.

Professor Buxbaum, lei è stato per molti anni Direttore degli Studi internazionali e di area all'Università di Berkeley. Quali difficoltà ha riscontrato durante questa esperienza?

La difficoltà maggiore per quanto riguarda gli Studi Internazionali è creare lo spazio istituzionale ed organizzativo all'interno di un'università che meglio possa soddisfare il bisogno di integrare differenti metodologie per lo studio di fenomeni di interesse comune. Questo spazio istituzionale deve avere le risorse, intellettuali ed economiche, per poter svolgere questo tipo di ricerca. Infatti, i profili professionali per poter, ad esempio, studiare i processi migratori sono molti e molto diversi. Coinvolgere docenti, ricercatori e studenti interessati a studiare fenomeni di natura transnazionale da prospettive metodologiche differenti è un buon modo, e sicuramente un buon inizio, per creare questo spazio istituzionale, considerando che è difficile trovare un dipartimento universitario dove vi siano sufficienti posizioni professionali e quindi opportunità di ricerca che possano coprire l'intero spettro delle metodologie che studiano uno stesso fenomeno.

Quale ruolo svolgono gli Studi Internazionali oggi e quali prospettive vi sono per il loro sviluppo futuro?

Oggi, la varietà di fenomeni che non possono più essere compresi all'interno dei confini nazionali è così ampia da imporre una riflessione seria sull'organizzazione della ricerca. Per questa ragione, gli Studi Internazionali sono quasi per definizione una questione rilevante nel futuro. Nessuna singola disciplina e quindi nessuna istituzione tradizionale ha la capacità di riuscire a spiegare questi fenomeni complessi. Le prospettive che emergeranno in futuro saranno il risultato dei vari esperimenti condotti in differenti istituzioni nel tentativo di trovare il contesto intellettuale più adatto per cogliere la portata dei fenomeni transnazionali nella loro complessità.